RELAZIONE DIBATTITO “Eritrea: Pace Democrazia Diritti”
Roma, 23.02.2006
Gentili Signore e Signori,
vorrei iniziare il mio intervento ringraziando tutti voi qui convenuti questa sera, in particolare saluto e ringrazio la Vicepresidente della Provincia di Roma Rosa Rinaldi, che ha reso possibile questa conferenza in questa sede; un sentito grazie a Rita Corneli, moderatrice del nostro incontro e a Roberta Terracina che hanno lavorato per realizzare questo evento; saluto e ringrazio il Senatore Francesco Martone che ci ha sostenuto in tante iniziative come anche in questa, impegnandosi personalmente con il suo collaboratore Mauro Tettoni. Un sentito grazie e un saluto particolare ai relatori di questo dibattito: al prof. Alessandro Triulzi, ai giornalisti Enrico Casale e Massimo Alberizzi, al signor Francesco Messineo. Ringrazio le delegazioni delle Associazioni Eritree venute da Milano e Napoli, con la vostra presenza manifestate la solidarietà e collaborazione che va crescendo tra di noi.
Abbiamo dato questo titolo al nostro dibattito “Eritrea: Pace Democrazia Diritti”, sono tre parole collegate e dipendenti l’una dall’altra, esse esprimono il desiderio che il popolo eritreo vuole vivere come popolo.
a. La pace.
Come tutti sappiamo, la pace è alla base di tutta la vita di un popolo, perché possa progredire, è perché concentri tutta la sua energia per il proprio sviluppo. Questa pace noi Eritrei l’abbiamo persa dal 1998, quando iniziò la guerra con l’Etiopia. Conseguentemente alla vicenda bellica, si è arrivati all’accordo di Algeri nel dicembre del 2000, che è stato reso vano dal fatto che l’Etiopia non accettò le decisioni successive del 2002 della Commissione incaricata dall’ONU per la demarcazione dei confini. Lo stato di guerra permane tutt’ora, come sentiamo ogni giorno dalle agenzie di informazione internazionale; il presidente eritreo Isayas Afewerki adduce giustamente tutta la responsabilità all’ONU, colpevole di non aver fatto rispettare le decisioni della suddetta commissione. Personalmente, però, non condivido la modalità delle trattative che hanno portato alla espulsione dei caschi blu europei e nord-americani dall’Eritrea, inoltre sono giunte in questi giorni notizie circa l’arresto di personale ONU di nazionalità eritrea. Questa situazione tiene il Paese paralizzato, tutte le forze economiche e umane sono concentrare a favore dell’esercito e nell’impiego delle armi; come già sapete, chiunque è al di sotto dei 40 anni, è obbligato a prestare un fantomatico servizio militare. È improbabile pensare al futuro di un Paese, quando il proprio capitale umano è dentro le caserme. Per questo insistiamo affinché la comunità internazionale si impegni ad intervenire al più presto, anche perché a qualcuno può far comodo questo momento di stasi per fare i propri interessi personali o del gruppo di schieramento, usando l’ “alibi” dell’emergenza nazionale per far tacere tutto. La comunità internazionale ha l’obbligo di intervenire con energia, affinché il popolo eritreo, che si è conquistato la sua indipendenza dopo 30 anni di guerra, non si ritrovi coinvolto in un’altra guerra apparentemente giustificata, ma che nasconde dinamiche o logiche di potere, interessi di potenze esterne ed interne dei Paesi in questione.
A differenza di tanti altri Paesi colonizzati da potenze europee ai quali negli anni ‘60 fu riconosciuto il diritto all’auto determinazione con confini coloniali, noi Eritrei abbiamo dovuto lottare per 30 anni, ma non per ritrovarci di nuovo in un’altra guerra ma per vivere in pace. Il sacrificio di 30 anni di lotta del popolo eritreo per la sua libertà e indipendenza, non può e non deve rischiare di essere vanificato né da una guerra, né tanto meno da una dittatura che sta radicandosi oggi con Isayas Afewerki e i suoi sostenitori; anche in questo chiediamo che la comunità internazionale vigili e pretenda dalla classe dirigente le riforme necessarie affinché il Paese esca da una gestione militare del potere, è si arrivi ad una partecipazione di tutti in un pluralismo politico e partitico,istituendo elezioni democratiche.
b. La democrazia.
Oggi in Eritrea c’é tutto tranne la democrazia, é un indice il fatto che la Costituzione, votata dal popolo e redatta nel lontano 23 maggio 1997, non sia mai entrata in vigore; immaginatevi le conseguenze per un Paese che sta muovendo i suoi primi passi nel processo di sviluppo socio-economico, penalizzato anche dall’arresto arbitrario, senza un processo regolare, di 11 ministri e generali, di una decina di giornalisti, leader religiosi, oppositori e di tanti civili, ci dimostra la totale assenza dello spirito di una democrazia.
La scusa di un’emergenza nazionale, vale fino a un certo punto. Possiamo guardare ad altri paesi come l’Iraq, che sta attuando il tentativo di normalizzare il proprio Paese, o come la Palestina, l’Afganistan; nessun ostacolo avrebbe il governo di procedere verso una democrazia vera, seppur graduale, dal 2000 fino ad oggi si potevano fare dei passi veramente giganti in questo senso, ma non c’è stata una volontà da parte di chi sta al potere.
c. I diritti.
In Eritrea oggi, a causa dell’assenza di una Costituzione, tutto diventa arbitrario, quindi anche riguardo la “giustizia”, la gente non può appellarsi a niente, infatti una serie di diritti vengono violati senza nessuna possibilità di difendersi, non c’è libertà di movimento, libertà di stampa, libertà di coscienza, oggi in Eritrea abbiamo prigionieri “di coscienza”.
Ci sono sfruttamenti e violenze di ogni tipo: dai lavori forzati, ai lavori minorili, abusi sessuali sulle donne nei campi di addestramento, l’uso sistematico di tortura nelle prigioni e fucilazioni senza nessun processo regolare.
d. Rapporti Italia – Eritrea.
Vorrei che da questo dibattito passi un messaggio a chi governerà l’Italia, affinché il rapporto con il nostro Paese eritreo sia a sostegno del popolo e non a favore di chi opprime. Come sapete l’Eritrea è stata la colonia primogenita dell’Italia nel 1890, anno in cui furono violati gli accordi bilaterali conclusi con i vari capi eritrei, riunendo i diversi protettorati in una colonia denominata “Eritrea” (terra rossa). Fu quella la prima violazione dei doveri dell’amicizia e della fiducia che gli Eritrei sperimentarono nei loro lunghi rapporti con l’Italia. Il secondo periodo che va dall’aprile 1941 al maggio 1942, vide l’Italia impegnata ad amministrare per conto degli inglesi l’Eritrea. E furono molto più ingiusti quando ci amministrarono per procura che quando ci amministrarono per conto proprio, sembravano quasi pentiti di non essere stati più ingiusti con noi durante il periodo della loro amministrazione. Furono davvero dodici orribili mesi, a rappresentare l’Italia in Eritrea erano l’ultimo Commissario italiano in Addi Wegri, il dottor Spicace con un suo collega che risiedeva ad Addi Keyehé.
Fu in questo periodo che l’Eritrea venne divisa alla maniera del Sudafrica, istituendo l’applicazione delle leggi razziali nel nostro Paese dall’Italia, questo fu un altro tradimento da parte italiana al popolo eritreo.
Il terzo periodo fu quando gli inglesi volevano attuare il loro disegno di distruggere l’Eritrea, dividendola in tre parti. L’Italia era complice del piano, conosciuto dalle Nazioni Unite come il famigerato “piano Bevin-Sforza”, quest’ultimo (Sforza), quando vide che non poteva assicurarsi il ritorno dell’Eritrea all’Amministrazione del governo Italiano, volle che fosse distrutta, costituendo la città internazionale di Asmara ed annettendo l’altopiano all’Etiopia e il bassopiano al Sudan.
Il quarto periodo dal 1950 in poi, fallito il “piano Bevin – Sforza”, l’Italia, visto il desiderio di indipendenza della netta maggioranza del popolo eritreo, cambiò la sua tattica nella questione coloniale a favore della “primogenita”; molti Paesi membri dell’ONU, fra i quali un gruppo di Paesi latinoamericani, sostennero la nostra causa. L’indipendenza era a portata di mano, ma improvvisamente l’Italia abbandonò l’Eritrea, per tornare alla sua tradizionale politica pro Etiopia, come l’aveva definita il conte Antonelli. L’Eritrea fu così tradita ancora una volta. L’Italia si servì dell’Eritrea per migliorare la sua debole posizione politica nel Corno d’Africa.
Con i vari governi successivi, l’Italia ha sempre favorito il suo rapporto con l’Etiopia a discapito dell’Eritrea, oggi come vediamo l’Italia ha “ottimi rapporti con l’Etiopia” , come sostiene il Sottosegretario agli Affari Esteri On. Mantica; mentre con l’Eritrea il rapporto è “fortemente dialettico e qualche volta anche conflittuale”, ma questo non ha impedito all’Italia di cooperare con l’attuale governo, di invitare imprenditori italiani ad investire in Eritrea, lo testimonia la scelta della capitale Eritrea la scorsa primavera, per lanciare il “Progetto Africa”, voluto dal vice ministro al Commercio Estero On. Adolfo Urso, peccato che intanto le autorità di Asmara che controllano tutta l’economia, intralciano persino i progetti di cooperazione delle Ong italiane, sei di esse sono state espulse la settimana scorsa.
Chiediamo al prossimo governo Italiano, di mantenere i rapporti e le cooperazioni, a condizione che l’Eritrea avvii le riforme necessarie, faccia entrare in vigore la Costituzione voluta dal popolo e rispetti i diritti umani.
L’Italia deve attuare una politica estera che tenga conto di tutti gli aspetti, non solo del commercio estero, un paese democratico non può pensare solo agli interessi particolari dei suoi connazionali, con un regime che non riconosce i diritti umani, lo ha detto anche il sottosegretario On. Mantica alla Commissione Affari Esteri del Senato, nella seduta del 1° febbraio 2006.
Noi auspichiamo che l’Italia voglia impegnarsi per sostenere la causa del Popolo eritreo su due fronti: * la questione del confine con l’Etiopia, sollecitando la comunità internazionale,
* la questione interna, sollecitando una politica di riforme per il rispetto dei diritti umani, facendo pressione al regime.
Grazie per il vostro paziente ascolto.
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