di Emilio Drudi
La vicenda dei
profughi usati a Sirte come carne da macello, per cercare mine nel deserto, ha
ridestato l’attenzione sulla tragedia dei rifugiati e dei migranti in Libia. In
molti sottolineano le carenze, i ritardi, l’inerzia dell’Onu e dell’Unione
Europea in questa tragedia, prospettando l’idea, di conseguenza, che la
questione possa risolversi solo con l’intervento dei massimi organismi
sovranazionali. E’ vero, questa
tragedia, in Libia come altrove nel Sud del mondo, ha dimensioni planetarie e
come tale va affrontata. Ciò non toglie, tuttavia, che l’Italia possa e debba
fare intanto la propria parte. Subito. Anche a costo di muoversi da sola.
Revocare i trattati bilaterali firmati da Berlusconi e reiterati da Monti
sarebbe già un segnale molto importante. Sarebbe, innanzi tutto, la denuncia
delle gravi responsabilità che il nostro paese si è assunto con l’attuale
politica sull’emigrazione e la delega in bianco alla Libia come “gendarme del
Mediterraneo” contro i migranti. Molti obiettano che
una presa di posizione di questo genere, isolata dal contesto delle scelte
fatte da Onu e Ue, non conta molto. Anzi, non conta nulla. E rischia di
rivelarsi controproducente, isolando l’Italia. Insomma, la solita linea di
realpolitik. Io penso invece che la cosiddetta realpolitik sia troppo spesso
solo un alibi per calpestare i diritti, l’etica, la dignità dell’uomo senza
finire sotto accusa. Mi piace ricordare,
a questo proposito, una circostanza molto significativa per il nostro paese.
Quando nel 1938 i docenti ebrei furono espulsi dalle università, solo Massimo
Bontempelli rifiutò di prendere il posto del professor Momigliano, a Firenze.
Nel resto degli atenei, ci fu un’autentica corsa ad occupare le cattedre
lasciate “vuote” dagli ebrei. E più di qualcuno, per giustificarsi, fece
ricorso proprio ad argomenti da realpolitik, asserendo che “non accettare”
avrebbe potuto lasciare campo libero a personaggi più legati o comunque più
graditi al regime. Lo stesso era avvenuto sette anni prima, nel 1931, quando appena
12 docenti su 1250 rifiutarono di prestare il giuramento di fedeltà al fascismo,
perdendo di conseguenza la cattedra. Uno e 12, dunque.
Una minoranza netta che sembrava non potesse mutare la realtà delle cose. Invece
quei rifiuti isolati così in contrasto con la realpolitik gettarono uno dei
semi dai quali sono nate la Resistenza, la Liberazione, la Costituzione
repubblicana. La scelta “buona” era proprio quella. Controcorrente. Lo stesso
vale oggi per la tragedia dei profughi in Libia: se l’Italia avrà il coraggio
di fare autocritica e di denunciare gli sciagurati accordi che ha sottoscritto,
getterà un seme fertilissimo.
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