sabato 2 agosto 2014

I profughi prigionieri del conflitto in Libia

Appello alla comunità internazionale
 Le ultime, drammatiche notizie da Tripoli parlano di profughi sequestrati da miliziani delle varie fazioni e costretti a seguirli in battaglia come “ausiliari forzati”, obbligati a portare fin sulla linea del fuoco munizioni e rifornimenti. Chi cerca di rifiutarsi viene pestato a sangue e minacciato di morte.
La situazione per i rifugiati e i migranti in Libia è tornata come quella della guerra civile del  2011, quando ogni africano “nero” veniva considerato un ausiliario del regime di Gheddafi e, come tale, perseguitato, imprigionato, spesso ucciso. Forse, anzi, va anche peggio, perché il Paese sta implodendo in una logica di tutti contro tutti e non ci sono istituzioni a cui rivolgersi per chiedere un minimo di legalità e protezione. Rischi, pericoli, abusi si sono particolarmente accentuati negli ultimi giorni, con la rapidissima escalation del conflitto interno.
Negli scontri continui, specie a Tripoli e a Bengasi, si sono avute come è noto numerose vittime anche tra i civili. I profughi sono spesso i più esposti a questa autentica mattanza: solo nella giornata di domenica risulta da varie testimonianze che ne siano morti una trentina, di cui 8 eritrei e 5 etiopi, oltre a somali, sudanesi, egiziani. E’ in questo contesto che, da parte di varie milizie armate, si inseriscono le sempre più frequenti retate di profughi per usarli come “portatori” di armi e munizioni nei combattimenti: giovani prelevati nelle loro case o per strada, mentre cercano di fuggire dalle zone evacuate (come la vasta area alla periferia di Tripoli intorno ai depositi di carburante in fiamme) e gettati a forza nella fornace di una guerra che non hanno scelto e che non li riguarda.
Tutte le potenze occidentali hanno evacuato o stanno evacuando i propri cittadini presenti nel Paese e lo stesso personale diplomatico. Alcune ambasciate, a partire da quella degli Stati Uniti, sono state totalmente chiuse. Migliaia e migliaia di rifugiati e migranti restano invece abbandonati a se stessi, in balia dei gruppi armati che possono disporre di loro come credono, che spesso non nascondono un disprezzo di tipo razzista contro tutti i “neri” e che non esitano a uccidere al minimo cenno di resistenza. Nessuno sembra preoccuparsi dei diritti di queste persone. Persino del diritto elementare alla vita e all’incolumità: sono fuggite o stanno comunque abbandonando la Libia in questi giorni anche le organizzazioni umanitarie internazionali.
A fronte di tutto ciò, l’agenzia Habeshia lancia un appello all’intera comunità internazionale e in particolare all’Onu, all’Unione Europea e agli Stati Uniti, perché si facciano carico di questa situazione assurda e inaccettabile di indifferenza e di abbandono. Chiediamo un piano di evacuazione di tutti i rifugiati e i migranti intrappolati in Libia. Così come sono state giustamente organizzate vie di fuga per gli europei presenti nel Paese, chiediamo uno o più  corridoi umanitari, verso Stati terzi in grado di accoglierli e proteggerli, per i profughi eritrei, etiopi, sudanesi, somali e di eventuali altre nazioni, bloccati in Libia loro malgrado dal conflitto in corso, che ha già provocato numerosissime vittime e che rischia di trasformarsi in una strage.


                                                                 don Mussie Zerai

                                                        presidente dell’Agenzia Habeshia 

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