martedì 16 dicembre 2008
Leggi Razziali: L’Africa Orientale Italiana
Il fascismo e l’AOI (Africa Orientale Italiana)
Anche se, dopo la sconfitta di Adua, non vi furono altri tentativi militari di conquista dell’Etiopia, tuttavia fu costante l’obiettivo di creare una continuità territoriale tra le colonie dell’Eritrea e della Somalia: nel 1906 era stato stipulato un accordo commerciale tripartito con Francia e Gran Bretagna che permetteva all’Italia l’utilizzo di una fascia di collegamento tra Eritrea e Somalia. Secondo l’interpretazione di Del Boca, anche la politica coloniale dei governi liberali conteneva il progetto, già crispino, di occupare il Corno d’Africa, Francia e Gran Bretagna permettendo.
Il primo dopoguerra vide rinascere il nazionalismo che si era già affermato con la guerra di Libia, anche se l’interesse prevalente dell’opinione pubblica sembrava orientato più alla questione di Fiume che alle conquiste coloniali. La posizione di Mussolini è in quel periodo oscillante tra un nazionalismo moderato e un orientamento abbastanza deciso verso un’espansione che garantisca l’emigrazione, il commercio e la diffusione della cultura. Progressivamente compaiono però accenti più aggressivi: in un discorso a Trieste del 6 febbraio 1921 Mussolini dirà: “È destino che il Mediterraneo torni nostro. È destino che Roma torni a essere la città direttrice della civiltà in tutto l’occidente d’Europa. Innalziamo la bandiera dell’Impero, del nostro imperialismo che non dev’essere confuso con quello di marca prussiana o inglese.” In un discorso a Tripoli dell’11 aprile 1926 delinea le motivazioni che giustificano il colonialismo italiano: “Noi abbiamo fame di terre perché siamo prolifici e intendiamo restare prolifici… Quando io penso al destino dell’Italia, quando io penso al destino di Roma, quando io penso a tutte le nostre vicende storiche, io sono ricondotto a vedere in tutto questo svolgersi di eventi la mano infallibile della Provvidenza, il segno infallibile della Divinità.”
Con questi tratti il colonialismo fascista si differenzia da quello liberale, sia perché quest’ultimo aveva sempre messo in luce la difficoltà di creare vere colonie di popolamento nei territori occupati sia perché non aveva mai vagheggiato per l’Italia destini imperiali e fatali.
Dopo l’incidente, al confine somalo, per i pozzi di Ual Ual nel dicembre 1934, nonostante il ricorso dell’Etiopia alla Società delle Nazioni, l’azione di propaganda divenne massiccia, attraverso opuscoli nelle scuole, riviste e varie iniziative dell’Istituto Coloniale che riuniva tutte le precedenti società di geografia di fine Ottocento; si costruì così un vasto fronte di entusiastico consenso non solo tra i soldati e gli ausiliari impegnati in Eritrea e in Somalia, ma anche tra i giornalisti e gli intellettuali in Italia. De Bono ebbe, nel 1932, il compito di preparare un piano di invasione dell’Etiopia; nel biennio successivo i preparativi per la guerra in Eritrea e in Somalia allarmarono Hailé Selassié che iniziò a sua volta operazioni di riarmo e, attraverso le vie diplomatiche, cercava di attrarre dalla sua parte soprattutto la Gran Bretagna.
L’invasione dell’Etiopia avvenne nell’ottobre 1935 senza dichiarazione di guerra; la Società delle Nazioni reagì approvando le sanzioni che non furono mai pienamente attuate ma servirono a Mussolini a rinsaldare il consenso interno su vari fronti. Una delle operazioni più efficaci nel creare compattezza tra gli italiani fu la raccolta dell’oro, che ebbe un impatto psicologico molto capillare anche nei ceti sociali più poveri, le donne donarono persino la loro fede matrimoniale, in un clima di dedizione assoluta al fascismo e al suo capo. La guerra fu molto popolare.
Il generale Badoglio da nord e il generale Graziani da sud condussero la campagna contro l’Etiopia, campagna che fu rapida e vittoriosa (si concluse prima dell’arrivo delle piogge). Nel maggio 1936 l’esercito italiano entrò in Addis Abeba da cui Hailé Selassié era fuggito due giorni prima, rifugiandosi a Londra. Nel conflitto fu ampiamente usata l’aviazione contro i civili associata all’uso di gas autorizzato personalmente da Mussolini. L’uso dell’iprite, in particolare, avvenuto tra dicembre ’35 e gennaio ’36, segnò una svolta nel modo di condurre la guerra, infatti il gas tossico non era usato solo contro i militari ma veniva irrorato sul territorio avvelenando persone, animali, acqua e vegetazione. Tale circostanza fu mantenuta segreta e a lungo negata: quando negli anni sessanta fu portata alla luce e documentata con studi d’archivio si scatenarono reazioni risentite e accuse di vilipendio del soldato italiano. Eppure Hailé Selassié aveva denunciato l’uso di gas tossici all’assemblea della Società delle Nazioni il 30 giugno 1936. Ma questo e altri crimini di guerra compiuti nel corno d’Africa, quali eccidi del clero copto ad opera di Graziani, rimasero impuniti per ragioni di politica internazionale.
La proclamazione dell’impero avvenuta il 9 maggio 1936 portò all’unificazione di Eritrea, Etiopia e Somalia italiana nell’Africa Orientale Italiana (AOI). L’entusiasmo in Italia fu enorme e segnò il momento di più alto consenso al regime.
La colonizzazione italiana fu di breve durata: nel 1941, nel corso della seconda guerra mondiale, il territorio fu occupato dalle truppe anglo-francesi: l’Etiopia riacquistò la sua indipendenza nel dicembre 1942 col rientro di Hailé Selassié; l’Eritrea, contrariamente alle aspettative italiane, fu dichiarata unità autonoma federata all’Etiopia con una dichiarazione dell’ONU del 1952, ma l’Etiopia, che rivendicava “diritti storici” sull’Eritrea proprio in virtù della fondazione dell’AOI, procedette di fatto all’annessione nel 1962, ponendo le condizioni per la trentennale guerra d’indipendenza dell’Eritrea; la Somalia venne affidata nel 1950 in amministrazione fiduciaria decennale all’Italia.
Conseguenze dell’impresa etiopica
Le ripercussioni in Italia della guerra d’Etiopia furono rilevanti su diversi piani.
Sul piano economico le sanzioni della Società delle nazioni provocarono il lancio, nel marzo del 1936, della politica autarchica, che comportò un maggior coinvolgimento dello Stato nella produzione oltre che nel consumo, una gestione diretta da parte dell’IRI delle industrie legate alla guerra e l’affermarsi di un protezionismo spinto. Per altro il costo elevato dell’impresa provocò un calo del potere d’acquisto dei salari e una diminuzione degli investimenti soprattutto nelle zone meridionali che videro peggiorare la loro situazione, anche perché non si realizzò l’auspicato sbocco all’emigrazione nelle colonie africane.
Sul piano politico l’Italia si spostò in modo deciso, nonostante le retoriche dichiarazioni che esaltavano il ritorno dell’impero sui colli fatali di Roma e l’entusiasmo unanime per tale evento, verso una subalternità alla linea bellicista della Germania, che sfociò nel Patto d’acciaio del 1939. Parallelamente si sviluppò una profonda avversione alle potenze coloniali di vecchia data, Francia e Inghilterra, che detenevano il dominio “plutocratico” del mondo.
Ma la conseguenza forse più deleteria fu il sorgere in Italia di movimenti di opinione di tipo razzista, volti a salvaguardare la purezza della razza italiana. La missione civilizzatrice ha come presupposti la superiorità della civiltà italiana (fondata sulla superiorità della missione civilizzatrice di Roma) e l’inferiorità delle popolazioni indigene. L’atteggiamento tutto sommato bonario del canto
“Faccetta nera, bella abissina,
aspetta e spera, già l’Italia s’avvicina;
quando staremo insieme a te,
noi ti daremo un’altra legge e un altro re”
si trasforma in una posizione assolutamente intollerante di qualunque forma di meticciato. Le motivazioni si rifanno talvolta ad un razzismo di carattere etnico-culturale, talvolta a quello biologico in senso stretto. Livio Cipriani, antropologo, scrive sul Corriere della sera il 16 giugno 1936: “Nell’uomo il conseguimento delle innovazioni continue caratterizzanti la nostra civiltà sembra pure legato ad uno speciale cervello, quale particolarmente la razza bianca ha finora mostrato di possedere… perché l’inferiorità mentale degli africani può asserirsi anche soltanto in base all’impossibilità congenita di un lavoro di creazione… nessun progresso è da sperarsi in futuro come promosso da un africano. Anche soltanto per il sospetto di una cosa simile, le razze superiori dovrebbero star guardinghe dagli incroci con gli africani; la legge anzi dovrebbe intervenire per prevenirli…”.
Significativa è la presentazione dell’incidente di Ual Ual pubblicata sulla copertina di un quaderno scolastico:
“In fondo all’Africa c’è un paese lontano e grande, chiamato Etiopia, vicino a una nostra colonia italiana, con la sua capitale Massaua. Una volta, anni fa, avevamo dovuto fare a quel paese una guerra che era andata purtroppo male, e molti nostri soldati morirono, battendosi come leoni contro quei neri selvaggi. Ma dopo si fece pace e da tanto tempo stavamo laggiù a fare strade e porti domandando solo che ci rispettassero e ci lasciassero lavorare tranquillamente. È difficile capire bene “questa terra è mia, e questa terra è tua” da quelle parti dove non vi sono villaggi fissi, neanche casolari, soltanto montagne e campagne, con qualche pozzo e qualche palma, e gente che gira a pascolare le bestie, oggi qua domani là, a gran distanza, secondo che trovi erba e acqua. Così ogni tanto quella gente andava a rubare fuori dalle loro terre. E strappava i bambini dalle braccia delle mamme, e gli uomini, le donne, i bambini che aveva rubati, li incatenava e li vendeva per schiavi al mercato, come le pecore. “Dovete prometterci di non fare più razzie per prendere schiavi che è orribile. E per il resto nominiamo d’accordo una commissione che stabilisca i confini”, disse il nostro Duce. “Va bene”, risposero loro. Invece continuarono a tenere gli schiavi, e un giorno, che la commissione lavorava da una parte, se ne approfittarono per attaccare i nostri soldati dall’altra parte, a Ual Ual. Ma i nostri fecero una gran sparatoria e vincemmo noi italiani”. Questa lunga citazione rende bene quale fosse il modo di pensare comune.
Tra giustificazioni pseudoscientifiche e pregiudizi diffusi il duce può ben dire nel 1938: “Il problema razziale non è scoppiato all’improvviso come pensano coloro i quali sono abituati ai bruschi risvegli perché sono abituati ai lunghi sonni poltroni. È in relazione con la conquista dell’impero; perché la storia ci insegna che gli imperi si conquistano con le armi ma si tengono col prestigio. E per il prestigio occorre una chiara severa coscienza razziale che stabilisca non soltanto delle differenze ma delle superiorità nettissime”.
Il Manifesto della razza del 14 luglio 1938 e l’antisemitismo delle leggi razziali concluderanno questo percorso ideologico-politico.
A livello internazionale l’impresa etiopica accentuò il declino della Società delle nazioni, infatti non solo le sanzioni ebbero scarsa efficacia, ma la conquista venne di fatto legittimata senza che l’appello di Hailé Selassié, nel suo dignitoso discorso del 30 giugno 1936 “Quale risposta dovrò riferire al mio popolo?”, ottenesse alcuna risposta, anzi, nel successivo dibattito, ci si pronunciò per la revoca delle sanzioni. Mussolini poté così tranquillamente affermare: “…nei rapporti internazionali non c’è che una morale, il successo. Noi eravamo immorali, quando, dicevano, abbiamo assalito il negus. Abbiamo vinto e siamo diventati morali, moralissimi”. Non è che gli altri colonialismi fossero più “morali” di quello italiano, anche nel modo di condurre le campagne militari, ma quello che aveva reso diversa questa impresa era l’appartenenza dell’Etiopia alla Società delle Nazioni come stato sovrano: era diversa la situazione giuridica. Ma ormai la forza prevaleva sul diritto internazionale e si profilava lo scontro della seconda guerra mondiale.
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