mercoledì 12 agosto 2009

Hillary in Africa avverte l’Eritrea: Basta aiuti ai terroristi somali

Il segretario di Stato Usa in visita in Kenya: «Asmara diventi un Paese più cooperativo» Hillary Clinton con il presidente somalo Sheikh Sharif Ahmed (Afp) Duro attacco del segretario di Stato americano Hillary Clinton all’Eritrea, il cui governo è accusato di aiutare i ribelli somali e di destabilizzare la regione. La Clinton, in visita in Africa, si è fermata due giorni a Nairobi, la capitale del Kenya, dove, tra l’altro, ha incontrato il presidente della Somalia Shek Sharif Shek Ahmed, un islamico moderato che guida il Governo Federale di Transizione, riconosciuto dalle Nazioni Unite e dagli occidentali. «Asmara – ha detto la Clinton – deve togliere il proprio sostegno ai terroristi somali (il riferimento è agli shebab gli insorti radicali islamici, più o meno paragonabili ai talebani dell’Afghanistan, ndr) e diventare un Paese più cooperativo con i vicini». Ha poi minacciato non meglio specificate «punizioni», interpretate dagli osservatori più come sanzioni che come rappresaglie militari. Hillary Clinton sembra, infatti, aver preso in mano le redini del dossier somalo. Un netto cambio di politica dell’amministrazione Obama, rispetto a quella di Bush jr. Quest’ultimo, infatti, aveva sempre privilegiato l’aspetto bellico e il fascicolo dell’ex colonia italiana era stato affidato al Pentagono, più che alla diplomazia. Il Tfg sta combattendo una feroce guerra contro le milizie islamiche – appoggiate da almeno duemila combattenti stranieri giunti principalmente da Afghanistan, Pakistan e Paesi arabi, ma anche da nazioni occidentali, come Stati Uniti e Canada - che controllano gran parte del Paese. In palio c’è la sua stessa sopravvivenza. Il conflitto ha creato una delle peggiori catastrofi umanitarie al mondo, con decine di migliaia di profughi senza cibo e senza alcuna assistenza. A Shek Sharif il Segretario di Stato ha assicurato l’appoggio e il sostegno di Washington, non solo politico ma anche «concreto». Certo, gli americani non manderanno soldati ma materiale bellico. Quaranta/ottanta tonnellate per dieci/cinque milioni dollari (a seconda delle versioni) sono già state consegnate nelle scorse settimane. Assicureranno poi la loro assistenza per addestrare le truppe e la polizia governative, forniranno informazioni raccolte dai satelliti e dalle sofisticate apparecchiature elettroniche montate sulle navi e sugli aerei presenti nel mare e nei cieli del Corno d’Africa. Soprattutto si adopereranno (con pressioni diplomatiche, ma anche con consistenti aiuti finanziari) per aumentare il numero degli effettivi del contingente di pace dell’Unione Africana (Amisom, Africa Mission in Somalia), che ora conta su 5 mila soldati ugandesi e burundesi. Garantiranno per loro equipaggiamenti e armi moderne e sofisticate per contrastare al meglio la guerriglia ribelle. Da mesi si parla dell’arrivo in Somalia di truppe nigeriane e algerine, ma il caos che regna nel Paese rende complicato e difficile un sì definitivo dei rispettivi governi all’invio di contingenti militari: si deve mettere nel conto la perdita di diverse vite umane. Per altro gli americani nella loro base a Gibuti stanno già addestrando agenti della polizia somala. Gli Stati Uniti sanno che il governo somalo è assai debole, giacché in pratica controlla solo alcuni quartieri di Mogadiscio e all’interno del Paese piccole zone a macchia di leopardo, e sarebbe stato già spazzato via se non avesse l’aiuto del corpo di spedizione dell’Amisom. Ma nello stesso tempo ritengono che vada assolutamente difeso e rafforzato perché è l’unica opzione possibile e ultimo baluardo per evitare che l’integralismo islamico dilaghi in Somalia e trasformi l’ex colonia italiana in un santuario del terrorismo. “Aiuteremo Shek Sharif a stabilizzare il suo Paese - ha promesso infatti la moglie dell’ex presidente americano - e conosciamo le sue difficoltà. La Somalia è sotto minaccia del terrorismo e dobbiamo impedire che il terrorismo vinca”. E’ bene ricordare che Shek Sharif ha guidato il governo somalo delle Corti Islamiche da giugno a dicembre 2006. La sua amministrazione fu spazzata via dall’invasione etiopica, patrocinata dagli americani, che consideravano il leader troppo vicino ai terroristi. Ora Washington ha cambiato opinione e fatto propria quella dell’Italia, sostenuta dall’allora inviato speciale per la Somalia del nostro governo, Mario Raffaelli, che proprio per questo era stato criticato dagli Usa e da Addis Abeba. Invece, ora lo ammettono tutti, aveva visto giusto. Non si sa bene se Hillary Clinton abbia parlato con Shek Sharif della pirateria che infesta le coste somale. Per altro il governo di transizione nulla può fare per combatterla e non ha nulla da dire sull’argomento. Non controlla infatti nessuno dei porti dove i banditi del mare somali hanno organizzato i loro santuari. Massimo Alberizzi malberizzi@corriere.it

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