di Emilio Drudi
Circa 670 euro. A
tanto ammonta la spesa per ogni vita umana salvata lo scorso anno con
l’operazione Mare Nostrum: 114 milioni (9,5 al mese per dodici mesi) a fronte
di quasi 170 mila donne e uomini aiutati a raggiungere l’Italia e l’Europa. Ma
si è detto che questa spesa non era sopportabile per le finanze italiane ed
europee. Verrebbe da pensare che un uomo, per certa politica, vale meno di 600
euro. Certo è che Mare Nostrum è stata soppressa per mettere in campo Triton,
un programma che prevede non interventi di salvataggio in mare ma
esclusivamente il controllo e la difesa delle frontiere e solo incidentalmente,
se capita, insomma, le procedure di soccorso.
Ora, sulla scia
dell’emozione suscitata dall’ennesima strage, con circa 800 vittime, la più
grave di tutti i tempi nel Mediterraneo, l’Unione Europea ha messo in campo una
strategia basata su dieci punti. Ne parliamo con don Mussie Zerai, il
presidente dell’agenzia Habeshia, candidato al Premio Nobel per la Pace, che da
anni contesta “l’inerzia e l’ipocrisia” delle cancellerie del Nord del mondo. E
che non lesina critiche: “Il nostro cuore – sbotta subito – è colmo di dolore
per la strage dei profughi e il silenzio dei potenti della terra. Da 15 anni
assistiamo alla morte di migliaia di migranti, ma l’Europa non sa fare altro
che sfoderare parole di circostanza. Ipocrisia su ipocrisia. Un’Europa che
spende milioni in armamenti ma dice di non avere soldi per salvare vite umane.
Moltiplica gli strumenti di morte e non ha voglia di guardare al caos provocato
in Africa e nel Medio Oriente. In tutta una serie di paesi diventati mercato
fiorente dove vendere armi e rapinare le risorse naturali o da cui far venire
lavoratori a basso costo da sfruttare… Ora arrivano questi ‘dieci punti’. Non mi sembra che cambi molto
rispetto al passato”.
Ecco, esaminiamo uno
per uno questi punti.
– Rafforzamento delle operazioni congiunte nel
Mediterraneo (Triton e Poseidon), aumentando le risorse finanziarie,
potenziando la dotazione di uomini e mezzi ed estendendo eventualmente l’area
operativa, in modo da intervenire su un raggio più ampio, ma sempre nell’ambito
del mandato di Frontex.
Don Zerai: “E’ poco
chiaro che cosa si intenda quando si specifica “nell’ambito del mandato di
Frontex”. Il punto è cambiare radicalmente le regole di ingaggio. Frontex ha il
compito di sorvegliare le frontiere e non di salvare vite umane. Interviene in
operazioni di soccorso solo quando riceve richieste specifiche ma è obbligato a
farlo: altrimenti violerebbe le leggi
internazionali e il codice del mare. Tutt’altra cosa era il mandato di Mare
Nostrum, che arrivava a pattugliare il Mediterraneo fino al limite delle acque
territoriali libiche. E’ una risposta che continua la linea di indifferenza
seguita finora: la poca voglia di impegnarsi in una missione volta a proteggere
la vita delle persone in pericolo”.
– La cattura e la distruzione dei barconi utilizzati
dai trafficanti: in sostanza, la riproposizione nel Mediterraneo
dell’operazione Atalanta contro la pirateria.
“Questo progetto
presuppone la collaborazione del governo libico. Ma quale governo? Con quello
insediato a Tripoli o con quello di Tobruk, riconosciuto dalla comunità
internazionale ma che non esercita alcun controllo sul paese ed è anzi quasi
sotto assedio da parte delle varie milizie che si contendono il potere, incluse
quelle dell’Isis? Insomma, è una proposta che definire irrealistica è ancora
poco”.
– Le agenzie Europol, Frontex, Easo, Eurojust si
incontreranno regolarmente e lavoreranno a stretto contatto per raccoglier informazioni
sul modus operandi dei trafficanti, per tracciare le fonti dei finanziamenti
delle organizzazioni criminali, per coordinare e collaborare nelle indagini.
“E’ una cosa tanto
ovvia che non andrebbe nemmeno annunciata. Dovrebbe, anzi, avrebbe dovuto funzionare
così da tempo. Comunque, speriamo che davvero sia così: è dal 2009 che
chiediamo di seguire il flusso del denaro per rintracciare i trafficanti,
esattamente come ha fatto la magistratura italiana per risalire ai vertici
della mafia. Vedremo se alle parole seguiranno finalmente i fatti”.
– Verranno inviati team tecnici in Italia e in Grecia
per trattare in modo congiunto le domande di asilo.
“Era ora. Ma questo
presuppone il superamento del regolamento di Dublino 3, che vincola i migranti
al primo paese al quale si rivolgono per chiedere aiuto. Altrimenti, a che cosa
serve un provvedimento di questo genere?”.
– Gli Stati membri dell’Unione Europea garantiranno
l’identificazione e la raccolta delle impronte digitali di tutti i migranti.
“Va bene
l’identificazione. Ma il punto restano i regolamenti di Dublino 1, 2 e 3, una
vera e propria gabbia per i profughi che non desiderano restare nel primo paese
in cui sono arrivati, via mare o via terra, ma stabilirsi altrove, dove hanno
magari parenti o amici pronti ad aiutarli o dove, più semplicemente, vedono la
prospettiva di un futuro migliore, rispetto alle condizioni di degrado,
discriminazione, sfruttamento, pressoché totale impossibilità di inserimento
che li attendono in Italia o in Grecia”.
– Verranno valutate le opzioni per un meccanismo di
trasferimento d’emergenza.
“Si continua a
parlare di emergenza, ignorando o facendo finta di ignorare che siamo di fronte
a un enorme problema strutturale, che richiede interventi ‘strutturali’, non
‘emergenziali’. Il caos, le stragi, le sofferenze di migliaia di persone
derivano proprio da questo approccio errato o ‘volutamente errato’. E sappiamo
fin da adesso che questa catastrofe è destinata ad aumentare nei prossimi 15
anni se non si attuerà una politica di pace nel Corno d’Africa, nell’Africa Sub
Sahariana e nel Medo Oriente. Se, in concreto, non ci saranno investimenti per
lo sviluppo e una svolta coraggiosa nella politica europea. Tutto il resto sono
solo parole al vento”.
– Un ampio progetto pilota europeo di reinsediamento
dei profughi, su base volontaria, che offra posti alle persone bisognose di
protezione.
“Sembra solo una
dichiarazione d’intenti: non si specifica, ad esempio, né come, né dove. E poi,
se è solo su base volontaria, sappiamo già, per esperienza, come vanno le cose…
Insomma, ancora una volta, tanto fumo…”.
– Un nuovo programma di rapido rimpatrio dei migranti
irregolari, dagli Stati “in prima linea”, coordinato da Frontex.
“Va ribadito con
forza il no ai respingimenti senza prima verificare il diritto di ogni singolo
migrante a chiedere asilo o un’altra forma di protezione internazionale. E
occorre accertare preventivamente che le persone rimandate nel loro paese
d’origine non corrano alcun pericolo per la propria vita e la propria libertà.
Senza contare un aspetto totalmente trascurato: se il rimpatrio non verrà
accompagnato da progetti di inserimento sociale e lavorativo negli Stati di
provenienza, certamente queste persone tenteranno di nuovo di arrivare in
Europa. E il problema si riproporrà da capo”.
– Impegno di collaborazione con i paesi che confinano
con la Libia, attraverso uno sforzo congiunto tra la Commissione e il Servizio
europeo per l’azione esterna (Seae). Vanno intensificate iniziative analoghe in
Niger.
“Ha tutta l’aria,
ancora una volta, di una politica pilatesca, che mira ad affidare a ‘terzi’ la
gestione dei profughi, ma che non potrà durare a lungo. Oltre a mettere in
difficoltà i paesi ai quali si vuole assegnare il ‘lavoro sporco’, aumenteranno
inutilmente le sofferenze dei profughi. E i trafficanti apriranno altri
itinerari per portare verso l’Europa i disperati in fuga dal proprio paese. Non
c’è muraglia che tenga: prima o poi, sulla spinta anche di una diffusa
corruzione, le maglie si allargheranno. E’ eloquente quanto è accaduto ai tempi
di Gheddafi in Libia”.
– Invio di funzionari di collegamento, per i problemi
dell’immigrazione, in paesi terzi, per raccogliere informazioni sui flussi
migratori e rafforzare il ruolo delle delegazioni Ue.
“Ancora una proposta
in chiave difensiva della Fortezza Europa. Nessuno che pensi ai diritti e alla
tutela dei profughi: i pericoli mortali che queste persone corrono giorno per
giorno non sembrano interessare nessuno. In tutti questi dieci punti, insomma,
prevale la volontà dell’Europa di ‘difendersi’ da chi bussa alle sue porte per
chiedere aiuto e protezione. Non è stata spesa una sola parola su come
alleviare le sofferenze di milioni di donne e uomini perseguitati da guerre,
terrorismo, dittature, discriminazioni politiche, religiose, razziali, fame,
carestia, miseria endemica. E’ una scelta che colma il cuore di dolore e
delusione: la civile Europa sta facendo essa stessa cadere il mito di essere la
patria dei diritti umani, degna del Premio Nobel per la Pace”.
Emerge, dai giudizi su questi dieci punti, che Italia
ed Unione Europea, in pratica, hanno proposto interventi che danno risposte
alle “nostre paure” piuttosto che ai diritti, alle esigenze, alla vita stessa di
migliaia di profughi.
“E’ proprio così.
Voglio citare, a questo proposito, l’ultima, terribile richiesta di aiuto che è
arrivata all’agenzia Habeshia. Riguarda circa 400 eritrei ed etiopi rinchiusi
in una ex scuola vicino a Misurata. Mercoledì uno di loro ha telefonato,
raccontando che sono stati catturati da miliziani fedeli al governo di Tripoli.
Per catturarli hanno ingaggiato un conflitto a fuoco che un altro gruppo che li
teneva prigionieri. Nella sparatoria tre eritrei sono morti. Altri cinque feriti
e ora non si sa che fine abbiano fatto. Martedì, circa 50 donne sono state
prelevate da uomini armati e portate via: non si sa dove, né tantomeno perché
siano state separate dagli altri prigionieri. Non solo: ogni tanto arriva nella
prigione una donna libica, preleva un certo numero di profughi e li porta in
una specie di luogo di compravendita, pretendendo dai 2.000 ai 2.500 dollari a
persona per il rilascio. Tutto lascia credere che questa donna sia in
collegamento con gli intermediari eritrei, etiopi, sudanesi e somali che
organizzano la traversata verso l’Italia in collaborazione con i libici. E la
vita in carcere è durissima: i migranti vengono costretti ad osservare gli
orari delle preghiere islamiche e chi non prega viene pestato dai miliziani di
guardia. Ecco cosa accade in quelli che in Italia sono stati definiti
ipocritamente centri di accoglienza. Ma nei ‘dieci punti’ non c’è praticamente
nulla per fronteggiare situazioni del genere. E quanto accade oggi in Libia
potrebbe accadere domani in Niger, in Chad, Tunisia, Algeria… La verità è che
non c’è alcuna garanzia in campi come questi, a prescindere dalle ‘sigle’ sotto
cui sono aperti. Perché sono le stesse forze di polizia e di sicurezza, spesso,
a sfruttare e perseguitare i prigionieri. In quel carcere di Misurata ogni
tanto arrivano operatori dell’Oim. Ma non è un’ispezione. Si limitano a portare
qualche coperta o saponetta. Senza fare nulla per la protezione e la
liberazione di centinaia di persone detenute in condizioni degradanti per la
dignità umana”.
Nessun commento:
Posta un commento