di Emilio Drudi
Tre ottobre 2013. Giusto
un anno fa. E’ quasi l’alba. Un barcone carico di migranti arranca verso
Lampedusa. Arriva a 800 metri dalla riva: sembra fatta. Invece si ribalta e
affonda. Un naufragio assurdo, avvenuto in circostanze mai davvero chiarite. A
bordo ci sono oltre 500 persone: uomini, donne, bambini. Quasi tutti eritrei,
fuggiti dalla dittatura, dalla guerra, dalle persecuzioni, dalla galera a cui
li condanna il regime di Isaias Afewerki. Per 366 di loro non c’è scampo.
Questa di Lampedusa
è la “madre” di tutte le innumerevoli, continue stragi del Mediterraneo: 26
mila morti degli ultimi vent’anni. L’impressione è enorme. L’Italia, l’Europa,
il mondo intero vengono richiamati alle proprie, pesanti responsabilità nei
confronti dei tanti perseguitati che gridano aiuto al Nord del pianeta. Ai
“potenti della terra”.
Sono passati 12
mesi. Un anno terribile, che ha segnato il record di arrivi in Europa
dall’Africa e dal Medio Oriente: oltre 135 mila. Ma anche il record di vittime:
oltre tremila, secondo l’ultimo rapporto dell’Oim, l’Organizzazione mondiale
per l’immigrazione. Perché di “viaggi della speranza” si continua a morire.
Sotto gli occhi di tutti.
L’Italia,
all’indomani della strage, fu prodiga di impegni e promesse, sancite da parole
e lacrime di commozione. Ma che cosa è cambiato da allora, da quel 3 ottobre
2013? Non molto. Anzi, nulla. Sulla scia dell’emozione generale, il governo
Letta varò l’operazione Mare Nostrum. Poi basta. Siamo ancora fermi lì. Con il
governo Renzi, anzi, le cose vanno anche peggio. E’ lunghissima la lista dei
“perché”.
– Mare Nostrum e Frontex. Renzi ha abolito l’operazione Mare Nostrum, varata da
Letta, per adottare quella di Frontex Plus, d’intesa con l’Unione Europea. Mare
Nostrum obbedisce alla stessa logica “emergenziale” di Frontex, che fa del
problema profughi una questione di sicurezza e di polizia: la cosiddetta
“difesa delle frontiere” dalla “minaccia” dell’emigrazione clandestina. Ne
hanno parlato più volte sia Renzi che, soprattutto, il ministro degli interni Alfano.
Si tratta, insomma, di un progetto “securitario”, che interviene “a valle” con
misure di tipo militare, ignorando totalmente ciò che avviene a monte, dove
sono le cause e le origini del problema. Non a caso si contava anche sulla
collaborazione della Libia, incaricata, come “gendarme del Mediterraneo”, di
bloccare i profughi nelle sue acque territoriali o prima che si imbarcassero oppure
addirittura alla frontiera meridionale, in pieno deserto. Solo che nell’ultimo
anno la Libia è implosa nella lotta di tutti contro tutti tra nuovo governo,
vecchio governo, gruppi jihadisti, ex generali golpisti. Così lì nessuno può
bloccare i profughi: anzi, si sono moltiplicate le organizzazioni criminali che
sfruttano quei disperati, spesso con la complicità di miliziani, militari,
poliziotti, la stessa guardia costiera. Risultato: le partenze si sono
moltiplicate, addirittura con liste d’attesa a più mesi presso gli scafisti.
L’unico dato
positivo, in tutto questo caos, era che, con le regole d’ingaggio di Mare
Nostrum, le navi italiane potevano intervenire anche in acque internazionali e
fino alle soglie di quelle libiche. Proprio questo ha consentito di recuperare
o di salvare migliaia di persone in pericolo. Ora, abolito Mare Nostrum (al
massimo dovrebbe avere un altro mese di vita), con Frontex Plus viene meno
anche questa unica azione encomiabile, anche se in buona parte inattesa e “maturata
per strada”. Resta soltanto l’intento “securitario”: una barriera da erigere ai
margini delle acque territoriali europee. La “frontiera”, appunto, di cui
continua a parlare Alfano. E già gli effetti si vedono: da diversi giorni c’è
un giro di vite nei controlli sui profughi, fotosegnalati spesso prima ancora
di arrivare nei Centri di accoglienza, in modo da poter applicare rigidamente
(su richiesta dell’Europa) il protocollo di Dublino, che vincola i rifugiati al
primo paese dell’Unione al quale si rivolgono per chiedere asilo.
C’è da rimpiangere –
nonostante i suoi difetti di base o, meglio, la sua “filosofia” di base – quel
progetto Mare Nostrum che ormai è alla fine per volontà del nostro stesso
Governo guidato da Renzi. I vertici della Marina hanno chiesto di prolungare e
trasformare questa operazione, mettendola sotto l’egida Onu. Non hanno avuto
ascolto. In compenso il ministro della difesa Roberta Pinotti ha proposto e
insiste che della questione ora si occupi la Nato. C’è da chiedersi che cosa
c’entri la Nato: a meno che non si voglia accentuare ancora di più l’aspetto
militare-securitario. Farne definitivamente, cioè, un problema di “difesa”.
– I canali umanitari. In sette mesi di governo, non è stata pronunciata
una sola parola e non è stata avviata una sola, magari piccolissima, iniziativa
per i “canali umanitari”, che sono l’unico sistema valido per sottrarre i
profughi al ricatto e ai soprusi dei mercanti di morte e di esseri umani. Non
una parola in Italia, nei programmi di governo. Non una parola in Europa,
nonostante questo sia il semestre a guida italiana. C’è da chiedersi perché. I
canali umanitari sono il primo passo per impostare un diverso sistema di
accoglienza, comune e condiviso da tutta l’Unione Europea, abbandonando la
mentalità emergenziale con cui finora si è affrontato il problema immigrazione.
Se Renzi vuole davvero “dare una svolta”, perché non parla di queste cose in
Europa, invece di accettare supinamente Frontex Plus, presentandolo come un
successo ed anzi una conseguenza diretta di Mare Nostrum?
– Il sistema di accoglienza. E’ continuato, anzi, è peggiorato lo stato di
abbandono a cui sono condannati i profughi dopo il salvataggio e lo sbarco. I
Cara sono stati ampliati o sono stati aperti altri centri di soggiorno. Sono
state potenziate, cioè, le strutture che sono l’ossatura base del nostro
sistema di accoglienza. Solo che queste strutture si sono rivelate autentici
ghetti, dove i profughi vengono abbandonati a se stessi per mesi e mesi: inizia
da qui l’odissea che fa di migliaia di loro dei “fantasmi”, non persone senza
alcun diritto. E’ vero che non si poteva e non si può fare tutto e subito. Non
si poteva smantellare senza alcun “piano b”, cioè, l’attuale meccanismo. Solo
che non è stato dato neanche il minimo segnale che appena possibile si intende
rivedere questo nostro sistema che, per riconoscimento unanime, è il peggiore
d’Europa, insieme a quello greco.
– I patti bilaterali. Non una parola, in sette mesi, sull’abolizione dei
patti bilaterali Italia-Libia, che affidano a Tripoli il compito di “gendarme”
contro l’emigrazione, fornendogli mezzi e istruttori. Le motovedette libiche,
che sempre più spesso sparano sulle barche dei migranti, non di rado sono
quelle “donate” dall’Italia. E nell’ultima versione del “patto” (luglio 2013,
governo Letta), si prevedeva anche la fornitura di mezzi terrestri (jeep,
blindati, ecc.) per il controllo del confine meridionale. Ovvero: l’Italia ha
condotto finora una politica di spostamento del “confine da controllare” sempre
più a sud, fino in pieno Sahara, in modo che certe tragedie avvengano “lontano
dagli occhi”. Con Renzi non risulta che sia cambiato nulla. E’ cambiato solo il
fatto che la Libia non esiste quasi più. Si può anche scegliere di continuare
su questa linea, ma si dovrebbe almeno pretendere che quel poco di “autorità
istituzionale” che resta a Tripoli, dia almeno qualche garanzia sul rispetto
dei diritti umani e provi a fare il possibile in questo senso. Invece,
silenzio. E’ esemplare un episodio di questi giorni. E’ stato segnalato
all’agenzia Habeshia che in un centro di detenzione improvvisato a Tripoli in
un campo di basket, militari filogovernativi hanno venduto a una organizzazione
di scafisti circa 300 profughi. Non si sa che fine abbiano fatto queste
persone. Habeshia ha chiesto ripetutamente al Governo (viceministro Lapo Pistelli,
funzionari vari, parlamentari delle commissioni esteri, ecc.) di far
intervenire l’ambasciatore italiano, per cercare almeno di chiarire le cose.
Finora non sono arrivati cenni di riscontro da nessuna fonte ministeriale,
parlamentare, governativa.
– “Canali umanitari” straordinari. Continua l’indifferenza anche su situazioni
straordinarie contingenti, che potrebbero essere risolte abbastanza
agevolmente. Altri Stati, come la Repubblica Svizzera, hanno dimostrato che
certe vie sono percorribili nonostante il caos che c’è in Libia: è dei giorni
scorsi la notizia che, proprio attraverso il nostro ambasciatore, l’unico
rimasto a Tripoli, il governo elvetico ha attivato un “canale umanitario” specifico
per far partire da Tripoli un bambino, arrivato in Libia con la zia e rinchiuso
in un centro di detenzione, per consentirgli
di arrivare a Lugano, dove vive la madre. In sostanza, si è attivata una
pratica di ricongiungimento, risolta con la concessione di un visto Schengen
per motivi umanitari. La stessa soluzione si sta tentando ora per una ragazzina
attesa in Svizzera dalla famiglia. Al ministero degli esteri italiano Habeshia
ha fatto appello ripetutamente per attivare un canale umanitario simile, in
modo da portare in Italia, per ragioni mediche d’urgenza, cinque giovani donne
gravemente ferite: erano su un pick-up che si è rovesciato mentre tentava di
sfuggire alle raffiche sparate dalla polizia a un posto di blocco. Una, la più
grave, è ricoverata a Tripoli: rischia di restare paralizzata. Le altre quattro
sono state allontanate dall’ospedale e sono ospiti attualmente di un giovane
profugo eritreo, praticamente senza cure. Secondo le ultime notizie arrivate ad
Habeshia, qualcuna rischia che le ferite vadano in cancrena. Nessuna risposta
finora né dal viceministro Pistelli, né da altri.
Secondo caso: le
ambasciate italiane di Khartoum e di Addis Abeba negano il visto d’ingresso a
decine di giovani donne (qualcuna anche con i figli piccoli) sposate con
profughi residenti regolarmente in Italia da tempo, nonostante abbiano ottenuto
dal ministero degli interni il nulla osta per il ricongiungimento familiare.
Tutti i documenti che attestano la conclusione positiva della “pratica” sono
stati presentati alle due ambasciate, ma il personale diplomatico si ostina a
non tenerne conto. Il ministero degli esteri è stato sollecitato più volte da
Habeshia a chiedere conto ai due ambasciatori di questo strano comportamento,
che annulla di fatto un nulla osta concesso ufficialmente dal ministero degli
interni. Basterebbe una telefonata. Né Pistelli né altri hanno ritenuto di
farla. Forse perché si tratta di “profughe comuni”, che non attirano
l’attenzione dei media, come il caso di Meriam, la giovane condannata a morte
per apostasia, che si è svolto proprio in Sudan?
Indifferenza totale
c’era prima, insomma, con i governi Berlusconi, Monti e Letta. La stessa
indifferenza si registra ancora oggi.
– Caso Eritrea. Mai come adesso la dittatura di Isaias Afewerki risulta
isolata e posta sotto accusa da parte della comunità internazionale, per la
sistematica violazione dei diritti umani. Sono in corso due indagini parallele
in proposito: una dell’Onu e l’altra di Human Rights Wathc. Ebbene, proprio in
questo momento il governo Renzi, con il recente viaggio del viceministro agli
esteri Lapo Pistelli nel Corno d’Africa, ha aperto una enorme, inattesa linea
di credito al regime. Non tenendo conto, tra l’altro, che proprio dall’Eritrea
arriva un’altissima percentuale dei profughi che sbarcano in Italia e in Europa:
si calcola che tra il 30 e il 40 per cento dei 135 mila arrivati da gennaio a
oggi siano appunto in fuga dal regime di Asmara. La percentuale sale ancora di
più se si considerano soltanto i minorenni non accompagnati.
Perché questa scelta
improvvisa da parte del governo italiano? Quali interessi persegue? Certamente
non quelli dei profughi e degli oppositori del regime rimasti in Eritrea. Non,
in una parola, della grande maggioranza della popolazione, che sogna un paese
libero e “normale”. Forse si vuol fare di Afewerki una specie di Gheddafi
eritreo, con un rapporto preferenziale con l’Italia, per garantire certi
equilibri geopolitici? Una specie di “pax africana” nella regione orientale
che, assicurata da uno o più “dittatori amici” (quelli che la diplomazia
americana chiamava “i nostri bastardi”), consenta di “fare affari” in relativa
sicurezza? Non sono un mistero gli interessi manifestati da importanti gruppi
economici e da società multinazionali per tutta l’area del Corno d’Africa,
inclusa l’Eritrea, dove si parla di grosse possibilità di sfruttamento
minerario, turistico, edilizio, agricolo, ecc. Per non dire del rilancio in
atto dello sfruttamento petrolifero in regioni (Somaliland, Puntland, Ogaden,
Jubaland) a strettissimo contatto con l’Eritrea.
Vale la pena di
ricordare, a questo proposito, che i concetti espressi da Pistelli a nome del
Governo, all’indomani del viaggio ad Asmara (colloquio necessario per uscire
dallo “stallo” degli ultimi vent’anni; superamento del retaggio coloniale;
Eritrea come paese cardine per i nuovi equilibri e per lo sviluppo dell’intero
Corno d’Africa) sono esattamente gli stessi citati nel 2009 da Berlusconi.
Anzi: Pistelli e Berlusconi hanno addirittura usato quasi le stesse parole. Ma,
a proposito di Berlusconi, si è poi scoperto che all’ombra di quella volontà di
“pacificazione” si era creata una specie di “Asmara spa”, come l’hanno chiamata
alcune inchieste giornalistiche, con varie società decise a investire e a fare
affari in mezza Eritrea sotto la protezione di Afewerki e di altri ras del regime.
Anche questa volta
ci sono sotto degli “affari”? Affari che contano più dei diritti umani? Affari
che sembrano far dimenticare all’Italia che una nuova Eritrea libera e
democratica può nascere solo da una “resa dei conti” con la dittatura. Non si
sa come avverrà questa resa dei conti: potrà essere un bagno di sangue oppure –
è sperabile – una operazione di “verità e giustizia” come quella attuata da
Nelson Mandela in Sud Africa. Di certo, però, ci sarà. Perché non è concepibile
un’altra Eritrea insieme ad Afewerki. O l’una o l’altro. Così come non sono
conciliabili la lotta di migliaia di giovani profughi della diaspora e il
regime del dittatore. Per l’Italia, allora, si tratta di decidere: con quale
Eritrea vuole schierarsi? Finora ha parlato solo con Afewerki. Anzi, con il
governo Renzi ha intensificato questi colloqui.
Nessun commento:
Posta un commento