http://www.corrieredellumbria.it/notizie/perugia-accuse-operatori-centro-accoglienza/0014030
Emergono nuove testimonianze sulla struttura di via del Favarone. Ma la cooperativa risponde punto su punto
29/07/2013 15:51:48
“Tutto l’inverno del 2011 il riscaldamento dell’appartamento dove vivevo era acceso solamente due ore al giorno, una la mattina e una la sera. Nella mia camera faceva molto freddo e non c'erano vestiti caldi da indossare. Dovevo comprare gli abiti con i pocket money (tre euro al giorno che spettano ai rifugiati per i beni non essenziali, ndr) ma non bastavano. Ero sempre triste e arrabbiato nel vedere che le persone che lavoravano nell'ufficio avevano il riscaldamento acceso tutto il tempo mentre io avevo sempre freddo”.
Inizia così il racconto di un rifugiato per motivi umanitari dell'Eritrea, ospite in via del Favarone due anni fa. Le accuse sono dettagliate. E’ una delle tante sottoscritte e protocollate: circa venti.
"Ci dicevano: non siete tutti uguali" E ne arrivano ancora delle altre. “Quando ho lasciato il centro immigrati - continua il giovane eritreo - mi hanno dato solo 250 euro. Conosco molte persone che sono uscite dal centro e che hanno avuto l'affitto pagato per sei mesi. Quando ho chiesto spiegazioni, davanti a due operatori, mi è stato risposto che quello era anche troppo per me. Poi mi è stato detto che non era necessario che il progetto Sprar mi aiutasse perché parlavo un po' di italiano. Che non eravamo tutti uguali e dunque 250 euro mi bastavano. Con il pocket money non potevamo comprare abbastanza cibo essenziale ccome carve e verdura. Ci davano sempre e solamente fagioli, lenticchie, pasta, zucchero, riso, qualche uovo, tonno e farina”.
"Portavano via il cibo" Un irakeno di Nassirya racconta come un'operatrice l’abbia chiamato a casa sua “per lavorare come muratore per due giorni. Non mi ha pagato il lavoro ma mi ha detto che per pagarmi avrebbe trovato una borsa lavoro”. Ha anche raccontato di come “ha portato via il cibo del centro e l'ho messo nell’auto (dell’operatrice) per le nozze del figlio”.
La risposta della cooperativa La cooperativa che gestisce il centro nega qualsiasi sfruttamento. “Ciò che è stato fatto in alcuni casi - è scritto nella memoria difensiva - è stato quello di testare le capacità manuali e di comprensione della persona e di verificare le competenze dichiarate dal beneficiario, in modo da redigere il curriculum del beneficiario nel modo più veritiero possibile e di capire se fosse pronto per la ricerca lavorativa”.
Per i presunti furti di cibo si specifica che “la cooperativa è destinataria di prodotti del banco alimentare e Agea nonché del banco farmaceutico. Prodotti destinati a persone il difficoltà. Capita che gli operatori portino via tali prodotti sulle proprie auto per trasportarli a persone in difficoltà che si trovano in altri luoghi e a ospiti nella struttura di San Sisto”.
Per il vitto si assicura “che i beni sono assolutamente sufficienti e che i beni deperibili come carne, pesce, verdure e frutta non vengono acquistati dagli operatori va viene erogato un contributo di 70 euro al mese”. Per i pocket money non erogati in maniera omogenea ci si difende con il fatto che “viene trattenuto per spronare gli ospiti a seguire il corso di italiano, ma non viene intascato dai responsabili”.
Sul vestiario il progetto Sprar “acquista capi solo in caso di necessità e solo biancheria intima. Il centro distribuisce beni usati in buono stato, in parte offerti agli ospiti nel centro in parte presi alla Caritas e alle suore Vincenziane per chi ne fa richiesta”.
Inizia così il racconto di un rifugiato per motivi umanitari dell'Eritrea, ospite in via del Favarone due anni fa. Le accuse sono dettagliate. E’ una delle tante sottoscritte e protocollate: circa venti.
"Ci dicevano: non siete tutti uguali" E ne arrivano ancora delle altre. “Quando ho lasciato il centro immigrati - continua il giovane eritreo - mi hanno dato solo 250 euro. Conosco molte persone che sono uscite dal centro e che hanno avuto l'affitto pagato per sei mesi. Quando ho chiesto spiegazioni, davanti a due operatori, mi è stato risposto che quello era anche troppo per me. Poi mi è stato detto che non era necessario che il progetto Sprar mi aiutasse perché parlavo un po' di italiano. Che non eravamo tutti uguali e dunque 250 euro mi bastavano. Con il pocket money non potevamo comprare abbastanza cibo essenziale ccome carve e verdura. Ci davano sempre e solamente fagioli, lenticchie, pasta, zucchero, riso, qualche uovo, tonno e farina”.
"Portavano via il cibo" Un irakeno di Nassirya racconta come un'operatrice l’abbia chiamato a casa sua “per lavorare come muratore per due giorni. Non mi ha pagato il lavoro ma mi ha detto che per pagarmi avrebbe trovato una borsa lavoro”. Ha anche raccontato di come “ha portato via il cibo del centro e l'ho messo nell’auto (dell’operatrice) per le nozze del figlio”.
La risposta della cooperativa La cooperativa che gestisce il centro nega qualsiasi sfruttamento. “Ciò che è stato fatto in alcuni casi - è scritto nella memoria difensiva - è stato quello di testare le capacità manuali e di comprensione della persona e di verificare le competenze dichiarate dal beneficiario, in modo da redigere il curriculum del beneficiario nel modo più veritiero possibile e di capire se fosse pronto per la ricerca lavorativa”.
Per i presunti furti di cibo si specifica che “la cooperativa è destinataria di prodotti del banco alimentare e Agea nonché del banco farmaceutico. Prodotti destinati a persone il difficoltà. Capita che gli operatori portino via tali prodotti sulle proprie auto per trasportarli a persone in difficoltà che si trovano in altri luoghi e a ospiti nella struttura di San Sisto”.
Per il vitto si assicura “che i beni sono assolutamente sufficienti e che i beni deperibili come carne, pesce, verdure e frutta non vengono acquistati dagli operatori va viene erogato un contributo di 70 euro al mese”. Per i pocket money non erogati in maniera omogenea ci si difende con il fatto che “viene trattenuto per spronare gli ospiti a seguire il corso di italiano, ma non viene intascato dai responsabili”.
Sul vestiario il progetto Sprar “acquista capi solo in caso di necessità e solo biancheria intima. Il centro distribuisce beni usati in buono stato, in parte offerti agli ospiti nel centro in parte presi alla Caritas e alle suore Vincenziane per chi ne fa richiesta”.
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