martedì 10 ottobre 2023

GUERRA CIVILE IN SUDAN/ “Al Burhan vs. Hemetti, ora si rischia un’altra Libia”

  - int. Mussie Zerai

Sudan devastato: Al Burhan ed Hemetti continuano la guerra. E si parla di ucraini schierati contro le forze pro-Wagner

La popolazione è allo stremo ma la guerra civile in Sudan continua a seminare morte e disperazione. Insensibili a tutto questo Al Burhan e Hemetti, ex alleati e ora rivali, continuano ad affrontarsi militarmente, appoggiati da Paesi esterni loro alleati, anche se il primo in un discorso all’Onu si è detto disposto a colloqui di pace. Anche nel Darfur i janjaweed, ora con le Forze di supporto rapido (Rsf) di Hemetti, sono tornati ad esercitare le violenze di un tempo.
Il rischio, spiega Mussie Zerai, sacerdote eritreo che ha vissuto in Italia occupandosi di migranti e di rifugiati dell’Africa sub sahariana, in particolare quelli del Corno d’Africa, è che si arrivi a una nuova Libia, un Paese diviso con due governi. Se ne uscirà quando i sudanesi potranno confrontarsi senza l’influenza di potenze esterne.

Milioni di profughi e, secondo l’Onu, 1200 bambini morti tra maggio e settembre per la combinazione degli effetti del morbillo e della malnutrizione. Quanto è pesante la situazione per la popolazione in Sudan in questo momento a causa della guerra civile?

La guerra porta solo distruzione ovunque, in Sudan ha reso ancora peggiore le già precarie condizioni della popolazione provata dalla crisi economica e povertà endemica che persistevano da molto tempo. Il sottosegretario generale dell’Onu Martin Griffiths, capo di Ocha (l’ufficio Onu per gli Affari umanitari ndr), si è espresso in questi termini: “La guerra in Sudan sta alimentando un’emergenza umanitaria di proporzioni epiche”. E ha poi aggiunto: “Il conflitto e la fame, le malattie e gli sfollamenti che ne derivano, minacciano ora di coinvolgere l’intero Paese”.  Ha inoltre menzionato di essere preoccupato per la sicurezza dei civili nello Stato di Gezira, il granaio dell’ex protettorato anglo-egiziano.

Com’è invece la situazione dal punto di vista militare? Come si stanno scontrando le forze che fanno capo ad Al Burhan e Dagalo (Hemetti)? Chi sono questi due personaggi, chi li sostiene in campo internazionale e quali sono i loro obiettivi?

Questi due generali, che hanno cooperato per rovesciare il regime precedente, avrebbero dovuto consegnare il potere a un governo civile eletto dal popolo, guidando una transizione pacifica. Invece hanno prevalso le ambizioni personali e gli interessi economici e geopolitici regionali e globali. Le sfere di influenza degli attori regionali e globali sono in continuo mutamento, anche se tutt’e due le forze in campo nei ultimi giorni rivendicano di installare un proprio governo nel Paese, devastato sotto ogni punto di vista. Nel frattempo, invece di fornire aiuti umanitari, alcuni Stati alimentano attivamente il conflitto fornendo armi e munizioni. Accuse in tal senso sono state rivolte agli Emirati Arabi Uniti, Paese che sosterebbe Hemetti. Mentre il Regno wahabita è per lo più allineato con il regime al potere. Ve detto però che alleanze e il sostegno politico militare per l’uno o l’altro sono in continuo mutamento nelle ultime settimane.

Gli scontri si sono spostati ancora nella regione del Darfur: i janjaweed sono tornati a colpire questa volta nei panni delle Rsf di Hemetti. Perché proprio lì e perché questa area è sempre così martoriata?

Sono varie le ragioni, in primis le risorse naturali di quella zona, tipo oro, rame, cromo, petrolio. Ci sono zone fertili e riserve di acqua e tentativi di sostituzione etnica della popolazione autoctona per renderla più araba, per sopprimere il tentativo dei movimenti indipendentisti della zona. Ovviamente le Rsf hanno negato qualsiasi coinvolgimento, definendo gli scontri in Darfur come un conflitto tribale. Ma molti temono che si possa verificare quanto accaduto tra il 2003-2005. Allora, durante il sanguinario conflitto nella regione sono state uccise oltre 300mila persone e altre 2,5 milioni hanno dovuto fuggire abbandonando le loro case. Indicibili le violenze subite dalla popolazione. I janjaweed, “diavoli a cavallo” (come li chiamava la popolazione) bruciavano i villaggi, stupravano le donne, uccidevano gli uomini e rapivano i bambini per renderli schiavi.

Insomma cambia la situazione ma i protagonisti e i crimini sono gli stessi?

In Darfur si chiamavano janjaweed prima di essere integrati nella Rsf per ripulirne l’immagine, e continuano ad attaccare i villaggi delle etnie africane. Tra questi i masalit, popolazione musulmana ma non araba, che vive a cavallo tra Sudan e Ciad. La Corte penale internazionale ha avviato indagini dopo segnalazioni di esecuzioni sommarie, incendi di case e mercati e saccheggi a Geneina, nonché uccisioni e trasferimenti forzati di civili. Inoltre, la Cpi sta esaminando le accuse di crimini sessuali e di genere, stupri di massa e presunte segnalazioni di violenze contro minori.

E adesso qual è il bilancio?

Nei primi tre mesi di guerra in Sudan sono morte almeno 3mila persone, ma probabilmente sono molte di più. Secondo gli esperti, oltre tre milioni hanno lasciato le proprie case. Molti sudanesi cercano protezione nei Paesi limitrofi, come il vicino Ciad, dove ad Adré, città al confine con il Sudan, ogni giorno arrivano fino a 2mila rifugiati dal vicino Darfur. I fuggiaschi, una volta al sicuro, hanno raccontato storie agghiaccianti. “Vogliono sterminarci, hanno massacrato senza pietà donne, bambini, vecchi e persino il nostro bestiame. Nessuno è stato risparmiato”, ha detto una donna ai reporter. “Ci hanno inseguito fino al confine e la strada è disseminata di cadaveri. È tutto opera degli uomini di Hemetti e delle milizie arabe, i loro alleati”, ha poi aggiunto la signora, che ora vive con altre 120mila persone in un liceo di Adré, trasformato in un campo per profughi improvvisato.

Secondo la Cnn dietro un attacco con i droni contro le milizie Rsf ci sarebbero i servizi speciali ucraini che aiuterebbero così a prendere di mira i militari del gruppo russo Wagner, schierati a sostegno di Dagalo. Come si spiega questo intervento?

Da tempo assistiamo a una guerra globale, fatta a pezzi, qua e là, come ha denunciato a più riprese anche Papa Francesco. Tutte le guerre africane non sono mai solo autoctone, bensì al servizio di potenze e interessi regionali o internazionali. Di fatto sono coinvolti molti Paesi a vario livello. La logica è “il nemico del mio nemico è mio amico”. Il conflitto sudanese non fa eccezione.

Nonostante la grave situazione umanitaria la comunità internazionale non sembra interessarsi molto alla guerra in atto. Come si potrebbe intervenire per far tacere le armi? E chi potrebbe avere titolo per farlo, per farsi ascoltare dai contendenti?

La comunità internazionale divisa al suo interno non è in grado di spostare nulla in questa fase dello scenario mondiale. La questione sudanese si risolverà quando resteranno solo le parti in conflitto senza interferenze esterne. L’Unione Africana dovrebbe attivarsi seriamente e coraggiosamente, isolando quelle nazioni che fomentano la guerra in corso per il loro interesse o per procura, creare quelle condizioni per cui i sudanesi possano dialogare tra loro e risolvere il conflitto.

Vista la situazione cosa possiamo aspettarci per il futuro: la prospettiva per ora è ancora quella della guerra?

Il rischio è che ci troviamo un’altra Libia con due governi in conflitto tra di loro, con una guerra strisciante per lungo tempo. Le varie milizie separatiste e indipendentiste coglieranno questa occasione per portare avanti le loro richieste. Questo non farà altro che prolungare le sofferenze delle popolazioni.

(Paolo RossettiGUERRA CIVILE IN SUDAN/ "Al Burhan vs. Hemetti, ora si rischia un'altra Libia" (ilsussidiario.net)

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