lunedì 3 gennaio 2011
Non solo la disperazione eritrea
Il Governo italiano non ha mai prestato un particolare interesse per il futuro di quelle popolazioni dei paesi che un tempo erano parte di un misero impero. Gli interessi internazionali non contempla tra le sue priorità i Diritti umani, ma solo gli affari da stipulare con gli ambigui governanti delle sue ex colonie. Una scelta che l’Italia non ha intrapreso solitariamente.
La Somalia è una tra le nazioni malavitose dove le attività illegali sono più rigogliose. La guerra civile che da una ventina d’anni ha lasciato la Somalia senza una struttura amministrativa, ma di mille fazioni che governano tanti frammenti di territorio, è l’ambiente adatto per i commerci illegali e sperimentare ogni fantasiosa brutalità. Una regione dove prospera la pirateria e i traffici di esseri umani, oltre a quello di materiale tossico.
In questo caos istituzionale e governativo sono solo le Ong ha fornire, tra mille difficoltà, un supporto alla popolazione, trattando sia con formazioni islamiche più o meno fanatiche che con l’ectoplasmatica rappresentanza politica, non solo per far giungere aiuti alimentari, ma per dare una parvenza di vita civile, dando una continuità all’istruzione e all’assistenza sanitaria. Risultati ottenuti anche tessendo difficili rapporti non solo con le bande di contrabbandieri, ma anche con i militari della forza di pace dell’Unione africana (Amisom), presenti per difendere una sembianza di Governo, mentre nel caos il Al Shabaab pesca nel torbido e lancia minacce all’Occidente in tono Al Qaeda.
In Eritrea la situazione si differenzia dalla Somalia solo per il fatto che la brutalità viene solo da un Governo centrale, tanto forte da rendere il paese una grande prigione a cielo aperto, ma non manca l’incertezza della propria vita.
L’idiosincrasia del presidente/padrone eritreo, Isaias Afewerki, per un’informazione libera è stata incanalata con incarcerazione di una trentina di giornalisti, stimolando in sovraffollate delle prigioni.
Un debole segno di condanna alle continue violazioni dei Diritti Umani in Eritrea, è allo studio dal Congresso statunitense, impedendo alle ditte di tutto il mondo che lavorano con quella nazione, numerose italiane, di operare nella borsa americana.
Un’iniziativa che andrebbe presa in considerazione anche dall’Unione europea e soprattutto dall’Italia che foraggia un governo autoritario.
È un primo passo per boicottare il regime e fermare la diaspora eritrea che costringe un’umanità oppressa ad affidarsi ai trafficanti di persone ed affrontare un viaggio pieno di sofferenze, attraversando anche il deserto prima del Mediterraneo, ma non sempre riescono a vedere la spiaggia per imbarcarsi sulle carrette del mare. Vengono passati da gruppo a banda sino a trovarsi ostaggi dei predoni nel deserto del Sinai, come sta accadendo da alcuni mesi ad un centinaio di eritrei, in gran parte cristiani, in compagnia di altre centinaia di etiopi e sudanesi. Le famiglie di una ventina dei sequestrati hanno raccolto il denaro necessario per riscattare le loro vite ed essere presi in consegna dai militari egiziani.
In questo inizio di 2011 i cristiani e musulmani si trovano compagni di sventura, in balia di briganti, con la complicità, secondo il gruppo umanitario Everyone, di Hamas, in mezzo al deserto, in questo periodo definito da molti di passaggio dal vecchio al nuovo, un tragico accostamento di tempi e luoghi con il transito di un’umanità nel deserto che ha un precedente illustre con un popolo in fuga dalla schiavitù, vagando tra le dune, sperando che non si prolunghi per quarantenni, attendendo di poter essere accolti nei campi profughi in Israele.
La timida diplomazia, pungolata dal sacerdote eritreo Mussie Zerai Yosief, responsabile dell’agenzia Habesia per la cooperazione e lo sviluppo, è riuscita a far riconoscere al governo egiziano l’esistenza del dramma, mentre gran parte del Pianeta chiude per ferie, ammettendo anche che il traffico di umanità coinvolge un numero ben più superiore di qualche centinaio di persone.
Dalla Libia governata con pugno di ferro, con un presidente da operetta, viene il ricatto petrolifero non solo per l’Italia, avanzando continue richieste di risarcimento post coloniale o aiuti economici per bloccare, nei campi di detenzione, le speranze di una vita migliore di un’umanità che fugge dalle persecuzioni e pronta ad affrontare una perigliosa attraversata del Mediterraneo.
Tra le ex colonia c’è anche un’Etiopia che cerca di non farsi notare troppo, cercando di non evitare un ulteriore coinvolgimento nel pantano somalo, ostentando un’apparente democrazia.
Per chi decide e riesce ad affrontato il lungo e pericoloso viaggio, riuscendo a toccare il suolo italiano, non va meglio, anche dopo aver ottenuto il permesso per protezione sussidiaria, un primo passo per vedersi riconosciuto lo status di rifugiato, trovandosi con un pezzo di carta e abbandonati a se stessi. Un esempio è quello di un gruppo di somali che occupa da anni l’ex ambasciata a Roma, di proprietà di uno stato che non riesce neanche a gestire il quartiere di Mogadiscio nel quale ha sede, vivendo nel degrado. Una palazzina fatiscente, tra sedi diplomatiche e residenze signorili, che nel 1991 ha messo di essere la rappresentanza somala, per diventare un punto di riferimento dei somali in fuga, oltre che dormitorio senza servizi.
L'Italia è il paese europeo più carente nell'ambito delle politiche di assistenza verso il rifugiato. Alcuni somali sono arrivati in Olanda, altri in Svezia, ottenendo sostegno, ma poi le autorità devono applicare il trattato di Dublino, obbligando i rifugiati a risiedere nel paese dove hanno richiesto asilo, a meno che non sono forniti di un'autorizzazione di libero spostamento tra i paesi europei.
Si valuta, oltre ai 150 rifugiati nell’ex ambasciata somala, che a Roma sono presenti un altro migliaio di rifugiati dimenticati dalle istituzioni, tra questi libici ed etiopi, altri ex sudditi dell’impero, oltre ad afgani e curdi, lasciati senza alcuna assistenza, se non quella della Caritas o di altre associazioni di volontariato. Un disinteresse delle istituzioni dettato, forse, solo per non contrariare i governi dai quali fuggono.
Anche in questo caso sono rare le voci in loro difesa, tranne le ovvie prese di posizioni dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) o di altre organizzazioni umanitarie, ma mancano quello dei compatrioti più fortunati, degli intellettuali e imprenditori italo-somali, mentre l’Italia continua a deludere le sue ex colonie, cercando di ignorare i vari appelli provenienti dai territori d’oltre mare, come quello di un centinaio di parlamentari somali nell’auspicare un concreto riavvicinamento tre le due nazioni.
Tra i buoni propositi, per il 2011, i Governi democratici dovrebbero prendere in considerazione aggiornamento dell’elenco delle nazioni canaglia, per svincolarsi da ogni ricatto economico e finanziario.
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