mercoledì 21 aprile 2010
Eritrea: La pace lontana, i diritti negati. Quale prospettiva?
Pur se con una settimana di ritardo, mi sembra però doveroso, soprattutto per chi non c'era, riassumere in qualche riga l'incontro Eritrea. La pace lontana, i diritti negati. Quale prospettiva? svoltosi il 14 Aprile scorso, ospitato dal Circolo PD Quindici Martiri di Milano.
I temi proposti, quelli della involuzione in senso fortemente autoritario dittatoriale di quel regime e quelli delle prospettive perché il popolo eritreo possa tornare a godere di dignità umana e dei diritti civili, sono stati ampiamente esaminati dall'inviato del "Corriere della Sera", Massimo Alberizzi e dal rappresentante in Italia del Partito Democratico del Popolo Eritreo, Desbele Mehari. Lo scrivente queste note ha coordinato l'incontro.
Massimo Alberizzi ha una importante esperienza delle vicende del Corno d'Africa, tanto da essere stato nominato consulente del Consiglio di Sicurezza dell'ONU per l'investigazione del traffico d'armi nel Corno d'Africa. Catturato dai militari della dittatura in Eritrea, Alberizzi in Somalia ha anche subito il rapimento da parte delle Corti islamiche nel dicembre del 2006. Per i risultati cui è pervenuto nel suo lavoro, naturalmente non è ben visto dalla dittatura eritrea che a lui, come alla gran parte dei giornalisti, nega il permesso di entrare nel Paese.
Desbele Mehari vive da moltissimi anni in Italia, lavora in INCA-CGIL, si occupa attivamente delle vicende del suo paese di origine cercando di consolidare in Europa e in Italia le basi del movimento democratico degli eritrei che vogliono che nel loro paese si attui la costituzione deliberata a suo tempo dal Parlamento, si possano costituire partiti politici, si convochino le elezioni politiche da sempre promesse e mai attuate, si sospenda l'uso della tortura, si stabilisca la libertà di stampa, si conceda la libertà ai giornalisti incarcerati, si conceda agli organismi internazionali come la Croce Rossa di visitare i detenuti politici che da un decennio languono in carceri segrete, privi di ogni contatto perfino coi familiari che non sanno nemmeno se i loro cari sono ancora in vita, ecc.
Sullo stato di oppressione del popolo eritreo i relatori hanno prodotto documentazioni indiscutibili, rinforzate dalle relazioni annuali degli organismi umanitari (Amnesty International, Reporter sans Frontieres, Human Rights Watch, ...), dalle prese di posizione contro la dittatura di Isayas Afwerki dell'Unione Europea, delle Nazioni Unite, e via dicendo. Le inumane condizioni di vita in Eritrea, il servizio militare a tempo indeterminato, il clima di terrore, la negazione di ogni libertà individuale e sociale, l’arresto dei giornalisti, la persecuzione dei religiosi, il blocco di ogni attività produttiva (a parte le poche straniere che si avvalgono della mano d'opera a basso costo per delocalizzare produzioni o per erodere le pochissime risorse nazionali), oltre alla sempre più diffusa miseria, sono la causa prima della fuga, spesso verso la morte, di centinaia di migliaia di giovani verso paesi, come l’Italia, in cui sperano di trovare dignità di vita e rispetto umano.
Nel corso dell'incontro sono emerse anche a chiare lettere corrispondenze di interessi tra la dittatura eritrea e centri di potere italiani, già a suo tempo ampiamente ribadite anche dall'inchiesta del giornalista dell'"Espresso" Fabrizio Gatti (http://espresso.repubblica.it/dettaglio//2111969) e da pochi altri giornalisti in Italia. Perché in Italia il problema "Eritrea" continua ad essere ignorato dai media, e spesso generica è l'informazione sul Corno d'Africa.
La via che il Partito Democratico del Popolo Eritreo (uno dei partiti dell'opposizione che possono operare - e con grandi difficoltà - soltanto all'estero) è quella della transazione democratica e pacifica, favorita dalle pressioni internazionali sul dittatore Isayas, verso la liberalizzazione dei partiti e la realizzazione di libere elezioni, imponendo nel contempo alla confinante Etiopia il rispetto dei confini territoriali.
E’ stato sottolineato come la questione Eritrea non potrà trovare soluzione se non in quadro generale che affronti i problemi del Corno d’Africa e la sua centralità negli scottanti temi di quell’ampio e importante quadrante del mondo. Anche su questi argomenti la dittatura ha imposto il silenzio, come sulle recenti elezioni in Sudan.
Molto altro si è detto, come ad esempio sul fatto che l’Eritrea sia stata in guerra con tutti i paesi confinanti, e molto più nel dettaglio si è entrati nel corso della serata. Per necessità di sintesi non ritengo di poter, in questa sede, argomentare oltre.
Il pubblico ha seguito con molta attenzione le relazioni che rendevano chiaro come quella eritrea contro la colonizzazione etiope fosse una rivoluzione tradita, e quale sia lo stato in cui si trova quel paese che, ai primi anni '90, sembrava offrire all'Africa e al mondo un'immagine nuova di sviluppo.
Con occhi sbarrati il pubblico ha ascoltato, con occhi addolorati eritrei privi del riconoscimento di asilo politico in Italia sono intervenuti, con occhi sconfortati eritrei privi della possibilità di parlare per paura delle ritorsioni sui loro cari in Eritrea hanno taciuto, con occhi irridenti e aggressivi alcuni filo-governativi eritrei hanno preso la parola e tentato di gettare il discredito sugli oratori ricorrendo agli insulti e alle minacce. Non è la prima volta che gruppi di filo-governativi irrompono come manipoli negli incontri organizzati dagli organismi che lottano per il rispetto dei diritti umani in Eritrea. Solo qualcuno in questi gruppi è però animato da convinzioni politiche, anche se discutibili. La gran parte di essi viene invece intruppata dallo stesso regime e dai suoi rappresentanti diplomatici in provocazioni anti-democratiche il cui scopo è quello di intimorire, di aggredire, di impedire la riflessione democratica su quanto succede nel loro Paese. A causa della mancanza di argomenti da proporre alla conversazione, tutto si conclude, come in questo caso, con l'uscita chiassosa dal campo. Il dibattito con il pubblico ha ripreso poi i toni della civiltà, e chi ignorava in quale stato viva il popolo eritreo trova nella violenza di queste aggressioni nuovi elementi di comprensione di quella realtà.
E' stato un incontro lungo, attento e partecipato da cui molti cittadini e cittadine milanesi sono usciti con più precise informazioni sulle ragioni della fuga degli eritrei dall'Eritrea.
marco cavallarin
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