Agenzia Habeshia. I profughi
scomparsi in mare
Giornata della memoria: sì,
ma senza ipocrisie
Il Parlamento
italiano sta per discutere la proposta di istituire, ogni 3 ottobre, la data
della tragedia di Lampedusa, una Giornata della memoria in onore delle 366
vittime di quell’alba tragica e di tutte le migliaia di disperati scomparsi in
questi ultimi anni nel Mediterraneo, inseguendo un sogno di libertà e di umana
dignità.
E’ impossibile non
essere favorevoli a questa iniziativa. Quelle 366 vite spezzate sono diventate
il simbolo della tragedia di tutti i profughi del pianeta, richiamando in
particolare l’Italia e l’Europa alle proprie responsabilità nei confronti dei
tantissimi giovani, donne e uomini, che gridano aiuto ai potenti della terra
dai paesi del Sud del mondo, sconvolti da guerre, dittature, terrorismo,
persecuzioni, carestia, fame, miseria endemica. Proprio mentre si propone di
celebrare questa data simbolo, però, la politica italiana e quella europea
stanno andando nella direzione esattamente opposta, dimenticando o facendo
finta di dimenticare, che la maniera migliore per onorare la memoria dei morti
è quella di salvare i vivi. Sono tanti, infatti, i provvedimenti e gli
interventi che contrastano con quello che dovrebbe essere lo spirito della
futura Giornata della Memoria. Vale la pena citare i più significativi.
– Mare Nostrum. Il primo novembre 2014 è stata abolita l’operazione
Mare Nostrum: l’Italia afferma di non poterne più sostenerne le spese; l’Unione
Europea, anziché farla propria, ha preferito puntare sull’operazione Triton,
affidata all’agenzia Frontex, dotata di mezzi infinitamente minori e il cui
unico obiettivo è quello di presidiare i confini mediterranei dell’Europa,
attuando interventi di salvataggio solo in casi eccezionali. Sono stati
ignorati sia il parere della stessa Marina Italiana, contraria alla soppressione
del programma di soccorso, sia gli appelli dell’Unhcr e dell’Oim, che anche di
recente hanno chiesto di varare una nuova Mare Nostrum su base europea.
Tacitate di fatto le voci dei pochi parlamentari che hanno sollecitato la
riedizione di Mare Nostrum “anche a costo di perdere voti”, mettendola magari
sotto l’egida dell’Onu.
– Processo di Khartoum. E’ stato varato il Processo di Khartoum, l’accordo
firmato dai 28 Stati dell’Unione Europea, su iniziativa in particolare proprio
dell’Italia, che di fatto affida la gestione dell’immigrazione dall’Africa e
dal Medio Oriente a vari Stati dell’Africa Orientale, incluse alcune delle
peggiori dittature del mondo, come quella di Isaias Afewerki in Eritrea e di Al
Bashir in Sudan, ma anche al regime egiziano di Al Sisi, messo sotto accusa
ripetutamente da Amnesty e da altre organizzazioni internazionali per la
sistematica violazione dei diritti umani e il soffocamento di ogni forma di
dissenso: oltre 800 condanne a morte, centinaia di condanne all’ergastolo,
migliaia di civili sottoposti, senza possibilità di appello e spesso senza
alcuna difesa, al giudizio delle corti marziali militari.
– Finanziamenti alle dittature. Proprio sulla scia del Processo di Khartoum,
l’Unione Europea, nel contesto dei progetti di cooperazione, ha deciso di
stanziare un pacchetto di 300 milioni di euro in favore dell’Eritrea.
L’obiettivo sarebbe quello di “fermare la fuga di migliaia di migranti dal paese”.
Così almeno si è detto a Bruxelles. Ma si ignora o si fa finta di ignorare che
l’attuale esodo di tanti giovani eritrei è dovuto prima di tutto alla totale
mancanza di libertà e democrazia e che le stesse condizioni di estrema povertà
sono dovute proprio alla politica del regime, che ha militarizzato la nazione
con una catena continua di guerre che dura, pressoché ininterrotta, addirittura
dal 1994. Anzi, sono rimaste inascoltate, a Bruxelles come a Roma, le proteste
della diaspora e l’appello lanciato da numerosi docenti universitari, uomini di
cultura, giornalisti, esuli, ex diplomatici eritrei, attivisti, i quali, a fine
marzo, hanno denunciato come manchi qualsiasi prova che abbia fondamento la
pretesa volontà del regime di allentare il “pugno di ferro” con cui governa
l’Eritrea, cominciando finalmente a rispettare i diritti umani e le regole
fondamentali della democrazia. Al contrario: tutto lascia credere che questo
flusso di denaro dall’Europa finisca per legittimare e rafforzare la dittatura proprio
mentre sta attraversando una fase di grave difficoltà. E il caso dell’Eritrea
non è isolato: c’è da ritenere che finanziamenti analoghi siano previsti anche
per altre dittature della regione.
– Nuovi respingimenti. Nell’ultimo vertice europeo di Bruxelles l’Italia ha
proposto di coinvolgere nel pattugliamento del Mediterraneo anche le marine
militari della Tunisia e dell’Egitto. In questo modo – si afferma – potranno
essere potenziati i servizi di salvataggio. Solo che – come ha rivelato un
servizio giornalistico del Guardian – le navi tunisine ed egiziane non si
limiteranno ai soccorsi: i profughi intercettati in mare verranno
riaccompagnati in Africa. Praticamente respinti a priori, senza esaminare se
sono nelle condizioni di essere accolti in Europa come profughi ed hanno
diritto a una forma di protezione internazionale. Poco importa se questo
significa di fatto riconsegnarli ai trafficanti di uomini o magari ai paesi dai
quali sono stati costretti a fuggire. Il tutto, tra l’altro, per quanto riguarda
l’Egitto, senza considerare che – come è già accaduto in passato e si è
ripetuto anche in questi giorni – i profughi intercettati vengono considerati
colpevoli di immigrazione clandestina, arrestati e gettati in carcere
praticamente a tempo indeterminato, fino a quando, cioè, non saranno in grado
di pagarsi il biglietto aereo per tornare nel paese d’origine.
Provvedimenti come
questi legittimano il sospetto che si stia puntando ad attuare una politica di
controllo militare del Mediterraneo, fondata non su un sistema di
soccorso-accoglienza ma di soccorso-respingimento, che prevede di riportare i
profughi in Africa e, in definitiva, di esternalizzare ancora di più i confini
della Fortezza Europa, per spostarli quanto più a sud possibile, anche oltre il
Sahara, appaltando il “lavoro sporco” del contenimento ad alcuni Stati
africani, incluse feroci dittature. Non importa a che prezzo.
Allora, a fronte di
una simile situazione, la proposta di istituire una Giornata della Memoria per
i profughi, da celebrare ogni 3 ottobre, appare un’ipocrisia o, al massimo, un
appuntamento vuoto, che rischia di risolversi nell’ennesima passerella per la
dichiarazione di buone intenzioni, subito dimenticate. La Giornata della
Memoria avrà un senso solo se sarà il primo passo per cambiare radicalmente il
sistema di accoglienza e, più in generale, la politica dell’Europa e
dell’Italia nel Sud del mondo. Partendo dalle stesse proposte lanciate da
Habeshia il 3 ottobre 2014 a Lampedusa, in occasione del primo anniversario
della strage, ma rimaste senza risposta. Sono proposte concrete che esigono risposte
precise ed altrettanto concrete.
– Corridoi umanitari. Istituire una serie di corridoi umanitari che, con la
collaborazione dell’Unhcr, consentano di aprire ai profughi le ambasciate
europee nei paesi di transito e di prima sosta, in modo da esaminare sul posto
le richieste di asilo e consentire così a tutti coloro che hanno diritto a una
qualsiasi forma di protezione internazionale di raggiungere in condizioni di
sicurezza il paese scelto e disposto ad accoglierli.
– Paesi di transito e di prima sosta. Con la collaborazione e d’intesa con i
governi locali, studiare ed attuare interventi e programmi di aiuto per rendere
più sicuri i paesi di transito e prima sosta, creando così condizioni di vita dignitose,
nei tempi di attesa, per i profughi che presentano richiesta d’asilo all’Europa
e, a maggiore ragione, per quelli (in realtà la grande maggioranza) che
intendono restare invece proprio in quei paesi, non lontano dalla propria terra,
nella speranza che si creino le condizioni per poter tornare sicuri in patria in
tempi non troppo lontani. L’azione combinata di questo programma e dei corridoi
umanitari può risultare l’arma più efficace per sottrarre i profughi e i migranti
al ricatto dei mercanti di morte e alle loro organizzazioni criminali.
– Sistema europeo di accoglienza unico. In stretta connessione ed anzi come
condizione perché i due punti sopra illustrati possano essere attuati, va
organizzato un sistema unico di asilo e accoglienza, condiviso e applicato da
tutti gli Stati aderenti all’Unione Europea che, ripartendo in modo equo i
richiedenti asilo e i migranti forzati nei vari paesi Ue, preveda condizioni di
vita dignitose e un processo di reinsediamento il più rapido possibile. In
questo modo si andrebbe ad annullare anche il regolamento di Dublino 3, che
impedisce la libertà di circolazione, residenza e lavoro, vincolando i migranti
al primo paese Schengen al quale chiedono aiuto. E si supererebbero storture
tutte italiane come la rete degli attuali Centri di accoglienza, l’abbandono
dei migranti al loro destino una volta che hanno ottenuto lo status di
rifugiato o un’altra forma di protezione, con la conseguente creazione di una
enorme sacca di persone di fatto senza diritti, consegnate allo sfruttamento,
al lavoro nero, talvolta alla criminalità.
Da notare che queste
tre proposte sono tutt’altra cosa rispetto al progetto, previsto dal Processo
di Khartoum, di aprire una serie di campi profughi sotto le insegne Unhcr, dove
sia possibile presentare le richieste di asilo. A parte il fatto che campi
gestiti dall’Unhcr già esistono, il punto è chi garantisce la sicurezza degli
ospiti di quelle strutture in paesi del tutto inaffidabili, da anni sotto
accusa per la violazione dei diritti umani: sono eloquenti in proposito i casi
di violenza, rapimento, complicità delle stesse forze di sicurezza con i
trafficanti di uomini, denunciati a più riprese in Sudan, che pure è uno dei
paesi chiave dell’accordo. Per di più, l’attuazione del terzo punto è
essenziale per il funzionamento dei primi due.
– Interventi nei “punti di crisi”. Varare una politica comune e mirata
dell’Unione Europea nei cosiddetti “punti di crisi”, per eliminare o quanto
meno ridurre le cause di questo esodo enorme direttamente nei paesi d’origine
dei profughi. Non, però, con accordi al buio con gli stessi dittatori che sono
la prima causa dell’esodo enorme a cui stiamo assistenza ma sostenendo i
movimenti democratici che li combattono e, in ogni caso, pretendendo da quei
dittatori il rispetto immediato dei diritti umani e delle regole democratiche
come condizione preliminare irrinunciabile per l’apertura di qualsiasi forma di
colloquio e collaborazione.
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