di Emilio Drudi
“Altroché ‘primavera
libica’. La Libia si sta rivelando un paese che va sempre più decisamente verso
l’imbarbarimento sul piano dei diritti umani e civili. Centinaia, migliaia di
rifugiati africani soffrono nei lager dove sono stati relegati, in una
condizione degradante per la dignità dell’uomo. E l’Europa è complice di tutto
questo”: don Mussie Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia, non fa sconti alla
politica comunitaria per il disastro umanitario che si profila a Tripoli.
La contestazione
arriva come una frustata, in particolare, per l’Italia dove, mentre ci si
appresta a votare per il nuovo governo, nelle agende politiche di tutti i
partiti i diritti umani di fatto non compaiono o occupano al massimo capitoli
del tutto marginali, tanto da essere rimasti assenti dal dibattito elettorale.
Anche di fronte ad emergenze enormi, come gli oltre 1.200 migranti e
richiedenti asilo che, proprio in questi giorni, rischiano l’espulsione da
Tripoli verso i paesi d’origine dove, nella migliore delle ipotesi, li
aspettano lunghi anni di carcere.
La Libia non ha mai
firmato gli accordi di Ginevra sulla tutela degli immigrati e dei profughi. Con
Gheddafi, però, ha sottoscritto la convenzione dell’Unione Africana, in vigore
dal 1974, che impegna tutti gli Stati membri ad accogliere e proteggere i
rifugiati “senza distinzione di razza, di nazionalità, di appartenenza a un
determinato gruppo religioso o politico”. “Solo che nella nuova Libia, quella
nata dalla rivolta contro il rais – denuncia don Zerai – accade il contrario,
come se quella convenzione non esistesse. In queste settimane che precedono il
secondo anniversario della rivoluzione da cui è stato travolto il regime di
Gheddafi, i militari e la polizia hanno scatenato un’autentica caccia al nero.
Ne sono vittime eritrei, etiopi, somali ma anche profughi della fascia sub
sahariana. Il paese sta andando rapidamente verso un ulteriore imbarbarimento
sul piano dei diritti più elementari. Negli ultimi mesi abbiamo ricevuto
numerose testimonianze da parte di cristiani aggrediti soltanto perché
portavano un’immagine, un segno della loro fede. E nei centri di detenzione la
discriminazione è costante: anche i non islamici sono costretti ad osservare le
norme del ramadan e si rischia un pestaggio feroce se si viene sorpresi con una
bibbia in mano o con una croce al collo”.
Particolarmente
pesante è la situazione nei campi di Sebha e Birak, nell’estremo sud,
anticamera dell’espulsione verso i paesi d’origine, perseguita con tenacia dal
governo di Tripoli nonostante per molti profughi, a cominciare dagli eritrei,
la riconsegna agli stati dai quali sono fuggiti significhi anni e anni di
prigione durissima o anche la morte. Ma, a parte il rischio espulsione, le
stesse condizioni di detenzione in Libia sono terribili. All’agenzia Habeshia
sono arrivate segnalazioni di prigionieri ammassati a decine in una sola
stanza. In un caso addirittura 130, in un autentico inferno: camerone infestato
di topi e pidocchi, pochi sorsi d’acqua per bere e niente del tutto per
l’igiene personale, cibo immangiabile, abiti ridotti a stracci sporchi,
detenuti sottoposti a continui pestaggi e maltrattamenti o utilizzati come
braccia da lavoro a costo zero. Schiavi privati di ogni diritto, ai quali viene
sottratta anche la maggior parte degli aiuti internazionali: “L’80 per cento
del materiale che arriva dalle Ong occidentali sparisce ad opera degli addetti
alla sorveglianza dei campi profughi e le organizzazioni umanitarie non hanno
la forza di chiedere che, come prevedono gli accordi, tutte le risorse donate
siano invece utilizzate effettivamente per i migranti e i rifugiati. Persino i
malati o i tanti feriti per i postumi delle percosse e dei maltrattamenti
vengono abbandonati a se stessi: non ci sono medici, non c’è assistenza, sono
fatti sparire i farmaci portati dalle Ong”.
“Un silenzio
assordante e colpevole circonda tutto questo – denuncia don Zerai – Bocche e
occhi chiusi di fronte a un calvario che si rivela giorno per giorno una
violazione gravissima della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del
1948, delle Convenzioni di Ginevra sul diritto umanitario internazionale, dei
trattati e delle dichiarazioni internazionali e regionali sulle necessità dei
rifugiati e della stessa convenzione dell’Unione Africana che la Libia ha
firmato”. Ma l’Europa tace. Anzi, cerca di innalzare una spessa cortina di
“silenziamento” su questa grave emergenza umanitaria che lei stessa ha favorito
e che contribuisce ancora ad alimentare, giorno per giorno. Don Zerai è
inflessibile in proposito: “L’Europa, premio Nobel per la pace, ha la coscienza
sporca del sangue dei tanti innocenti che muoiono nei centri di detenzione
libici, voluti dalla politica di chiusura e di ‘esternalizzazione’ dei confini
continentali nel sud del Mediterraneo. L’Europa è complice delle violazioni dei
diritti umani e civili, delle discriminazioni per motivi di razza e di
religione di cui sono vittime oggi in Libia migliaia di profughi dell’Africa
sub sahariana. Quanto denunciamo oggi, infatti, è il frutto delle tante
pressioni politiche e diplomatiche che l’Europa ha fatto e continua a fare
perché paesi come la Libia facciano il lavoro criminoso di chiudere in
autentici ghetti migliaia di profughi africani. In modo che non possano venire
a bussare direttamente alle sue porte”. Come dire, non importa che questa specie
di sbarramento “per delega” produca sofferenze, soprusi, morte. Importa solo “blindare”
il Mediterraneo. E che il massacro che ne deriva avvenga il più lontano
possibile e il più possibile in silenzio. Che non desti clamore, insomma.
Finora ha fatto
eccezione la Svizzera, forse l’unico paese che prevede la possibilità di
accogliere le richieste di asilo anche presso le sue sedi diplomatiche sparse
in tutto il mondo. “Ma dal prossimo mese di giugno – avverte don Zerai – anche
questo canale rischia di chiudersi: è in programma un referendum proprio per
chiedere l’abolizione totale anche di quella che appare ormai l’unica
possibilità rimasta. Se la proposta passerà, il cerchio della fortezza Europa
si chiuderà del tutto. Una scelta che da una parte favorisce il traffico
clandestino di esseri umani e dall’altra aumenta in modo esponenziale la
sofferenza di profughi e rifugiati, costretti in lager come quelli libici. E’
essenziale, allora, che l’Unione Europea cambi la sua politica
sull’immigrazione, rimuovendo subito gli accordi presi con i paesi che non
rispettano i diritti umani e i diritti dei rifugiati e aprendo un percorso
legale protetto di ingresso per i richiedenti asilo. Prevedendo anche la
possibilità di presentare le domande presso le sedi diplomatiche, specie dove
ci sono situazioni d’emergenza umanitaria ed evidenti casi di persecuzione”.
Al di là delle
responsabilità dell’intera Unione Europea, è un atto di accusa che investe direttamente
l’Italia. Appare evidente che la politica seguita finora sull’immigrazione e
sull’accoglienza causa una gamma infinita di violazioni di diritti, forme
crudeli di sfruttamento, prevaricazioni, vittime. Eppure, nel dibattito della
campagna elettorale che si sta concludendo, questo capitolo è stato totalmente
ignorato. Anzi, “silenziato”. Ha taciuto la destra, alla quale si deve la
delega alla Libia sul controllo dei migranti nel Mediterraneo, con gli accordi
firmati a suo tempo da Berlusconi. Ha taciuto il centro, che con il governo
Monti ha rinnovato quella intesa. Ha taciuto anche la sinistra, che ha votato
in blocco questi patti fin dall’inizio, senza farsi venire un solo dubbio. Lo
stesso Bersani, nel suo viaggio in Libia come leader del centrosinistra,
all’indomani delle primarie appena vinte, si è guardato bene dal sollevare il
problema. Nonostante le denunce e gli appelli del Commissariato dell’Onu per i
rifugiati e, soprattutto, di Amnesty International. Non una parola, in
particolare, da parte della politica italiana, sulla petizione rivolta da
Amnesty a tutti i partiti per ascoltare “il gemito degli oppressi e dei
perseguitati” che sale ogni giorno dal Sud del Mondo. A cominciare proprio
dalla Libia.
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