giovedì 15 aprile 2010
Immigrazione, la Santa Sede: «Accordo Italia-Libia viola diritti»
Il presidente del Centro Astalli: l'Italia non si sporca più neanche le mani per riportare indietro le persone
CITTÀ DEL VATICANO (9 aprile) - «Nessuno può essere trasferito, espulso o estradato verso uno Stato dove esiste il serio pericolo che la persona sarà condannata a morte, torturata o sottoposta ad altre forme di punizione o trattamento degradante o disumano». Lo sostiene l'arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti in un intervento per la II conferenza europea sul tema «I diritti umani nella formazione dell'avvocato europeo», che si terrà sabato a Roma, riferendosi in particolare all'accordo siglato tra Roma e Tripoli e ai recenti episodi di respingimenti.
L'arcivescovo Marchetto si riferisce in particolare a un rapporto di Human Rights Watch che, nel settembre scorso, denunciava l'intercettazione da parte delle guardie costiere italiane di migranti e richiedenti asilo africani che navigavano nel Mediterraneo, respingendoli forzatamente in Libia, come previsto dall'accordo bilaterale stipulato con l'Italia, senza valutare la possibilità che vi fossero fra di loro rifugiati o persone in qualche modo vulnerabili. Marchetto evidenzia poi che in Libia «esistono centri di detenzione e di rimpatrio dove le condizioni variano da accettabili a disumane e degradanti».
Al richiamo della Santa Sede si aggiunge quello del presidente del Centro Astalli, padre Giovanni La Manna. L'accordo bilaterale con la Libia produce una «politica schizofrenica»: da un lato «il governo dice di voler tutelare i diritti dei rifugiati», dall' altro «ora l'Italia non si sporca neanche più le mani per riportare indietro le persone, perchè abbiamo attrezzato i libici a farlo». «Sentire di uomini diretti in Italia, che avrebbero il diritto e la necessità di trovare accoglienza, ma che vengono rispediti nelle prigioni libiche non può lasciare tranquilla la coscienza di un governo che si dice civile e democratico» ha affermato La Manna, alla presentazione del rapporto annuale sull'attività dell'associazione dei gesuiti che assiste i rifugiati nelle sue sedi di Roma, Palermo e Vicenza.
I dati indicano un calo significativo, del 35%, delle persone che si affidano ai volontari del Centro per un aiuto nel chiedere il riconoscimento dello status. La flessione, non hanno dubbi i gesuiti, è conseguenza della politica di respingimenti nel Mediterraneo.
Anche Save the Children, che segnala un calo di bambini arrivati in Italia, lancia l'allarme per centinaia di minori fermati in Libia. Infatti, da marzo 2009 a febbraio 2010 ne sono sbarcati a Lampedusa solo 4 contro i ben 1.994 dell'anno precedente.
«Il calo degli arrivi in Italia non si è accompagnato a un miglioramento del sistema di accoglienza», evidenzia il Centro Astalli: i posti a disposizione continuano ad essere largamente insufficienti, le liste d'attesa troppo lunghe e continua il fenomeno delle occupazioni con conseguenti condizioni di illegalità ed emarginazione. Eppure, riflette La Manna, quando si leggono le cifre destinate ai rifugiati «viene il dubbio che manchino realmente le risorse: sapere che un rifugiato può costare a Roma 72 euro è un insulto a quelli che stanno sui tetti delle fabbriche per gli effetti della crisi».
Sono 400 le persone che ogni pomeriggio aspettano un pasto alla mensa in via degli Astalli a Roma. Sono in maggioranza giovani uomini, pochissimi hanno più di 40 anni, e vengono da Afghanistan, Eritrea, Somalia e Nigeria. I 30 volontari della mensa hanno distribuito l'anno scorso 78 mila pasti. A chiedere aiuto per mangiare sono state 16.095 persone, il 35% in più rispetto al 2008. In mille, inoltre, hanno chiesto aiuto per trovare lavoro, più del doppio rispetto all'anno prima.
Le donne rifugiate chiedono soprattutto un tetto: la Casa di Giorgia che ha 35 posti ha visto passare l'anno scorso 81 giovani, in maggioranza dell' Africa nera.
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