Eritrei in Italia scrivono a BertinottiITALIA, 18:00:00
2007-07-19 Roma (Foto:la delegazione ricevuta martedì alla Camera; al centro l'autore della lettera)
Testo della lettera per il Presidente della Camera dei Deputati, Fausto BertinottiScritta da Mussie Zerai Yosief e consegnata martedì 18 settembre insieme con una delegazione ristrettaSignor Presidente, le varie associazioni di Eritrei presenti nel territorio italiano manifesteranno il 18 settembre 2007, prima davanti alla sede dell'Ambasciata dello stato di Eritrea, presso lo stato italiano. Successivamente la manifestazione si sposterà nel piazzale adiacente a Montecitorio. Abbiamo chiesto che una delegazione venga ricevuta da Lei Presidente, perché vogliamo presentarle le nostre istanze e denunciare le violazioni di diritti umani, civili e religiosi a cui sono sottoposti i cittadini eritrei nella loro nazione. I familiari di giovani che lasciano il loro paese, vengono arrestati e costretti a pagare una somma ingente per essere liberati. Vengono inoltre perseguitati giornalisti, obiettori di coscienza, uomini politici e leader religiosi. La principale causa di questa drammatica situazione è la questione del confine con l'Etiopia, irrisolta nonostante il patto di non belligeranza, firmato congiuntamente dai due governi nel dicembre 2000 ad Algeri. questo stato di cose impedisce alla Nazione di proseguire il suo progresso democratico e pone le premesse per l'instaurazione di un potere dittatoriale che peri l momento giustifica la sua azione governativa con lo stato di guerra che di fatto prosegue dal 1998. Si registrano, inoltre, vere e proprie retate di studenti e studentesse liceali minorenni, ormai prossimi alla conclusione dell'iter scolastico che vengono inviati al fronte di guerra. I nostri ragazzi venono sfruttati come manodopera e sono spesso oggetto di abusi sessuali. Nel triste panorama dell'Eritrea di oggi si evidenzia ancora che nel giugno 2005 sono stati fucilati 161 tra ragazzi e ragazze, accusati di diserzione, poiché erano riusciti a scappare dalle caserme, notizie di questi giorni, la polizia eritrea nella capitale sta procedendo agli arresti di famigliari dei giovani che sono fuggiti dalla dittatura, dai lavori forzati, dalla vita militare forzata, le famiglie costrette a pagare somme ingenti per evitare il carcere. Questo è un ricatto di stato. L'ambiente religioso ha risentito molto di tutta questa situazione. Il governo locale, anche se indirettamente, ha portato il Patriarca Ortodosso di Eritrea a dimettersi dal suo incarico ed ha proceduto a mettere agli arresti esponenti delle comunità di confessione protestante, testimoni di Geova, musulmani.Di recente il regime Isayas Afewerki ha chiesto alla chiesa cattolica la consegna di tutte le scuole, cliniche ed ospedali di proprietà della chiesa, che significa la confisca dei beni della chiesa. Il divieto di lasciare il paese imposto anche ai religiosi e religiose sotto i quaranta anni è un atto ostile a tutti noi cattolici eritrei, che impedisce ai nostri preti e suore di svolgere le loro missioni o completare la loro formazione filosofica e teologica. Noi cattolici siamo una minoranza nel paese. Dal 1993 ad oggi si sono susseguiti innumerevoli episodi di violenza e gravi violazioni di diritti umani: alcuni invalidi guerra sono stati ugualmente arruolati, incarcerati o uccisi. Alcun studenti universitari e lavoratori, per aver rivendicato i loro diritti sono stati atrocemente torturati, causando la morte di alcuni di loro. Alcuni anziani, rispettati come "saggi" dalla popolazione, per essere intervenuti a favore della riconciliazione fra le fazioni in lotta per il potere, sono stati messi in carcere. Particolare menzione merita la triste vicenda di profughi e rifugiati espulsi dai governi maltese e libico, che non appena rientrati in Eritrea sono stati fatti sparire "letteralmente" dalla circolazione ed ancora oggi, a distanza di due anni, non si sa siano morti o vivi. Notizie di questi giorni, anche il governo sudanese sta attuando l'espulsione di tanti Eritrei rifugiati nel suo territorio, sapendo al loro rientro verranno trattati come dei criminali, quindi punti con il carcere, torture, lavori forzati. Per l'istituzione che Lei rappresenta chiediamo che si faccia portavoce a livello internazionale in seno all'ONU ed al Parlamento Europeo di queste problematiche, affinché la comunità internazionale si adoperi per impedire il riaccendersi del conflitto armato che sembra imminente nelle zone di frontiera. Le chiediamo inoltre di farsi interprete in sede internazionale della necessità di garantire il rispetto della risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'O.N.U. dell'Aprile del 2002, sul ristabilimento delle linee di confine, intervenendo sul governo etiope affinché attui al più presto detta risoluzione e sul governo eritreo affinché avvii il processo di democratizzazione nel pieno rispetto dei dritti civili ed umani. Chiediamo anche al governo italiano di concedere un visto d'ingresso per motivo di richiesta di asilo politico a tanti cittadini eritrei attualmente trattenuti dalle autorità libiche, nonostante riconosciuti rifugiati politici dall'UNHCR . Ad oggi nel centro di detenzione di Misratah, 250 km ad est di Tripoli, sono detenuti 380 uomini, 120 donne e 60 bambini, di età compresa tra i 10 anni e pochi mesi. La più piccola è una bambina, nata a maggio e dietro le sbarre. Non ci sono letti. La notte ci si incastra, ammassati fino a settanta persone in stanze di sei metri per otto. Entro una settimana dovrebbe nascere un bambino, la madre è incinta al nono mese. I principali problemi di salute dei detenuti, oltre a scabbia, e dermatiti, sono malattie polmonari; tre persone sono positive al Tbc, attacchi asmatici, problemi intestinali e gastriti. Ultimamente con l'aumento dei detenuti c'è stato un calo drastico di cibo. Durante le prime settimane di detenzione alcune donne sono state stuprate dagli agenti. L'Alto Commissariato starebbe facendo pressioni anche sul Ministro degli Interni italiano. Il Ministro Giuliano Amato, nel febbraio 2007 definiva "buoni frutti" della collaborazione Roma-Tripoli i dati sugli arresti dei migranti, di cui solo adesso appare nella sua interezza il costo umano. Ma "le possibilità di raggiungere una soluzione diminuiscono con l'aumentare del numero dei detenuti". La disponibilità italiana manifestata dal Ministro degli interni italiano per un totale di cinquanta persone ci sembra veramente un numero risicato. Stiamo parlando di cittadini eritrei con grande famigliarità e legami storici con l'Italia. Auspichiamo che in futuro la disponibilità sia maggiore. Sul destino dei 600 di Misratah prende come una spada di Damocle l'eventualità di un rimpatrio aereo. Lo scorso 10 luglio, radio e televisioni in Eritrea hanno annunciato che la Libia espellerà tutti i migranti irregolari presenti sul suo territorio, con particolare riferimento agli Eritrei. E intanto l'Acnur si prepara a giocare l'ultima carta. Si è recata in Libia una commissione di funzionari Acnur dall'ufficio regionale di Beirut, in Libano, per intervistare i detenuti di Misratah e coordinare gli sforzi per accogliere i rifugiati in paesi europei ed americani, con programmi di resettlment, con particolare attenzione alle donne. Dopo tutto, non sarebbe la prima che la Libia deporta eritrei. E' già successo nel 2006 e prima ancora del 2004, a più riprese, anche su un volo pagato dall'Italia. Il 27 agosto 2004 uno degli aerei venne dirottato dai deportati eritrei a Karthoum, in Sudan. 60 dei 75 passeggeri vennero riconosciuti rifugiati politici dall'Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite. In patria avrebbero fatto la fine dei 223 deportati da Malta tra settembre ed ottobre del 2002. Tornati in Eritrea, furono detenuti e torturati. Lo hanno testimoniato ad Amnesty International i pochi riusciti a evadere, oggi rifugiati politici nel Nord America e nei paesi scandinavi. Trattenuti prima nella prigione di Adi Abito e poi, in seguito ad un tentativo di fuga, nel carcere di massima sicurezza di Dahlak Kebir, molti di loro sono stati uccisi. Nella speranza di avere un riscontro positivo a questa richiesta, La ringraziamo per l'attenzione che ci ha concesso. Con deferente ossequio.
A nome dell'A.H.C.S.
il PresidenteMussie Zerai Yosief
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