È la voce
profonda dal mare che torna, roca e sommessa s’accende nel vuoto e si spegne
nel nulla. S’inerpica lenta, procede a strattoni. Infervora il vento sui nostri
ricordi, nei vecchi pensieri riflessi dagl’occhi. Silenzio. È la voce che parla
e dall’arida baia s’ode un lamento. Giunge e poi torna percorrendo a ritroso il
suo lento cammino. Graffia irrompendo nel mio sentimento.
L’acqua
cullandoti ti porge alla costa. T’accoglie la sabbia in un tenero abbraccio,
fondendo le tue membra al suo manto color oro.
Le
lentiggini sul tuo volto incorniciano il bianco candore della tua tenera pelle.
Le leggere palpebre velano i piccoli occhi, quasi a proteggerli. L’aria scherzava con i tuoi soffici capelli,
accarezzandoli dolcemente, quasi a non volerli scompigliare.
In quella
notte cupa una stella cadente solcava il cielo mentre una lacrima rigava il
volto dilaniato dal dolore di tuo padre. Gemeva stringendoti al petto
nell’ultimo abbraccio. La sua voce sussurrava parole d’amore che, come stanche
onde, s’infrangevano sulla ripida scogliera, frantumandosi per poi riprendere
il loro lento incedere. Un tremore pervase il tuo petto. Le spesse nuvole
soffocavano a poco a poco i raggi del Sole, quand’ecco che una saetta, feroce
ed improvvisa, s’abbatté su un’altura della costa generando un forte boato che,
fulmineo, si disperse rapido nell’aria. E l’acqua a poco a poco divenne più
mossa, come un sentimento che strugge l’animo che non trova conforto in un
porto di pace. Meste e vane preghiere s’innalzarono.
Dov’era il Dio a cui eravate devoti? Forse era anch’egli con voi a sopportar la
pena del lancinante dolore, nascosto nella stiva, tremante ed angosciato. Ed il
piroscafo venne sommerso d’acqua: era la morte che bussando alla porta della
vostra anima vi chiedeva di seguirla indicandovi il cammino. Protrasse una
gelida mano ma le sfuggisti. Non ti accogergesti però che ti aveva già avvolto con
un lembo del suo cupo e nero pastrano. Al tuo ventre s’avvinghiava con ferocia,
trascinandoti nell’oscuro degli abissi, là dove nulla ha un nome ed un posto,
laddove tutto si disperde e nulla si trova. Ricordavi la madre, la sua
carnagione così rosea e lieve, le sue iridi color verde smeraldo ed il tocco
delle sue così vellutate mani che sembravano potessero sfiorare ancora il tuo
capo in un gesto d’amore. Il dolce profumo di lavanda inebriava le sue vesti
che candide cadevano leggiadre sulle sue esili spalle.
Dal mare
ritorna la voce profonda. Il vento si placa, posandosi su foglie di felce che
paiono nel buio come soffici coltri che il corpo confortano dal crudele destino.
Sgorgavano i
ricordi a flebili fiotti e subito si dissipavano divenendo opachi come la cera.
Il gusto di
salsedine permeava le tue minute labbra. Morivi d’inverno, alla fine d’un
viaggio, nell’assurda ricerca del lontano miraggio che qualcuno chiamava Vita.
I pensieri,
come amazzoni, cavalcheranno eternando il ricordo. Sulla pietra s’inciderà il
tuo nome, nel cuore si scolpirà il tuo volto, piccolo Aylan.
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