Today, World Day for the Rights of the Child. 30 years after the New York Convention, what do we celebrate? With what courage we can say that they have rights recognized by the international community to refugee children, refugees, migrants who are forced to survive in total degradation and degrading for their dignity as human beings, in Libyan camps, in refugee camps in Greece, in palaces crumbling in Italy, in makeshift tents in France and in many countries of East Europe, not to mention the Syrian, Afghan, Palestinian, Kurd, Iraqi, Somali, Eritrean, South Sudanese, Congolese, Burundian, Haitian, Venezuelan, Chilean children , Bolivia, Rohingya ect .... Where are the rights of all these children? exploited, enslaved, abused, up to slaughtered to sell vital organs. Children kept in detention in so-called large democracies such as the United States of America, where today hundreds of children are detainees separated from their parents, where these children suffer abuse and violence, this happens today !!! In the country where the convention to protect the rights of all the world's children was formed 30 years ago. But it seems that today this convention is worth nothing in the country where it was signed. What the UN has to celebrate today in the face of the violations perpetrated by the "democracies" let alone the others what they will do.
giovedì 21 novembre 2019
World Day for the Rights of the Child 20/11/1989 - 2019
Today, World Day for the Rights of the Child. 30 years after the New York Convention, what do we celebrate? With what courage we can say that they have rights recognized by the international community to refugee children, refugees, migrants who are forced to survive in total degradation and degrading for their dignity as human beings, in Libyan camps, in refugee camps in Greece, in palaces crumbling in Italy, in makeshift tents in France and in many countries of East Europe, not to mention the Syrian, Afghan, Palestinian, Kurd, Iraqi, Somali, Eritrean, South Sudanese, Congolese, Burundian, Haitian, Venezuelan, Chilean children , Bolivia, Rohingya ect .... Where are the rights of all these children? exploited, enslaved, abused, up to slaughtered to sell vital organs. Children kept in detention in so-called large democracies such as the United States of America, where today hundreds of children are detainees separated from their parents, where these children suffer abuse and violence, this happens today !!! In the country where the convention to protect the rights of all the world's children was formed 30 years ago. But it seems that today this convention is worth nothing in the country where it was signed. What the UN has to celebrate today in the face of the violations perpetrated by the "democracies" let alone the others what they will do.
Giornata Mondiale del Infanzia 20/11/1989 - 2019
Oggi giornata mondiale per i diritti dell'Infanzia. 30 anni dopo la Convenzione di New York, cosa celebriamo ? Con quale coraggio possiamo dire che hanno dei diritti riconosciuti dalla comunità internazionale ai bambini rifugiati, profughi, migranti che sono costretti a sopravvivere in totale degrado e degradante per la loro dignità di esseri Umani, nei lager libici, nei campi profughi in Grecia, nei palazzi fatiscenti in Italia, nelle tende di fortuna in Francia e in molti paesi dell'East Europa, per non parlare dei bambini Siriani, Afgani, Palestinesi, Curdi, Iracheni, Somali, Eritrei, Yemeniti, Sud Sudanesi, Congolesi, Burundesi, Haiti, Venezuela, Cileni, Bolivia, Rohingya ect .... Dove sono i diritti di tutti questi bambini? sfruttati, schiavizzati, maltrattati, per fino macellati per vendere gli organi vitali. Bambini tenuti in detenzione nelle cosi dette grandi democrazie come gli stati uniti d'America, dove oggi centinaia di bambini sono detenuti separati dai loro genitori, dove questi bambini subiscono maltrattamenti e violenze, questo succede oggi !!! Nel paese dove 30 anni fa è stata formata la convenzione per tutelare i diritti di tutti bambini del mondo. Ma pare che oggi questa convenzione non valga nulla nel paese dove è stata firmata. L'ONU cosa ha da celebrare oggi di fronte a le violazioni perpetrate dalle "democrazie" figuriamoci gli altri cosa faranno.
giovedì 31 ottobre 2019
Libia: Appello Urgente dal Centro di detenzione Zawiya
Circa 650 persone, donne e uomini di diverse nazionalità di cui 400 eritrei ed etiopi, viviamo costantemente nella paura, perché sentiamo continuamente spari nelle vicinanze, noi chiusi qui, senza protezione, senza vie di fuga in caso di attacco, rischiamo la vita.
dal punto di vista interno a questo lager, si può dire che viviamo in un porcile. sono mesi che non riceviamo nulla per l'igiene personale, siamo costretti a bere acqua salata, di cui non sappiamo la provenienza, problemi di salute è all'ordine del giorno, i più gravi sono le persone colpite dal TBC, che sono circa 40 persone, di cui 10 non hanno mai avuto nessuna assistenza, 3 sono in condizione gravissime, che nessuno si sta prendendo cura, con il grave rischio di trasmettere a tutti noi la malattia. Si erano affacciati per un attimo quelli di MSF circa un mese fa, poi non gli abbiamo più visti. Noi abbiamo bisogno urgente di un controllo medico tutti, sopratutto che si prendano cura delle persone già in evidente stato di necessità, che gli vediamo davanti a noi consumarsi, come se fossero delle candele arse dalla malattia, che gli sta consumando da dentro. L'UNHCR sono passati 4 giorni fa, si sono limitati a prelevare le impronte digitali di 34 persone, ignorando le persone malate da tempo, cosi come le persone che sono in attesa di reinsediamento dal febbraio del 2018, che prima erano nel lager di Bin Qisher, già la erano stati intervistati dai operatori di UNHCR, prima della loro evacuazione verso dove ci troviamo oggi a Zawiya. Ora si sentono abbandonati, molti sono caduti in depressione, altri tentano la fuga per prendersi la via del mare, tutto questo dalla disperazione in cui siamo lasciati a sopravvivere. Abbiamo 7 casi di tentato suicidio, tra coloro che sono da un anno e più, costretti a spostarsi da un lager ad un altro, senza vedere uno spiraglio per il loro futuro. Poche settimane fa una donna Nigeriana malata che non ha trovato le cure è morta qui, anche una bambina 3 anni, ha perso la vita dopo una caduta, per il mancato di un tempestivo soccorso è morta. Ecco da ogni punto di vista viviamo in pericolo costante, per non parlare delle privazioni, e il degrado e le condizioni degradanti per la nostra dignità umana in cui siamo costretti a sopravvivere.
Chiediamo l'aiuto di tutte le istituzioni europee e alle agenzie per i diritti umani di mobilitarsi per trovare e mettere in atto un piano straordinario di evacuazione di questi fratelli e sorelle che oggi si trovano nelle condizioni descritte dalle testimonianze che abbiamo raccolto. Ogni tentennamento e rinvio mette in pericolo la vita di centinaia di vite Umane.
don Mussie Zerai
Libya: Urgent Appeal from the Zawiya Detention Center
About 650 people, women and men of different nationalities of which 400 Eritreans and Ethiopians, live constantly in fear, because we continuously hear shots nearby, we shut here, without protection, without escape routes in case of attack, we risk our lives.
from the internal point of view of this camp, we can say that we live in a pigsty. For months we have received nothing for personal hygiene, we are forced to drink salt water, of which we do not know the origin, health problems is the order of the day, the most serious are the people affected by TB, which are about 40 people, of whom 10 have never had any assistance, 3 are in very serious condition, that nobody is taking care, with the serious risk of transmitting the illness to all of us. Those of MSF had looked out for a moment about a month ago, then we didn't see them again. We urgently need a medical check on everyone, especially that we take care of people already in a clear state of need, that we see them in front of us being consumed, as if they were burning candles from the disease, which is consuming them from within. UNHCR passed four days ago, they simply took the fingerprints of 34 people, ignoring people who had been sick for some time, as well as people who are awaiting resettlement since February 2018, who were previously in the concentration camp of Bin Qisher, they had already been interviewed by UNHCR staff, before their evacuation to where we are today in Zawiya. Now they feel abandoned, many have fallen into depression, others try to escape to take the path of the sea, all this from the desperation in which we are left to survive. We have 7 cases of attempted suicide, among those who have been for a year and more, forced to move from one camp to another, without seeing a glimpse of their future. A few weeks ago, a sick Nigerian woman who did not find treatment died here, even a 3-year-old girl, who lost her life after a fall, died due to a lack of timely help. Here from every point of view we live in constant danger, not to mention deprivation, and the degradation and degrading conditions for our human dignity in which we are forced to survive.
We ask the help of all European institutions and human rights agencies to mobilize themselves to find and implement an extraordinary plan for the evacuation of these brothers and sisters who are today in the conditions described by the testimonies we have gathered. Every hesitation and postponement endangers the lives of hundreds of human lives.
Fr. Mussie Zerai
mercoledì 11 settembre 2019
Re: La recente nazionalizzazione delle scuole cattoliche
Council of Catholic Hierarchs - Eritrea
A Sua Eccellenza Signor Semere Re'esom
Ministro dell'istruzione pubblica.
Asmara - Eritrea
Asmara, 04 Settembre 2019
I contributi della Chiesa cattiica in campo educativo e le recenti statalizzazioni
1. E' da sempre nei desideri e nell'agenda di noi Vescovi della Chiesa Cattolica incontrarci con le autoritd governative per dialogare su tutto cid che attiene alla situazione della nostra Chiesa e della nostra Nazione. Purtroppo, a questo desiderio non d stato mai accordata una qualsiasi considerazione da parte delle autoritd statali. Cid, tuttavia, non ci induce a rinunciare ad elevare, ancora una volta, la nostra voce di protesta contro l'arbitrario e unilaterale provvedimento assunto di recente dal governo della Nazione con la statalizzazione delle nostre cliniche e delle nostre scuole, strutture attraverso cui la Chiesa adempie la sua missione.
2. Sono trascorsi quasi due anni da quando, per ordine del governo, d stata chiusa la "Scuola Secondaria Santissimo Redentore" del nostro Seminario di Asmara. Si tratta di un'istituzione che, dal lontano 1860, per pin di un secolo, spostandosi in varie localitd, ha svolto un'elevata funzione culturale e spirituale, coltivando numerosi giovani per il servizio della Chiesa e del Paese. La decisione di chiudere un'istituzione con all'attivo un contributo di tale portata ha lasciato interdetti tutti: chiunque abbia cercato di scorgervi una seppur minimamente plausibile spiegazione d rimasto privo di una risposta.
3. Successivamente si d proceduto alla requisizione di ben 8 nostre strutture sanitarie, con l'assurdo e irricevibile pretesto di essere dei doppioni (l). Nei mesi scorsi d seguita la nazionalizzazione di altre 2l cliniche. E ultimamente, lo scorso 3 settembre, eccoci con la nazionalizzazione di tre nostre scuole secondarie, una delle quali comprensiva anche delle classi elementari. Erano:
l) la scuola elementare e media inferiore e superiore "S. Giuseppe", dei Fratelli Lassalliani, Cheren;
2) la scuola media superiore dei Frati Cappuccini, Addi-Ugri;
3) la scuola media inferiore e superiore "S. Francesco", dei Frati Cappuccini, Massawa.
Su tutti questi provvedimenti formuliamo ora la nostra doverosa e legittima protesta.
4. Come abbiamo gid spiegato nelle piir svariate occasioni, la Chiesa, nel prendere una posizione su temi e problemi di rilievo, inizia con la dichiarazione della propria identitd e missione. Lo fa per l'ovvia ragione che quanto dice e fa, cosi come le istituzioni che fonda e coordina, scaturiscono dal slo essere e dalla missione di cui d stata investita dal suo Signore. Cristo suo fondatore, che ha
gli uomini durante la sua esistenza terrena, ha inviato la sua Chiesa a proseguire la sua stessa missione nel tempo e nello spazio. Anche se il compito primario della Chiesa di sanato e istruito annunciare la parola di salvezza, intrinseca a tale mandato d la "promozione integrale" della persona Di qui il suo impegno non secondario nei campi dell'istruzione, della sanitd e dello sviluppo sociale in generale. Svolge tali compiti non solo nell'interno dei suoi sacri recinti, bensi nei campi aperti delle scuole, delle cliniche e degli ospedali, dovunque ciod gli uomini e le donne reclamano il diritto e il bisogno di essere curati e istruiti e la Chiesa si sente in grado di contribuire al loro benessere globale, umana, la cura ciod dell'essere umano nell'anima e nel corpo.
5. Come nei due mila anni de] suo cammino attraverso la storia, anche oggi la Chiesa rivendica per sd un insieme di diritti e doveri strettamente derivanti dalla sua natura e dalla sua missione, come: insegnare i principi della fede cristiana, istituire e gestire centri e strutture per agevolare ai giovani l'accesso alle scienze umane e contribuire al progresso della societd, e quindi, proprio per questo, possedere proprietd mobili e immobili congrue allo svolgirnento della sua multiforme missione. Poichd si tratta di diritti naturali ad essa accordati da Dio stesso, permetterne o negarne l'esercizio non speffa, per nessun titolo, alla volontd o al capriccio di chicchessia.
6. Se, come si d detto, d diritto e dovere della Chiesa, da sempre e dappertutto, possedere e gestire strutture atte a promuovere la conoscenza \mana e spirituale, dagli asili alle pii elevate istituzioni universitarie, quali le finalitd specifiche della sua azione in tali ambiti?
a) Anzitutto si tratta di farne dei luoghi dove si formano le coscienze e si preparano uomini e donne pienamente maturi e qualificati ad occupare un proprio posto nella societd e ad offrirvi un proprio contributo; luoghi dove imparare a discernere i propri diritti e doveri e a far prevalere [e ragioni della giustizia e della pace;
b) le istituzioni educative della Chiesa offrono ai genitori la possibilitd di esercitare l'inalienabile diritto di scelta dei contesti e degli indirizzi forrnativi per i loro ligli;
c) d in tali istituzioni che la Chiesa offre la sua millenaria esperienza pedagogica e il suo plurisecolare patrimonio culturale al cittadino desideroso di adeguate conoscenze intellettuali e di un'autentica crescita umano-morale.
d) Nessun altro scopo, apefto o coperto, si propone la Chiesa nella gestione delle sue istituzioni educative, se non l'onesto, corretto e appassionato contributo alla promozione integrale dell'uomo, oggi come ieri. Lo possono testimoniare senza tema di smentita, quanti, uomini e donne di qualsiasi religione e corso di vita, sono passati per le nostre aule, vi hanno assaporato gli insegnarnenti di vita, e oggi sono sparsi per il rnondo intero. Le istituzioni religiose e lo sviluppo delle scuole nella nostra storia
7. Un rapido sguardo alla storia dell'istituzione seolastica e dei suoi sviluppi rivela un'innegabile veritd: fin dall'antichitd, anche nella nostra terra, i centri religiosi sono i luoghi della fioritura degli studi, della letteratura e dell'arte, insomffra della civiltd nel suo insieme; cid e particolarmente vero delle chiese Cristiane, cosi come delle moschee, che in tale modo si sono ritagliate nella storia un ruolo di preminenza. Tutti conosciamo il oontributo, nella riostra terra, degli antichi monasteri e chiese ortodosse, delle moschee e scuole coraniche, nella storia della scrittura e della letteratura. In sintesi, la formazione, la costituzione e la definizione identitaria e culturale del nostro paese sono fondamentalmente tributarie alle istituzioni religiose.
8. E' altrettanto noto l'apporto della Chiesa Cattolica nell'avvio e negli sviluppi dell'educazione moderna. Introducendo per prima l'arte tipografica nel Corno d'Africa, essa ha aperto la strada alla carta stampata e quindi all'evoluzione della cultura contemporanea.
In epoca coloniale, istituite dal governo per i nativi, e gestite dal Vicariato Apostolico nei limiti del livello di istruzione imposto a quest'ultimo dal governo stesso, ci furono delle rinomate scuole, come quelle di Addi Ugri (S. Giorgio), Segheneyti (S. Michele), Addi Keih (Salvago Raggi), Asmara (V. Emanuele). Dopo la seconda guerra mondiale, per limitarci alla sola cittd di Asmara, fiorirono il Comboni College, l'Universitd di Asmara, il Collegio La Salle, il Collegio S. Anna, la Scuola diurna e serale S. Bernardo, la Scuola primaria e secondaria di S. Antonio Godaif ... ed altre ancora. Dal1965, per iniziative di Sua Beatitudine Mons. Abraha Frangcois, di venerata memoria, furono attive a lungo circa 70 scuole;.annesse alle parrocchie rurali sparse in tutto il territorio.
A iniziare dai tempi del colonialismo italiano, isistemi amministrativi moderni, l'evoluzione della coscienza politica e della cultura letteraria, il progresso delle lingue, hanno trovato i loro migliori cultori negli eritrei usciti dalle scuole gestite dalla Chiesa cattolica e da altre denominazioni religiose. I loro contributi nei processi politici e nella lotta per l'indipendenza occupano un posto di eminenza nella storia di questo paese.
9. E dunque, in quale categoria di possibili e immaginabili spiegazioni inquadrare questo espropriare la Chiesa delle sue istituzioni educative, strumenti attraverso cui ha profondamente inciso nella crescita, nel progresso e nella civiltd di un intero popolo? Con quali fondamenti si di osato dichiararla, con i fatti piuttosto che con le parole, priva di ogni titolo e di ogni diritto di
rivendicazione nei riguardi di tali istituzioni? Se questo non d odio contro la fede e contro la religione, cos'altro pud essere? Togliendo i ragazzi e i giovani da strutture capaci di formarli ai supremi valori del timore di Dio e della legge morale, quali nuove generazioni si vuole preparare per il futuro di questo paese?
10. Con stretto riferimento alle scuole recentemente nazionalizzate, giustificazione del provvedimento non sono state citate dalle autorith, nd d'altronde potrebbero esserlo, nessuna trasgressione delle norme amministrative scolastiche, nessuna infrazione delle regole, nessuna inadeguatezza pedagogica o didattica, nessuna colpa per commissione o per omissione. Da sempre le nostre scuole si sono distinte per qualitd e livello, come d evidenziato dallo svolgimento delle loro quotidiane affivith, e soprattutto dal conseguimento dei migliori risultati negli esami nazionali.
In considerazione di tutto cid, ben lungi dal subire le recenti ingiustificabili alienazioni, esse i pii alti riconoscimenti e incoraggiamenti. Queste cose lo Stato le sa, e, se del caso, se ne pud sincerare riprendendo in mano i rapporti regolarmente inviati al ministero avrebbero dovuto meritare della pubblica istruzione nel corso degli anni.
11. Nella comprensione della Chiesa, d responsabilitd delle autoritd statali assicurare che tutti i cittadini trovino scuole e centri educativi all'altezza della loro missione, garantire ai ragazzi e ai giovani un insegnamento adeguato alla loro eti e alle varie fasi della loro crescita, verificare se le scuole svolgono fedelmente la loro funzione e se seguono le direttive nazionali in materia. Le stesse direttive nazionali devono essere concepite e applicate in maniera tale da essere di valido aiuto a chi ha un ruolo nello svolgimento della missione educativa, incoraggiando chi ha bisogno di incentivi, correggendo chi necessita di correzione, promuovendo la crescita delle istituzioni scolastiche statali e incentivando un'ulteriore qualificazione delf insegnamento e dei processi di ricerca e non statali in tale campo.
I diritti dei genitori e della Chiesa
12. Lo stato ha il dovere di riconoscere e rispettare i diritti universali dei genitori in materia, e questi ultimi hanno il diritto di scegliere i programmi e gli indirizzi scolastici che ritengono preferibili per i loro figli. La Chiesa stessa rivendica la libertd di offrire l'insegnamento scolastico a quanti scelgono di avvalersene. Questo diritto deve essere debitamente riconosciuto e rispettato.
13. Al di le di tutto cid, prendere risoluzioni e intraprendere azioni in qualsiasi modo lesive di questo ed altri diritti, non d accettabile, ed d soprattutto dannoso per tutti. Separando i ragazzi e i giovani dai loro genitori e dalla Chiesa, ignorando i suddetti diritti naturali e universali per "appropriarsi" di tutta la gioventi, impedendo di fatto alla societd civile e alla Chiesa di svolgere la loro missione a vantaggio degli uomini e delle donne di questo tempo e di questo paese, si finisce per restringere o rimuovere lo spazio dell'esercizio della legittima liberti e del diritto fondamentale ed universale delle persone. Quando tutto viene monopolizzato dallo Stato, allora viene negata la liberta del singolo e se ne paralizzano le attivitd. E dove la liberta e il diritto sono negati, non c'e piu spazio ne per la pace, ne per la liberta, ne per il diritto.
base a questi principi, noi, corne persone, come eritrei e come cattolici, formalmente respingiamo tutti i passi che, di tempo in tempo, vengono assunti dallo Stato contro le nostre istituzioni sociali. Ci dichiariamo non disposti a scendere a compromessosi con la violazione dei diritti e dei doveri che ci spettano come cittadini e come credenti. Non si dimentichi che, quando veniamo privati di tali diritti, il primo a divenirne vittirna sono gli uomini e le donne di questo paese, in fondo questo stessa nazione. Per le finalitd per le quali esistono, e per come hanno sempre operato e servito, le nostre istituzioni sono interamente a servizio del popolo e della nazione. Deve essere chiaro nella consapevolezza di tutti che, quando tali istituzioni vengono statalizzate e i diritti della Chiesa conculcati, i conseguenti gravissimi danni ricadranno sulle spalle dell'intero popolo e dell'intera nazione.
ln Conclusione
14. Dopo aver esplorato, seppure in minima parte, il passato e il presente della missione della Chiesa in campo educativo nel nostro paese, possiamo concludere che il consuntivo che ne emerge di segno altamente positivo e non presta il fianco a giudizi negativi.
Pertanto:
a) considerato che le azioni che si stanno assumendo ai danni delle nostre istituzioni educative e sanitarie sono contrarie ai diritti e alla legittima libertd della Chiesa, e pesantemente limitano l'esercizio dei postulati della sua fede, della sua missione e dei suoi servizi sociali, chiediamo che le recenti risoluzioni vengano rivedute e il conseguente corso d'azione tempestivamente fermato.
b) chiediamo inoltre che a tutte le istituzioni educative e sanitarie della Chiesa, in quanto legittimatemene appartenenti a noi cittadini eritrei, venga concesso di poter continuare i loro preziosie altamente apprezzati servizi al popolo.
c) In caso ci si trovasse di fronte a situazioni bisognose di correzioni o di aggiustamenti, non solo d bene, ma addirittura l'unica via praticabile, che cid awenga nel contesto di un aperto e costruttivo dialogo.
frutto la sua lunga tradizione, la sua plurisecolare esperienza, le sue energie e risorse, dare continuitd al suo servizio in campo educativo, a qualsiasi livello e di qualsivoglia genere, nel rispetto delle relative normative statali. Riteniamo lesiva della sua libertd e dei suoi diritti qualsiasi azione contraria a una tale
missione. Fintanto che non le saranno restituiti tali diritti, essa, insieme con i suoi fedeli, continuera ad elevare la sua implorante voce al Signore, cosi come non cesserir di chiedere giustizia a chi detiene il potere di amministrarla.
15. Dichiaramo altresi che d nei piani e nei propositi della Chiesa mettendo a
Che il Signore renda questa nazione un paese dove regnano la pace, la giustizia e la verita.
Gli Eparchi Cattolici
Mons. Menghisteab Tesfamariam, arcivescovo metropolita,
Mons. Thomas Osman, Eparca, Barentu.
Mons. Kidane Yebio, Eparca, Cheren.
Mons Fikremariam Hagos, Eparca, Segheneyti.
lunedì 9 settembre 2019
Eritrea: Lettera Appello al Governo Italiano
Al prof. Giusepep Conte,
presidente del Consiglio
p.c. on. Luigi Di Maio,
Ministro degli Esteri
Gentile presidente,
torniamo a scriverle, a nome
dell’agenzia Habeshia, dopo la lettera-appello che le abbiamo
inviato alla vigilia del suo viaggio ad Asmara, un anno fa. Un altro
anno di gravi sofferenze e soprusi subiti dal popolo eritreo. E di
grande delusione – l’ennesima delusione – per chi sperava che
la firma del trattato di pace con l’Etiopia, dopo vent’anni di
guerra, avviasse finalmente il nostro Paese sulla strada della
libertà e della democrazia.
Vogliamo partire da un
episodio accaduto proprio in questi giorni. Come certamente sa, il
regime ha chiuso e preso possesso di sette scuola gestite da
organizzazioni religiose, in maggioranza cattoliche ma anche
cristiane protestanti e islamiche. Scuole completamente gratuite,
frequentate dai ragazzi delle famiglie più povere ed emarginate e
che operavano in diverse città, scelte con il criterio di
intervenire lì dove la necessità è maggiore. Il Governo ha
giustificato il provvedimento con la legge del 1995 che assegna alla
esclusiva competenza dello Stato ogni forma di attività sociale e di
assistenza. Ma che questa legge sia soltanto un pretesto emerge dal
fatto che in realtà quegli istituti hanno operato per anni, senza
che lo Stato si sia mai intromesso. C’è da credere, allora, che si
tratti di una ritorsione contro la Chiesa Cattolica eritrea la quale,
attraverso i suoi vescovi, ha sollecitato una concreta politica di
riforme, l’attuazione della Costituzione approvata nel 1997 ma mai
entrata in vigore, la convocazione di libere elezioni.
E’ – questo delle scuole –
solo l’ultimo anello di una lunga catena di vicende che dimostrano
come dalla firma della pace in poi, nel luglio del 2018, in Eritrea
in realtà non sia cambiato nulla. Prima ancora delle scuole, nel
mese di luglio, sono stati progressivamente chiusi ben 21 ospedali o
centri medici, anche questi gestiti da organizzazioni religiose,
anche questi completamente gratuiti, anche questi unico, essenziale
punto di riferimento per migliaia di persone delle classi più
svantaggiate. Anche questi dislocati nelle zone dove sono più
evidenti il bisogno, il disagio, la povertà. E queste prepotenze,
pur colpendo di fatto, in primo luogo, proprio il popolo in nome del
quale la dittatura dice di governare, per certi versi sono ancora il
meno, perché non sono mai cessate persecuzioni molto più dirette,
fatte di soppressione di ogni forma di dissenso, arresti, sparizioni
forzate, carcerazioni senza alcuna accusa, galera, angherie e minacce
anche nei confronti dei dissidenti della diaspora che cercano di
combattere o comunque non esitano a denunciare il regime dall’esilio.
La realtà, in Eritrea, è
cristallizzata a un anno e più fa: non è stato liberato uno solo
delle migliaia di prigionieri politici (detenuti in condizioni
inumane e quasi sempre in località segrete e inaccessibili) ma anzi
altri se ne sono aggiunti; la Costituzione del 1997, “congelata”
prima ancora che entrasse in vigore con il pretesto della guerra
contro l’Etiopia, resta lettera morta; continua, nonostante non ci
sia più neanche il pretesto del “nemico alle porte”, la
militarizzazione totale della popolazione, attraverso quel servizio
di leva a tempo indefinito che ha trasformato il paese una enorme
caserma/prigione, fornendo al regime sia soldati in armi che
manodopera a bassissimo costo per un lavoro che rasenta la schiavitù.
Che nulla sia cambiato lo
dimostrano non solo le voci delle migliaia di ragazzi che continuano
a scappare, svuotando l’Eritrea delle sue energie migliori, ma
anche la recente relazione di Human Rights Watch e soprattutto il
rapporto dell’Onu che nel luglio scorso (a un anno esatto dalla
“pace”) ha confermato il mandato alla Commissione d’inchiesta
sulla violazione dei diritti umani. O, peggio, se qualcosa c’è di
nuovo, questo “nuovo” è solo un incredibile rafforzamento della
dittatura, grazie all’apertura di credito “al buio” concessa al
regime da parte della comunità internazionale e, in particolare,
proprio dall’Italia, all’indomani della riconciliazione con
l’Etiopia. Un rafforzamento, cioè, di quello che è il nodo
cruciale: l’Eritrea è quello che è stata in tutti questi anni ed
è tuttora – spingendo centinaia di migliaia di persone ad
abbandonarla – non perché ci fosse la guerra con l’Etiopia, ma
perché ad Asmara è al potere una delle più feroci dittature del
mondo.
Un anno fa, partendo per
Asmara, lei tenne più volte a sottolineare il fatto che l’Italia
era il primo Stato occidentale a recarsi in visita ufficiale in
Eritrea dopo la firma della pace. Una visita che – si disse –
avrebbe inaugurato una sorta di “nuovo corso”. A quel suo viaggio
hanno fatto seguito diverse altre importanti “aperture”, come la
missione ad Asmara dell’allora viceministro degli esteri Emanuela
Del Re, con al seguito decine di imprenditori italiani, o l’impego
a finanziare una serie di opere e infrastrutture nel paese. Ecco, a
un anno di distanza, ribadiamo con ancora più forza l’appello che
le abbiamo lanciato allora. Comprendiamo bene che un Governo, uno
Stato, deve avere rapporti anche con dittature come quella di Asmara.
E’ nell’ordine logico della politica internazionale. Il punto,
però, è “come” vengono impostati questi rapporti. Si può fare
finta di nulla, chiudendo gli occhi di fronte alla realtà, in nome
di interessi geostrategici ed economici. Oppure si può partire
proprio da quella realtà, per impostare ed aprire i rapporti ponendo
precise condizioni preliminari: tenendo ben ferma, cioè, la
questione del rispetto dei diritti umani come requisito
irrinunciabile e invalicabile, anteposto ad ogni altro genere di
interessi.
La cosiddetta “realpolitik”
liquida o addirittura bolla il tipo di scelta che suggeriamo come del
tutto teorica e non percorribile. In una parola, “roba da sognatori
idealisti”. Noi ci limitiamo a ricordare che le innumerevoli
situazioni di crisi che stanno sconvolgendo in questi anni l’Africa
e più in generale il Sud del mondo, sono quasi sempre frutto proprio
della “realpolitik”. E che la vera sfida, se si vuole trovare una
soluzione a queste “crisi” disastrose che alimentano la fuga di
milioni di persone, è avere il coraggio di adottare una politica
diversa, più vicina agli interessi veri delle popolazioni e più
attenta alle realtà in cui ci si trova ad operare.
Questo discorso vale anche per
l’Eritrea, dove è la “realpolitik”, appunto, a contribuire a
tenere in piedi la dittatura che è al potere ormai da vent’anni,
contro il suo stesso popolo. Costituendo il nuovo esecutivo, lei ha
voluto precisare che sarà “un governo di svolta”. Ecco, alla
luce di quello che anche in quest’ultimo anno si è rivelata
l’Eritrea, chiediamo a lei e al nuovo ministro degli esteri, Luigi
Di Maio, di segnare una immediata, decisa discontinuità nei rapporti
stabiliti dall’Italia nei confronti di Asmara. Un cambiamento
netto, anzi, l’abbandono, in buona sostanza, di quella politica di
progressivo riavvicinamento e “recupero” o addirittura di
rivalutazione della dittatura di Isaias Afewerki, che è iniziata sul
finire del 2013 ma che ha progressivamente segnato una accelerazione
negli ultimi anni, fino a raggiungere il culmine nei mesi del suo
precedente Governo.
Si tratta di scegliere tra
l’attuale sistema di potere e la stragrande maggioranza della
popolo eritreo che ne è schiavizzato. E i popoli non dimenticano mai
chi si schiera al loro fianco. Di più: con questa scelta l’Italia
può lanciare un segnale importante all’Unione Europea, inaugurando
e guidando un modo diverso di porsi da parte del Nord nei confronti
del Sud del mondo.
Confidiamo che vorrà tener
conto di queste nostre considerazioni e nel ringraziarla comunque per
l’attenzione che vorrà dedicarci, le inviamo i nostri più
cordiali saluti,
don Mussie Zerai
presidente dell’agenzia
Habeshia
martedì 30 luglio 2019
Precisazioni e chiarificazioni in margine alla nazionalizzazione delle cliniche cattoliche in Eritrea.
La
Chiesa, nel continuare il suo servizio al suo Signore, non può non interessarsi
anche dei problemi e delle necessità dell’uomo (salute, istruzione, etc.),
perché vi è un preciso comandamento di Gesù Cristo, secondo il quale non basta
amare e onorare Dio: è altrettanto doveroso amare il prossimo, tutti gli uomini,
e fare loro del bene. Il servizio che la Chiesa offre agli uomini e alle donne
per mezzo dei suoi figli e figlie non ha finalità di proselitismo religioso: molto
semplicemente esse vanno incontro alle necessità degli uomini e delle donne di
ogni tempo perché ciò fa parte integrale
della sua fede. Infatti “la fede senza le opere è morta” (Gc 2,26).
Con riferimento alla recente
nazionalizzazione delle cliniche cattoliche da parte del governo eritreo, in
queste settimane abbiamo registrato alcuni commenti e dichiarazioni palesemente
erronei e fuorvianti, a cui riteniamo di dover offrire essenziali
chiarificazioni per chi ha interesse di conoscere la verità dei fatti.
1.-
Le recenti misure adottate dal governo eritreo, si dice, sarebbero un’applicazione
del proclama del 1995!
Quando fu emanato quel Proclama, la
Chiesa Cattolica in Eritrea consegnò alle più alte autorità statali una chiara
ed articolata riflessione/risposta sui punti centrali del documento, con lo
scopo di facilitare una reciproca comprensione e suggerire modifiche e correzioni
al medesimo testo. Si partiva dalla premessa che non era possibile tacere
quando ci si trovasse di fronte a problemi ed approcci che toccavano la propria
identità, i propri diritti e doveri. Per questo si proponeva al Governo un
dialogo, in quanto ciò costituiva parte della sostanza della libertà, la quale
a sua volta avrebbe permesso alla Chiesa di autodefinirsi e di illustrare la propria
identità, i propri diritti, missione e servizi. Più specificatamente, nella sua
riposta, la Chiesa chiarì, puntualizzò e corresse gli errori e le imprecisioni
contenute nel Proclama relativamente a quelle specifiche tematiche.
Tutto ciò premesso, la nostra risposta ribadì
che ogni servizio che la Chiesa svolge a favore dell’uomo e della donna non
solo non ha nulla di incompatibile con le leggi e con la legalità, ma si propone
di sostenere i principi che lo stato, qualsiasi stato, afferma di volere
promuovere per la vera e autentica crescita e maturità della società umana. In
termini di tempo è di spazio, la Chiesa ha perseguito tali finalità per duemila
anni e in tutti le latitudini del mondo. Ad essa non bastano chiese e cappelle
per esplicitare la sua identità religiosa e celebrare la sua fede. Le occorrono
luoghi e strutture anche per attuare quella componente integrale del suo credo
religioso che è l’amore per il prossimo. La Chiesa non obbliga nessuno ad
avvalersi delle sue attività socio-caritative; è semmai essa stessa obbligata,
e ne ha il diritto, di adempiere tutti i suoi doveri verso chi sceglie di ricorrere
ai suoi ministeri di carità: poiché, lo ribadiamo ancora una volta, ciò fa parte
essenziale della sua fede, e senza di esso questa perde il suo significato.
Perciò guai, se per inerzia o pigrizia della Chiesa, tali opere venissero a
mancare fra i suoi ministeri! D’altra parte, se per intervento di forze esterne
le venisse impedito di svolgere le opere di carità, verrebbe violato il suo
diritto al libero esercizio della fede.
2.-
Le istituzioni caritative gestite dalla Chiesa, si afferma, non apparterrebbero
né ad essa, né agli istituti religiosi ivi impegnati, e nemmeno li riguardano, in
quanto sono donazioni di enti di beneficenza.
a. Gli aiuti erogati ai bisognosi che ricorrono
alle nostre strutture non sono donazioni di un non meglio specificato e definito,
sedicente benefattore, bensì l’espressione di un’organica e programmata cooperazione
inter-ecclesiale, cioè fra le comunità cattoliche sparse nel mondo da una
parte, e le chiese viventi ed operanti in mezzo alle popolazioni in via di
progresso, dall’altra. Gli enti di beneficenza che, in tale contesto, ci offrono
i loro aiuti, lo fanno con la deliberata e dichiarata intenzione che siano a
nostra completa disposizione, affinché tramite noi raggiungano i bisognosi. A
tale fine, gli aiuti ci vengono consegnati in base ad una comprovata e
consolidata fiducia nei nostri confronti. Altrimenti, perché mai i nostri
partner non li avrebbero consegnati alle istituzioni statali? D’altro canto
forse che gli stessi governi non ricevono aiuti destinati al popolo e alla nazione
da parte di enti e istituzioni che anch’essi chiamano “sostenitori” o
“partner”?
b. Le istituzioni di beneficenza sono
libere, nel rispetto della legge, di fare gestire i loro aiuti da chi vogliono.
In tale contesto esse scelgono di avvalersi delle congregazioni religiose
cattoliche e consegnano ad esse i loro contributi, in quanto le ritengono
competenti e dirette conoscitrici delle necessità e dei problemi delle nostre
popolazioni.
c. In quanto persona giuridica, anche la
Chiesa ha il diritto nativo di acquisire e di possedere: tale diritto afferisce
alla sua identità, alla sua fede e ai suoi servizi.
d. Non vediamo nessun ragionevole motivo
perché l’esercizio di un simile diritto possa essere vietato, fintantoché rimane
immune da reati o da azioni a questi riconducibili. Anzi, tale esercizio è reso
inderogabile dai bisogni e dalle necessità delle persone. Con coscienza
tranquilla possiamo riaffermare l’integrità morale e la trasparenza deli nostri
servizi, ieri come oggi, così come la loro utilità per gli uomini e le donne del
nostro paese. E’ quanto può essere attestato da tutti, amici e meno amici, nella
stessa misura.
e. In considerazione dei punti di cui
sopra, le competenti autorità ministeriali e governative stesse hanno sempre
riconosciuto quanto veniva in nostro possesso, attraverso un processo di
ricognizione e registrazione legale, con relativa documentazione e sotto il
nostro nome.
3.
Le cliniche e le scuole gestite dalla chiesa, secondo qualche isolata voce, opererebbero
solo in aree cattoliche!
a. Se non fosse che c’è sempre qualche incurabile
ingenuo in giro pronto ad abboccare all’amo, e che non sarebbe giusto lasciare che
gli ingannatori per hobby o per professione scorrazzino liberamente nei media,
la falsità dell’addebito è talmente evidente, che non ci sarebbe nemmeno
bisogno di soffermarvisi. L’lato numero e
la diffusione nel mondo di eritrei, istruiti e curati nella scuole e nelle
cliniche cattoliche senza distinzione di
razza, di religione, di cultura, sono una vivente testimonianza
dell’universalismo delle nostre opere. Siccome tali opere, lungi dall’essere
come dei segni sulla sabbia, sono riccamente documentate, archiviate, e
riportate nei più svariati curricula e certificati, sarebbe estremamente
agevole, per chi se ne curasse, conoscere chi ha studiato dove, e chi si è
curato dove! Basterebbe una scorsa ai registri conservati nelle nostre
strutture e nei competenti ministeri governativi.
b. Un altro punto che non richiede né
studi approfonditi, né analisi, è la distribuzione delle nostre attività
caritative e di promozione sociale nell’intero territorio nazionale: basterebbe
aprire bene gli occhi e dare uno sguardo alla collocazione geografica delle nostri
strutture da una parte, e le aree di insediamento delle comunità cattoliche
dall’altra: così la grossolana falsità dell’addebito salterebbe da sola agli
occhi!
c. L’accusa che la selezione dei
destinatari delle nostre opere obbedirebbe a criteri etnici, religiosi, ecc… è
platealmente smentita da un altro dato di fatto: non solo le persone che
beneficiano dei nostri servizi, ma perfino quelle che erogano tali servizi –
dal portinaio, agli insegnanti, agli, infermieri e ai medici - appartengono alle più diversificate
provenienze religiose, culturali, etniche!
5.
Le strutture caritative, così l’ennesima bufala, sarebbero strumenti di
proselitismo religioso!
a. I propagatori di questa falsità in
genere si ricollegano a quella riportata al n.3 e, inevitabilmente, l’accusa gli
si sfarina in mano: se queste strutture servono solo quanti appartengono già
alla Chiesa cattolica, come è possibile che le medesime siano strumenti di
proselitismo cattolico?
b. Possiamo lanciare una sfida? Se c’è
qualcuno o qualcuna - fra le centinaia di migliaia di persone passate per le
nostre strutture - a cui è stato chiesto di accettare il Cattolicesimo come
precondizione per essere curati o istruiti,
può per favore farsi avanti e alzare la mano a conferma di tale
illazione? Siamo certi che i propagandisti
si sarebbero trovati davanti a una smentita senza appello! Più semplicemente è
nel modus operandi e nella missione della Chiesa non sfruttare la povertà degli
individui per ingrossare le file dei suoi membri e, ugualmente, non accogliere chiunque,
spinto o ingannato da interessi materiali, chiedesse di fare parte delle sue
comunità di fedeli. Infatti la parola di Gesù è esplicita a tal proposito: “voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché
avete mangiato di quei pani e vi siete saziati” (Gv 6,26).
c. Ben diverso è invece il discorso di
chi liberamente e spontaneamente chiede di unirsi alla Chiesa cattolica, perché
edificato dalla testimonianza di vita e dalla totale dedizione a Dio e ai
fratelli di quanti e quante operano nelle nostre strutture. Ma ciò, lungi dal privare di un diritto il richiedente, è
semmai motivo di onore per tutte la parti in gioco: per coloro che con la loro
vita e il loro disinteressato servizio incarnano una testimonianza viva e
credibile, come per quelli che con piena cognizione di causa, maturo
discernimento e libera scelta, lasciandosi ispirare dalla testimonianza delle
persone con cui vengono a contatto, decidono di unirsi alla Chiesa cattolica.
Tale scelta è frutto della libertà e della lucida riflessione personale;[1]
contestualmente, ogni persona ha il diritto inalienabile, radicato nella legge
naturale e riconosciuto dalla leggi internazionali, di fare le proprie scelte religiose, senza
condizionamenti e senza coercizioni.
Further Clarifications on the Recent Nationalization of the Catholic Clinics in Eritrea
The Church, while carrying on her service to the Lord,
cannot forsake the problems and difficulties of man (health, education…). In
fact Jesus Christ has left her with an unambiguous commandment: it is not
sufficient to love and honor God, it is as much mandatory to love one’s
neighbor and to cater to his needs. The services that the Church renders to
society through her sons and daughters have no purposes of religious
proselytism. She serves man in his diversified needs only and simply because
charity is a constitutive part of her faith: in fact, “faith without charity is
dead” (Jm 2,26).
With reference to the nationalization of the Catholic
Church’s clinics by the Eritrean government, in the last few weeks we have
recorded some comments and declarations, which are overtly untrue and
misleading. Hence, the need, on our part,
to offer our clarifications and refutations to such allegations for the sake of
anyone interested in knowing the truth of the matter.
1.-
The recent measures taken by the
Government would be, it is said, an application of a 1995 proclamation!
When the Proclamation was issued, the Catholic Church
earnestly elaborated a clear and articulate response on the central points of
the document, and delivered a finalized text to the highest government
authorities. Her aim in doing so was to facilitate a mutual understanding and
to suggest modifications and amendments to the Proclamation. The legitimate
presupposition from which the Church’s response set out was that it was
impossible to keep silent when one is confronted with issues and approaches
that, directly or indirectly, infringed on one’s identity, rights and duties.
The proposal that was submitted to the Government as a result of the above
premise was to be open to dialogue, as this was a substantial part of freedom,
which in turn would allow the Church to define herself and to illustrate her
duties, rights and mandate. More concretely, in her response, the Church
clarified, specified and amended the errors and inaccuracies contained in the
Proclamation.
With all of the above in mind, our response restated
that whatever service that the Church carries out fort man’s benefit, far from
being incompatible with law and legality, purports to buttress the principles
that the state itself, every state for that matter, claims to be committed to, for
the promotion of society’s veritable growth and maturity. In terms of time and
space, the Church has pursued such goals for two thousand years now and in
every latitude of the globe. She does not need only churches and chapels to
celebrate her faith and to perform her worship. She needs places and structures
as well, in order to give concreteness to that other dimension of her faith
which is love for neighbor. Obviously the Church would never force anyone to
resort to her social and charitable services. Instead, she has the duty, and
the right, to fulfill all her responsibilities towards anyone who chooses to
benefit from such services, because, let us repeat it once again, this is an irreplaceable
part of her religious faith. If the
Church misses such a dimension, it is faith itself that falls into irrelevance.
Woe then, if due to inertia or laziness, the Church fails to meet her vocation
to the ministry of charity. On the other hand, if and when external forces
prevent her from carrying on her works of charity, then they would violate her
right to the free exercise of faith.
2. The
charitable institutions of the Church - here is another specious allegation -
would belong neither to her, nor to the religious institutes in charge of them,
and they wouldn’t even concern them, as the said charitable institutions are donations
from external benefactor entities.
a. The
aid that is delivered out to the needy who come to our structures for help
originates not from unspecified, undefined, self-styled benefactors; it is
rather the result of an organic and properly planned inter-ecclesial
cooperation, i.e. between the Catholic communities throughout the world and the
church communities living and ministering in the developing countries. In this
context, the donor entities deliver their aid to us with the clear
understanding that it is put entirely at our disposal, so that, thorough us, it
may reach out the needy. To that
purpose, the aid is delivered to us by the donors on the basis of a proven and consolidated
trust towards us. Otherwise one cannot fathom why the donors would not send
their donations to the state authorities! On the other hand, who can deny that
the governments themselves do receive aid for the population from individuals,
groups, and organizations which they call “supporters” or “partners”?
b. The donor institutions are free, always with due
respect for the law, to choose or select whomever they see fit to run and
administer their aid. In our specific
context, from the very beginning they have chosen to avail themselves of the
Catholic religious institutes, and entrusted them with the responsibility of
administering their contributions. This they have done on the basis of their
high consideration for our personnel’s competence and first-hand knowledge of
the needs and problems of our people.
b. Inasmuch as a juridical person, the Church too has
the native right to acquire and possess. Such a right is rooted in her very
identity, faith and multifarious charitable ministries.
c. This said, we don’t see any reasonable motivation
why the exercise of such a right should be outlawed, as long as it remains
immune from crime, or whatever action retraceable to crime. To the contrary,
the exercise of such a right is made imperative by the urgent needs of the
people. In this connection, we have the privilege of stating, with clear
conscience, the moral integrity and the transparency of our charitable services
to the people, yesterday as much as today, and to reiterate the critical
importance of all such services for the people. This can be attest to, anytime,
by everybody, friends and not friends alike.
d. In view of the above points, the competent
ministerial and government authorities themselves have always recognized
whatever aid came into our hands, through a process of recognition, legal
recording and related documentation under our own name.
3.
Another gross misrepresentation: the clinics and schools of the Catholic Church
would be located only in Catholic areas!
a. Gross misrepresentations such as the above wouldn’t
deserve the slightest attention, if it were not for the existence of some incurably naïve people ready to bite the hook,
and for the need to keep track of the fabricators of lie running about the wide
spectrum of social media. The sheer
number and the worldwide spread
of Eritrean men and women educated and treated in our catholic institutions
irrespective of ethnicity, religion and culture, is an incontrovertible
evidence of the universalism of our work.
All such activities are so well documented, properly filed and
accurately recorded, that it would be extremely easy, for anyone interested, to
verify who has studied or was treated where. Leafing through the registers kept
in our centers and at the relevant government ministries would be sufficient to
confirm the truth of our statements.
b. Another
point which does not require particular enquires or deep analyses is the
distribution of our charitable activities and
social promotion facilities (clinics and schools) throughout the
national territory: it would suffice to give a glance at the map and
identify the location of our social
structures on the one hand, and the areas of Catholic settlements on the other:
no doubt, the falsehood of the above contention would come to the fore in no
uncertain terms!
c. One more solid evidence disproving the claim that
the services provided by our centers obey to ethnic, religious or cultural
biases, is the fact that not only the beneficiaries of our centers, but the
staff and the personnel working in them too, right from the doorman up to the
teaching staff, the paramedical and the medical personnel, belong to the most diversified
ethnic, religious, and cultural provenances.
4. According
to one more hoax, our charitable institutions would be instruments of religious
proselytism.
a. The
propagandists of such an allegation, generally, reconnect themselves to the one
we have already mentioned above (see n.3), and inevitably their accusation is
pulverized by its own internal contradiction: if our social structures are
supposed to serve only the members of the Catholic community, how on earth is
it possible for them to become, at the same time, instruments of Catholic
proselytism?
b. At this point, may we launch a challenge? If, from
among the hundreds of thousands of men and woman who have attended our
institutions, there is someone to whom conversion to Catholic faith was requested
as a precondition for access to our services, can he or she please raise his or
her hand? We are definitely certain that the above accusers would be hopelessly
belied by all the evidences to the contrary. More simply, it is a normative
modus operandi of he Church not to exploit the poverty of people in order to
increase the numerical consistency of her membership. By the same token, the
Church would never accept anyone who would ask to join her faith community
guided by material interests; for the Lord’s word is explicit: “you are looking
for me, not because you saw the signs I have performed, but because you ate the
loaves and had your fill” (Jn 6,26).
C. Quite different is instead the situation of those
who, inspired by the witness of total dedication to God and to the brothers
offered by the men and women serving in our structures, freely and
spontaneously ask to join the Catholic Church. Here we have an instance in
which the applicant cannot be deprived of the right of free choice. Rather,
there is sufficient room for a legitimate pride for all the parties involved:
for those who, with their life and selfless service, incarnate a living and
credible witness, as well as those who, with full knowledge, mature discernment
and free deliberation, choose to join the Catholic Church. The truth in fact is that every person has the
inalienable right, rooted in the natural law and recognized by international
legislation, to make his religious choice, without coercion, manipulation or
conditioning of any type.
mercoledì 10 luglio 2019
Clarifications about the recent nationalization of the Catholic Church’s Health Centers in Eritrea
kòq ÃöIÊq ŠrDïŠgñq kòo‹X]oñ¥} „íXqV
ERITREAN CATHOLIC SECRETARIAT
(Er.C.S)
2/4 Digsa Street-178
P.O.Box
1990
ASMARA-ERITREA
Tel.
120514/125000
Fax
+291-1-120070
…]KV________________
ASMARA
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Ref. No
Clarifications about the recent nationalization
of the Catholic Church’s Health Centers in Eritrea
Asmara, 25 June 2019
(Translation
from the Tigrinya original language)
In recent weeks, twenty-one Catholic Church-owned
clinics, spread throughout the country, have been confiscated on the orders of
the Eritrean government. If we recall the eight closures of last year, again at the order of the government, the health Centers
condemned to suffer such a fate amount to twenty-nine units. Though the
Catholic Bishops have expressed their opposition to this measure, they have not
yet received any response from the State authorities. On the other hand, some
information has been passed on to the mass media which, for being decidedly
erroneous or deliberately misleading, is confusing those who, far or near, are
unable to verify its reliability. It is precisely for the benefit of the latter
that we consider it our duty to offer the following clarifications and
specifications.
1. Mr. Tajadin Abedel Aziz, Director of the Public
Relations Office of the Ministry of Health, in an interview with Asmara’s
correspondent of Radio Voice of America on 12 June 2019 said, against
the evidence of the facts, that “it was a matter of administrative actions
of delivery and not of closure or of nationalization of the Centers, or of
intimidation of staff and employees.”
- Well, we all know what the terms “delivery/passing
on of something to someone” mean in the common modus operandi. How then to
define behaviors such as: taking unilateral decisions about our structures
and personnel without any previous agreement on the matter, without any
notice, without a minimum of dialogue with the legitimate superior
authorities who own those structures, without any attempt to understand
the spirit and purpose of such institutions?
- If it had been a matter of “delivery”, is it
acceptable that those who requested them [the government envoys], indeed
imposed them, did so without presenting a letter, a formal written piece
of document of accompaniment, signed by the higher sending and ordering
authority? In the absence of all this, can anyone politely tell us in
which category of actions should we classify what has happened in our Centers
in these days?
·
Such being the situation,
it is useless to declare that this was not a question of nationalization: the
action taken against our Clinics was not only such, but on account of the way it
was carried out, it went far beyond mere nationalization! While in some
locations actions of force were involved, in other Centers the staff were
ordered to “get out of the way”, the premises were sealed, and the staff was placed
in a position to be unable to accommodate patients…
·
Words of threat and bullying have been spoken in
various Centers. This could be observed by people who, unexpectedly, found
themselves involved during the course of these deplorable events. When the
staff on duty at our Clinics were required to sign the property transfer of the
premises, and legitimately and conscientiously replied that such an act was not
of their competence - as they were just mere executors of higher orders, and
specified that such an act was of competence of the Church authority - at this
stage the reaction of those making the request was more of intimidation and,
sometimes, of blandishment.
2. Often, when issues such as the ones we are now
talking about are raised, there is a kind of mantra repeated over and over
again: “We have not touched religion”, “religious freedom is protected and
guaranteed by law”, “Eritrea is a secular state” (in Tigrinya ‘alemawi:
secular’), “State and religions, Politics and religions are separate
realities”, and so on.
·
It is our firm belief that, with the recent
requisitions of our Clinics, a specific right of our religion has been
violated, which prescribes “to love others and to do good to them”. Any measure
that prevents us from fulfilling - within the law and without harming anyone -
the obligations that come to us from the supreme commandment of brotherly love,
is and remains a violation of the fundamental right of religious freedom. At
the same time, another right is violated: the right of people who choose, or
need to, make use of our social services.
·
To freely carry out a just obligation of one’s own
religion, without harming others and in full compliance with the law, in no way
can be configured as an encroachment on politics. In this case, neither we nor
our social institutions can be accused of “political interference”, just as we
cannot be accused of having exceeded the limits of our rights or of having
committed acts of partisanship, ethnic-religious
discrimination or favoritism, in our services among the population. The persons
who, in one way or another, attend the contexts in which we operate and serve,
will be able to witness to this without fear of denial.
·
Moreover, does the fact
that a State pursues a secular political line imply the right to impede, on its
part, the works of charity that are carried out on the basis of one’s religious
belief? If there is a new definition of secularity, we would be really happy to
know about it! Otherwise, what is the point of trumpeting the full respect of
religious freedom while, at the same time, the State binds hands and feet
(figuratively!) to those who, for a free personal choice, have dedicated their
lives to the service of others, especially the neediest?
· More
was said about the clinics in question: it was stated that their closure would
not have a significant (negative) impact on the NHS, and even if such an impact
existed, it wouldn’t make any difference... There’s no need to discuss the
matter! It would suffice that a third and autonomous party goes to the sites
and checks the situation personally, or that it inspects the records of the
Ministry of Health, which monthly collected reports on the activities carried
out by our Clinics: it would have seen firsthand that the patients making daily
use of such clinics are in the hundreds, while the annual figures amounted to more
than 200.000 patients. These numbers are enough to highlight the total untenability
of the aforementioned statements.
3. There are many States in the world, among which some
of the countries not far from Eritrea, that follow the so-called “lay” or “secular”
political line. Nonetheless, they have not banned the charitable and social works
of the Church or confiscated the means and structures that the Church owns and
uses to carry on such works. In those countries, the Church has always operated, and it still operates, without problems and without
hindrance. Unfortunately, here with us, this pseudo-argument is becoming a
pretext or a cover-up for an embezzlement of Church’s assets and for an unjust proscription
of its social activities.
4. Finally, it must be taken note of , fortunately
isolated, defamation campaign against the staff employed in the health Centers
of the Catholic Church: innocent staff, who in this way is struck with impunity
in its honorability. The creator of this muck-machine is a certain Edoardo
Calcagno, journalist of the “Good Morning News” website . Having compiled information
completely bereft of sources and evidence, the
journalist carried out an irresponsible act, devoid of the most basic sense of
professional ethics. Who’s behind it? What interests are at stake? Whatever the
possible answers to these questions, the fact is that
the reporter has presented the employees of our
clinics in the guise of a corrupt gang, responsible for diverting the money
destined for activities of the Centers. The recent government nationalization
of the Clinics, always in his opinion, is to be regarded as a response to such
misdeeds!
·
The very fact that someone like Calcagno, who has the
blessing of living in a free and democratic country, has chosen to make such
infamous judgments without having listened to the opinion of both sides involved,
is in itself an indication of the non-transparent purpose of his work and of
his questionable credibility.
·
Secondly, the charities that finance the activities of
our Centers and regularly review the accounts are geographically not far from
where he works; and it would not have been a superhuman undertaking for him to
scroll through the regular reports that our offices submit to them
semi-annually and annually.
·
Finally, the fact that the government officials
charged with nationalizing the Clinics or, as they say, with “taking them under
their care” have not made the slightest mention of corruption, financial
mismanagement, incompetence, discrimination of any kind, doesn’t this say
anything to the aforementioned journalist? If anything, the suspicion that
comes to us is another: will it not have been the very efficiency and
administrative cleanliness of our Centers that made them the victim of the
measures that we now have to regret?
It is therefore clear that
Mr. Calcagno’s charges do not find confirmation in the same bodies for which he
has chosen to spend his generous advocacy!
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