La Francia il suo sistema di accoglienza disorganizzato
Vivono nell’indifferenza generale tra i fetori degli escrementi ed il
rumore del traffico della auto. Sono oltre 150 i migranti attualmente accampati
all’uscita della stazione del metrò la Chapelle di Parigi. Usciti dalla
stazione ci si crederebbe in un campeggio: decine e decine di tende verdi o blu
sono ordinatamente sistemate sullo spartitraffico sotto al passaggio rialzato
dei binari del metrò. La Chapelle è vicinissima alla Gare du nord, la più
grande stazione ferroviaria d’Europa, in una zona densamente abitata da
nordafricani, bengalesi e pakistani da dove è possibile trovare facilmente un
passaggio per Calais, la Germania o la Scandinavia. Foad, un trentenne sudanese
molto provato dal lungo viaggio fino in Europa, è qui da due mesi: “Vorrei
andare in Inghilterra perché so l’inglese. Invece sono costretto a rimanere
qui, dove non capisco la lingua, non conosco nessuno, dormo in tenda e passo le
giornate sperando di trovare un passaggio per Calais”. Insieme a lui ci sono
soprattutto etiopi, eritrei, sudanesi e perfino qualche slovacco.
“Fino
all’anno scorso erano poche decine di uomini a vivere qui” dice suor MarieJo,
da sette anni impegnata ad aiutare quanti vivono in quella che è a tutti gli
effetti una baraccopoli nel cuore di Parigi. La parrocchia di San Bernard, nota
per essere stata occupata nel 1996 da centinaia di migranti che rivendicavano
più diritti, è da allora in prima linea per aiutare questa gente con una
colazione il sabato e la domenica mattina, un punto d’ascolto il giovedì
pomeriggio, un vestiario e l’accoglienza di una decina di richiedenti asilo nei
propri locali durante i mesi più freddi. Miguel viene dal Marocco. La sua
famiglia vive in Spagna. Ha deciso di partire per la Germania perché ha perso
il lavoro e deve sostenere sua moglie e i suoi tre figli. É stanco e passa la
maggior parte del tempo a bere e fumare. Fino a poche settimane fa c’erano
quasi esclusivamente degli uomini.
Ultimamente arrivano intere famiglie. Donne
e bambini di pochi mesi passano giorno e notte in quest’ambiente malsano.
Alcuni di loro sono sprovvisti di tende e sacchi a pelo. C’è chi è di passaggio
in attesa di continuare il viaggio verso nord. Altri come Almanas, etiope
quarantenne che parla perfettamente l’italiano, ci vivono stabilmente da vari
mesi. Il sistema d’accoglienza dei senzatetto della regione è saturo. Alcuni di
loro contattano quotidianamente il servizio al 115 ma la risposta è quasi
sempre la stessa: la mettiamo in lista d’attesa e le facciamo sapere.
Malgrado
l’indifferenza generale dei molti che passano affianco a questa tendopoli anche
più volte al giorno per prendere la metro, ci sono associazioni e privati
cittadini che quando possono portano cibo, vestiti, tende o coperte. Pedro si
aggira tra le tende dall’inizio del pomeriggio ossessionato dal fatto che una
famiglia di etiopi con tre bambini piccoli rischia di dormire senza un riparo
anche stanotte. Non ha più tende da offrire. Porta altre coperte e sacchi a
pelo. Quando deve andare a causa di un appuntamento gli sembra di non aver
fatto abbastanza: l’impotenza di chi fa quotidianamente e sa benissimo quanto
andrebbe fatto. Il comune di Parigi per il momento ha commissionato
un’inchiesta per fare il quadro della situazione e ha installato due bagni
chimici.
France terre d’asile ed Emmaus seguono la maggior parte delle
procedure d’asilo dei residenti a la Chapelle. Il Secours Islamique porta un
abbondante pasto caldo per la cena tre volte a settimana. Gli altri giorni
bisogna confidare nella generosità dei ristoratori e della gente locale. Dall’ultimo
sgombero di cinque anni fa le autorità tollerano questa situazione senza
cercare una soluzione al problema. La tensione è alta. Molti di loro cercano
una consolazione nell’alcol. A volte scoppiano risse per futili motivi ma che
si alimentano subito coi conflitti africani da cui fuggono. A Parigi per vedere
la guerra basta prendere la metro.
Marino Ficco
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