venerdì 7 dicembre 2012

Bersani, i profughi schiavi, la Libia e l’Europa: al bivio tra politica e antipolitica



di Emilio Drudi
  
Subito dopo il ballottaggio che lo ha designato premier del centrosinistra alle prossime elezioni politiche, Pierluigi Bersani, parlando dei suoi intenti immediati, ha annunciato una visita ufficiale in Libia per incontrare il nuovo presidente Mgarief, il capo del governo Ali Zeidan e gli altri protagonisti del dopo Gheddafi. Un viaggio e un confronto di grande rilievo, il primo di una lunga serie – ha spiegato – nella convinzione che l’Italia debba recuperare rapporti importanti con tutti i paesi della sponda africana ed asiatica, per ritrovare il suo ruolo storico di “ponte” tra il nord e il sud del Mediterraneo.
Diversi giornalisti e osservatori hanno criticato questa sua “priorità”. A loro parere, Bersani avrebbe dovuto preoccuparsi, semmai, di incontrare al più presto Angela Merkel a Berlino o i vertici di Bruxelles: allacciare quanto prima intese e confronti, insomma, con i posti dove “si prendono le decisioni”. E invece no: questa visita in Libia e le altre che presumibilmente seguiranno in Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Israele, Libano Siria, Turchia, possono essere altrettanto importanti e decisive degli incontri con la Germania, il Centro e il Nord Europa o l’Unione Europea. Purché, però, vengano concepite nell’ambito di un progetto diverso, da far partire insieme a tutti i paesi europei del Mediterraneo, dalla penisola Iberica alla Grecia. Un progetto che insegua l’idea di un’Europa non delle banche e della finanza ma dei popoli e dei diritti. Quell’Europa che, con il Manifesto di Ventotene, è nata proprio in una piccola isola nel cuore del Mediterraneo, grazie alle idee di Ernesto Rossi ed Altiero Spinelli, due grandi italiani che, relegati al confino dal fascismo, seppero concepire e coltivare il sogno dell’Europa Federale, gli Stati Uniti d’Europa. Sembrava un’utopia, anzi, un assurdo, allora, in quegli anni terribili, con il continente intero diviso e squassato dalla guerra scatenata da Hitler e Mussolini. E, invece, quel sogno si è fatto strada, è arrivato a costituire, pur con tutti i limiti e i difetti, l’Unione Europea e, soprattutto, nei suoi principi guida è ancora un faro fondamentale per chi crede nei valori di libertà, uguaglianza, solidarietà, giustizia sociale per tutti gli uomini, chiunque siano e da dovunque vengano. In particolare, i più umili e deboli, gli “ultimi”.
Proprio per questo, tuttavia, se è questa cioè l’idea d’Europa da costruire, allora Bersani, nell’ambito dei rapporti che intende allacciare con la Libia, non potrà non dire a Mgarief e Ali Zeidan che non saranno mai possibili un vero confronto e una collaborazione proficua se Tripoli continuerà a trattare come schiavi i profughi, i richiedenti asilo, i migranti che bussano alle sue porte, segregati e abbandonati in carceri lager. Aggiungendo che la prima cosa che intende fare, se diventerà presidente del Consiglio, sarà la revisione anche unilaterale del trattato generale firmato da Italia e Libia lo scorso febbraio, fotocopia di quello sottoscritto da Berlusconi e Gheddafi. Che intende cancellare, in particolare, l’accordo che fa della Libia il gendarme dell’Italia e dell’Europa per il controllo dell’emigrazione nel Mediterraneo, dandole campo libero sulla sorte delle migliaia di disperati che arrivano da tutta l’Africa sulle sue spiagge e nei suoi porti, per cercare poi di attraversare  il canale di Sicilia e trovare asilo e futuro nel Nord del mondo. Anzi, che considera un grave errore da parte sua e del Pd non aver contestato subito quegli accordi, chiamando a risponderne il governo Monti, come hanno fatto, invece, numerose organizzazioni internazionali, a cominciare da Amnesty. Per non dire della condanna arrivata all’Italia dalla Corte di giustizia di Bruxelles.
Troverà, Bersani, il coraggio e la forza di affermare tutto questo? Nel discorso del dopo ballottaggio, ha accennato anche al “profumo di sinistra” che Niki Vendola lo ha invitato a inserire nella sua politica: ha detto che se non avvertisse quel particolare profumo su di sé, non riuscirebbe nemmeno a riconoscersi. Bene. Bersani, che è di quelle parti, saprà sicuramente che in Romagna si dice che “mettersi a sinistra” non vuol dire assumere una posizione in un certo spazio. E’, piuttosto, una scelta di vita difficile, faticosa, spesso dolorosa, da riaffermare giorno per giorno, in ogni azione e in ogni decisione. In modo da guardare ai problemi e cercare di risolverli sempre con gli occhi degli ultimi. Ecco, quei profughi e quei migranti gettati nelle carceri libiche, con l’assenso colpevole dell’Italia, sono tra gli ultimi degli ultimi. La sinistra, se crede nei suoi valori, non può dimenticare e ignorare quegli uomini e quelle donne in catene, perpetuando il “silenziamento” colpevole che si è costruito finora intorno alla loro tragedia. Farsi carico dei diritti e della libertà di quei disperati in Africa affermerà e darà forza a quei diritti e a quella libertà anche in Italia e in Europa. E’ la stessa battaglia. Contribuirà a cambiare anche questa strana Italia che di “ultimi” continua a produrne senza sosta. Gli operai dell’Ilva, ad esempio, costretti per decenni a scegliere tra il lavoro e la vita: il “posto” o la salute e spesso la morte propria e dei propri cari; i lavoratori discriminati dalla Fiat perché hanno in tasca la tessera della Fiom; i malati e gli invalidi lasciati senza assistenza; i giovani ai quali è stato cancellato il futuro; le donne lasciate sempre in seconda fila; i precari e i disoccupati; i senza casa; i detenuti in carceri sovraffollate e inumane; i ragazzi nati in Italia da genitori stranieri, condannati al limbo della “non nazionalità”, perché sono e si sentono italiani ma possono essere espulsi dall’Italia non appena compiono 18 anni; migliaia di immigrati “invisibili”, non persone buone solo come braccia per il lavoro nero e capro espiatorio ogni volta che c’è un problema di ordine pubblico… E’ un esercito sterminato. Come c’è da aspettarsi, del resto, in un paese dove la ricchezza è così mal distribuita che il 10 per cento della popolazione ne controlla da solo quasi la metà, mentre circa 30 milioni di italiani, la metà del totale, si fermano, tutti insieme, ad appena il 10 per cento.
Ce ne sono tanti, di questi “ultimi”, anche in quel numero enorme di elettori, circa il 50 per cento, che da tempo dichiarano di non sapere per chi votare o di non volere più andare alle urne, perché non trovano punti di riferimento credibili in alcuna delle attuali formazioni politiche. Allora, prima di lasciarsi la porta aperta per eventuali alleanze con centristi alla Casini, buoni per tutte le stagioni, come è emerso sempre dalle sue prime dichiarazioni post ballottaggio, forse Bersani non farebbe male a cercare di riconquistare alla politica tutta questa gente delusa e indignata. Gente che non alimenta l’antipolitica. Al contrario: è delusa e indignata proprio perché della politica ha un concetto elevato. E, ad esempio, al di là delle polemiche sulla casta e i partiti, non riesce a capire come mai questo paese, mentre taglia su tutto, scuola e sanità, assistenza e lavoro, stato sociale e ricerca, possa permettersi di acquistare 90 nuovi caccia bombardieri a 130 milioni l’uno, totale quasi 12 miliardi di euro. Dodici miliardi per strumenti capaci solo di morte e sofferenza: non solo per i disgraziati che verranno uccisi da quegli aerei, magari in una delle cosiddette “missioni di pace”, ma per migliaia, milioni di italiani ai quali vengono ormai negati dallo Stato, “per esigenze di bilancio”, anche i servizi più essenziali.
Ecco perché questo viaggio a Tripoli può rivelarsi importante. Perché, se Bersani sarà coerente con i valori in cui dice di identificarsi, potrà aiutare a ripartire dagli ultimi. In Libia come in Italia. In Africa come in Europa. Potrà servire cioè ad affermare che sono irrinunciabili i valori di libertà, solidarietà, uguaglianza che, come c’è scritto nella Costituzione, sono il fondamento dello “stare insieme” della Repubblica Italiana. E del progetto di Europa Federale ideato e fatto crescere da Ernesto Rossi e Altiero Spinelli. Ma se, invece, resterà in silenzio, ignorando e sacrificando ad altri interessi, dettati da qualche oscura “ragione di stato”, il dramma di quei profughi-schiavi incarcerati, ne diventerà lui stesso complice. E contribuirà ad alimentare ed anzi a far trionfare quella sfiducia nella politica che sostiene di voler combattere. 

Nessun commento: