Salvare i vivi se davvero si
vuole onorare la memoria dei morti
Un anno fa la
tragedia di Lampedusa: quella che è diventata la “madre” di tutte le stragi di
migranti nel Mediterraneo. Giusto in queste ore, il 3 ottobre 2013, stava per
cominciare il conto terribile dei morti: 366 vite spezzate in una sciagura che
ha fatto inorridire ogni cuore ed ha richiamato l’Italia e l’Europa alle
proprie responsabilità nei confronti dei disperati che gridano aiuto dai paesi
del Sud del mondo sconvolti da guerre, dittature, persecuzioni, carestia, fame.
Domani, in quelle
stesse ore, saranno presenti a Lampedusa autorevoli rappresentanti dell’Unione
Europea, del Governo e delle istituzioni italiane. E’ prevista, in particolare,
la visita ufficiale del presidente del Parlamento Europeo, Martin Shulz; di
Federica Mogherini, titolare della politica estera sia della Ue che in Italia; della
presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini. I 365 giorni trascorsi da
quel 3 ottobre 2013 sono stati un anno terribile. Lo dimostrano le 3.072
vittime denunciate nell’ultimo rapporto dell’Oim solo nei primi nove mesi del
2014. Senza contare le centinaia, migliaia, che non entrano nemmeno nelle
statistiche: i morti nel deserto e nei paesi di transito, fino alle coste del
Nord Africa; gli uccisi nelle carceri e nei centri di detenzione. A Martin
Shulz, a Federica Mogherini, a Laura Boldrini e agli altri rappresentanti della
politica e delle istituzioni europee e italiane vogliamo chiedere, allora, che
cosa significano la loro presenza a Lampedusa e le tante parole che si stanno
spendendo ovunque in questo triste anniversario.
Siamo stanchi di
parole e promesse. E’ tempo di avere risposte precise e concrete per cambiare
tutto l’attuale sistema che trasforma i “viaggi della speranza” in “viaggi di
morte”. La soluzione non può certamente
essere la ulteriore militarizzazione del Mediterraneo, come è stato chiesto di
fare, affidando i compiti di pattugliamento alla Nato. Né può esserlo la prosecuzione
della politica attuata finora, rivolta a esternalizzare e a spostare sempre più
a sud i confini della Fortezza Europa, fino alla frontiera libica con l’Egitto,
il Sudan, il Chad, l’Algeria, con il risultato di abbandonare i profughi in
pieno Sahara. Per questo formuliamo alcune proposte volte a affrontare
l’enorme, crescente fenomeno dei profughi in maniera totalmente diversa:
“lavorare” a monte, per cercare di eliminarne le cause del problema, invertendo
la scelta adottata finora di intervenire a valle, guidati da criteri
esclusivamente, rigidamente emergenziali e securitari. Sono proposte concrete
per le quali chiediamo risposte precise ed altrettanto concrete.
- Corridoi umanitari. Istituire una serie di corridoi umanitari che, con la
collaborazione dell’Unhcr, consentano di aprire ai profughi le ambasciate
europee nei paesi di transito e di prima sosta, in modo da esaminare sul posto
le richieste di asilo e consentire così a tutti coloro che hanno diritto a una
qualsiasi forma di protezione internazionale di raggiungere in condizioni di
sicurezza il paese scelto e disposto ad accoglierli.
- Paesi di transito e di prima sosta. Con la collaborazione e d’intesa con i
governi locali, studiare ed attuare interventi e programmi di aiuto per rendere
più sicuri i paesi di transito e prima sosta, creando così condizioni di vita
accettabili, nei tempi di attesa, per i profughi che presentano richiesta
d’asilo all’Europa e, a maggiore ragione, per quelli (in realtà la grande
maggioranza) che intendono restare invece proprio in quei paesi, non lontano
dalla propria terra, nella speranza che si creino le condizioni per poter
tornare sicuri in patria in tempi non troppo lontani. L’azione combinata di
questo programma e dei corridoi umanitari può risultare l’arma più efficace per
sottrarre i profughi e i migranti al ricatto dei mercanti di morte e alle loro
organizzazioni criminali.
- Interventi nei “punti di crisi”. Varare
una politica comune e mirata dell’Unione Europea nei cosiddetti “punti di
crisi”, per eliminare o quanto meno ridurre le cause di questo esodo enorme direttamente
nei paesi d’origine dei profughi. Innanzi tutto, in questo momento, nel Corno
d’Africa che, insieme alla Siria, è la regione dove il fenomeno è più grave ed
evidente, come dimostrano le statistiche sulla ripartizione nazionale dei
rifugiati approdati negli ultimi nove mesi sulle coste italiane ed europee.
- Sistema di accoglienza unico. I profughi, dopo aver ottenuto il diritto d’asilo,
lo status di rifugiato o una qualsiasi forma di protezione internazionale, sono
spesso abbandonati a se stessi, privi in pratica di diritti e di prospettive.
Accade in diverse realtà, ma in particolare accade in Italia: non a caso
tantissimi rifugiati – quelli appena arrivati ma anche molti ospiti già da
tempo del Paese – vorrebbero andarsene verso nazioni più ospitali ed
organizzate, ma ciò non è possibile a causa delle norme comunitarie vigenti.
Proprio in questi giorni, ad esempio, l’Italia sta obbligando i profughi a
farsi identificare e a rilasciare le proprie impronte digitali, spesso prima
ancora di entrare nei Centri di accoglienza, intrappolandoli in uno Stato dove
non desiderano restare.
Da questa situazione
assurda e in contrasto con i diritti umani si può uscire solo varando e
adottando un nuovo sistema di accoglienza e di asilo politico, unico e
condiviso da tutta l’Unione Europea. Un sistema che preveda progetti uguali in
tutti i paesi Ue per una dignitosa “prima ospitalità” e per il successivo
inserimento sociale, civile, economico, culturale dei richiedenti asilo,
concedendo loro la libera circolazione e residenza. Ci sono, in questo
contesto, interventi che si possono realizzare in tempi rapidi e con relativa
facilità: il superamento dell’accordo Dublino 3; l’accelerazione e la
semplificazione dei processi di ricongiungimento familiare, oggi spesso
bloccati da cavilli burocratici e pretestuosi. Potrebbero essere i primi,
decisivi passi reali verso l’attuazione di un programma europeo di
reinsediamento.
Su questi punti – lo
ripetiamo con forza – chiediamo risposte rapide e concrete. E’ l’unico modo per
onorare davvero la memoria dei 366 morti di Lampedusa e delle altre 26 mila
vittime che si sono registrate negli ultimi anni solo nel Mediterraneo. Lo
chiediamo innanzi tutto al presidente Martin Shuz, al ministro Federica Mogherini
e alla presidente Laura Boldrini, che hanno voluto essere a Lampedusa a un anno
esatto dalla strage. Ci aspettiamo da loro risposte in grado di onorare le
vittime, di asciugare le lacrime dei superstiti, di dare aiuto e dignità alle
migliaia di disperati che bussano alle porte dell’Europa.
don Mussie Zerai
presidente dell’agenzia Habeshia
Lampedusa, 2 ottobre
2014
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