di Emilio Drudi
“Hanno istituito il reato di
solidarietà… Ecco, poiché il decreto legge 286 del 1998 dice chiaramente che
non commette reato chi soccorre persone in pericolo, devo dedurre che abbiano
istituito il reato di solidarietà”: è polemico ma estremamente chiaro il
commento fatto a caldo da Rosa Emanuela Lo Faro, avvocato del capitano Marc
Reig, il comandate della Lago Azzurro,
l’ammiraglia della Ong spagnola Proactiva Open Arms, incriminato insieme al
capo missione Anabel Montes e al fondatore dell’organizzazione, Oscar Camps.
L’accusa è pesante: associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento
dell’immigrazione, un reato per il quale si rischiano da 4 a 7 anni di carcere
e che, intanto, ha portato al sequestro dell’unità, ancorata nel porto di
Pozzallo, impedendo così la prosecuzione delle missioni nel Mediterraneo, volte
a salvare vite umane. Perché di questo si tratta: i volontari di Proactiva Open
Arms sono “colpevoli” di salvare vite umane. Di essersi rifiutati di consegnare
alla Guardia Costiera di Tripoli i 218 naufraghi che avevano appena soccorso su
due gommoni alla deriva, a 73 miglia dall’Africa, in piene acque
internazionali, per non rimandarli nell’orrore della Libia, dove uccisioni,
morte, torture, sofferenze, riduzione in schiavitù sono pratica quotidiana.
Può sembrare assurdo, ma “colpire”
la solidarietà verso rifugiati e migranti sembra diventata quasi la norma,
accompagnata spesso da diffamazione e dileggio, come la definizione di “taxi
del mare” pronunciata più volte persino in Parlamento, la primavera scorsa,
quando si è scatenata la campagna di discredito contro le Ong impegnate con le
loro navi nel canale di Sicilia per cercare di rendere meno tragica e mortale
la via di fuga dalla Libia. Vale la pena ripercorrere alcuni dei principali
episodi che hanno preceduto il caso della Open Arms.
Lesbo (Isole Egee), 14-17 gennaio 2016. Arrestati 5 volontari per aver soccorso una barca in
avaria, proveniente dalle coste turche, carica di migranti. Tre (Julio, Kike e
Manuel) sono vigili del fuoco spagnoli, in forza al comando di Siviglia e
specializzati in interventi d’emergenza, che hanno deciso di impegnare tutte le
loro ferie e un lungo periodo di aspettativa dal lavoro per assistere i
profughi nell’Egeo. Gli altri due appartengono all’organizzazione umanitaria
danese Team Humanity, mobilitata a
Lesbo, la principale meta dei fuggiaschi dalla Turchia. Il processo si svolge
per direttissima il 17 gennaio, tre giorni dopo l’arresto. I tre spagnoli e uno
dei due attivisti danesi vengono rilasciati, ma la loro odissea non finisce: le
autorità greche decidono di continuare le indagini, chiedendo nel frattempo 5
mila euro a testa di cauzione. A Salam, il proprietario del battello di salvataggio,
viene imposto invece un deposito cauzionale di 10 mila euro, con l’ordine di
non lasciare la Grecia e l’obbligo di recarsi una volta alla settimana alla
stazione di polizia. La vicenda è ancora aperta. Interventi analoghi da parte
della polizia vengono segnalati dai volontari anche nella vicina isola di
Chios.
Udine, 16 giugno 2016. Sette volontari della onlus Ospiti in Arrivo vengono indagati con l’accusa di aver commesso, in
concorso tra loro, “invasione di terreni
o edifici” e “deturpamento o
imbrattamento di cose altrui”. Ma, soprattutto, tre di loro – i due
responsabili dell’associazione e un interprete – ricevono un avviso di garanzia
per “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” in Italia “per trarne
ingiusto profitto”. I fatti contestati si sono svolti tra la fine del 2014 e
l’inizio del 2015, quando a Udine non c’erano strutture di accoglienza adeguate
e i profughi restavano abbandonati a se stessi. I volontari sono posti sotto
accusa, in sostanza, per aver fornito un’assistenza quotidiana, portando pasti
caldi e coperte ai migranti nei luoghi dove trovavano un riparo: edifici
dismessi, parchi, il sottopasso della stazione ferroviaria, ecc. Il tutto in
maniera assolutamente gratuita, grazie a risorse messe a disposizione da
privati ed anzi, quando possibile, accompagnando gli assistiti nei locali della
Caritas anziché nei rifugi di fortuna, oltre che fornendo informazioni e un
interprete per le richieste di asilo. L’aggravante dell’ingiusto profitto è
stata individuata dall’accusa nel tentativo dei volontari di essere
riconosciuti come associazione per poter eventualmente accedere alla richiesta
del 5 per mille.
Nizza, 17 ottobre 2016 – 7 gennaio 2017. Quasi tre mesi sotto accusa, imputato di
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per aver dato un passaggio in
auto e aver cercato di aiutare tre ragazze eritree incontrate casualmente, spaesate
e mezzo morte di freddo, lungo una strada che dalle Alpi Marittime scende verso
la Costa Azzurra. E’ quanto è capitato a Pierre Alain Mannoni, 42 anni, due
figli, ricercatore del dipartimento dell’istruzione, di origine corsa ma
residente a Nizza. Fermato dalla polizia il 17 ottobre, privato della macchina
e del cellulare e rinviato a giudizio, la prima udienza del processo si è
svolta il 24 ottobre per la notifica dell’accusa. Il procedimento è andato
avanti fino al 7 gennaio 2017: il Tribunale di Nizza si è pronunciato per la piena
assoluzione, ma la Procura ha contestato la sentenza, presentando appello.
Bruxelles, 15 dicembre 2016. Frontex, l’agenzia europea per le frontiere esterne,
accusa di collusione con i trafficanti di esseri umani le Ong impegnate con le
loro navi nel Mediterraneo per operazioni di soccorso ai battelli dei rifugiati.
L’accusa è parte essenziale di due documenti riservati, risalenti al mese di
novembre ma ottenuti e pubblicati dal Financial
Times il 15 dicembre, proprio nel giorno del vertice Ue convocato per
discutere sulla crisi dei migranti. Secondo Frontex, la flottiglia delle Ong,
incrociando a breve distanza dalle acque territoriali libiche, costituirebbe un
incentivo per gli imbarchi effettuati dalle organizzazioni che gestiscono il
mercato degli esseri umani. In entrambi i documenti, inoltre, si afferma che le
persone salvate dai volontari non sarebbero disposte a collaborare con la
polizia italiana e con i funzionari di Frontex proprio su indicazione delle
stesse Ong. E’ il primo atto della vasta campagna politica e mediatica che
porterà a mettere sotto accusa le organizzazioni umanitarie, fino a costringerle
quasi tutte a interrompere l’attività per non piegarsi alle norme fortemente
restrittive e lesive dell’autonomia operativa, imposte dal Governo italiano.
Val Roya (Francia), 18 gennaio – 10 febbraio 2017. Viene arrestato per l’ennesima volta Cedric Herrou,
un agricoltore di 37 anni, più volte finito sotto accusa per aver accolto e
aiutato nel tempo oltre 300 migranti provenienti dall’Italia ed entrati in
Francia dalla Val Roya, sulle Alpi Marittime. La stessa scelta di Herrou hanno
fatto altri valligiani, almeno un centinaio, riuniti nell’associazione Roya Citoyenne, e almeno una decina di
loro sono finiti come lui sotto processo. L’intero gruppo si è sempre mosso in
silenzio, ma dopo il caso del professor Mannoni decide di uscire allo scoperto
per denunciare la politica di chiusura del Governo francese. Il processo contro
Herrou si svolge il 10 febbraio di fronte al Tribunale di Nizza. La Corte
pronuncia una condanna poco più che simbolica: 3 mila euro di ammenda per uno
solo degli episodi contestati dall’accusa, aver portato diversi ragazzi eritrei
dall’Italia in Francia. Il procuratore, che aveva chiesto 8 mesi di carcere, il
sequestro dell’auto e il ritiro della patente di guida per impedire che Herrou
potesse continuare la sua attività, ha proposto appello.
Ventimiglia, 5-20 marzo 2017. Il sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano (Pd) vieta
di fornire cibo e bevande “su area pubblica” ai migranti. L’obiettivo è
bloccare il programma di assistenza organizzato dai volontari francesi
dell’associazione Roya Citoyenne, che
ogni sera varcano il confine e scendono dalla Val Roya fino a Ventimiglia per
aiutare le centinaia di giovani bloccati al varco di frontiera tra Italia e
Francia. In base all’ordinanza, ogni volontario rischia da 300 a 3.000 euro di
ammenda, il sequestro dell’auto e un foglio di via che impedirebbe di entrare
di nuovo in Italia. Sulla base di questa disposizione, almeno uno dei volontari
viene denunciato dalla polizia. Quanto è scritto nel verbale, datato 20 marzo,
non lascia adito a dubbi: “Indagato per aver somministrato senza autorizzazione
cibo ai migranti”. Secondo notizie di stampa, a questa avrebbero fatto seguito
almeno altre due denunce.
Svizzera, 13 aprile 2017. Luisa Bosia Mirra – deputata del Gran Consiglio del Canton
Ticino, premiata per quanto ha fatto in favore dei profughi diretti verso il
Nord Europa – viene condannata a 80 franchi di ammenda al giorno (esecuzione
sospesa per un periodo di prova di due anni) per “ripetuta incitazione
all’entrata, alla partenza e al soggiorno illegale” di migranti nel territorio
svizzero, in violazione della legge federale sugli stranieri. Il processo è
stato originato dal fermo di polizia subito da Lisa Bosia Mirra ad opera delle
guardie di confine “per aver collaborato all’entrata illegale in Svizzera di
cittadini stranieri sprovvisti di documenti di legittimazione tra l’agosto e il
settembre 2016”. Si tratta dei mesi di massima emergenza a Como, con centinaia
di migranti bloccati alla frontiera in condizioni disperate. E’ sintomatico
quanto scrive su Facebook la deputata dopo la condanna: “Sono stata zitta a
lungo, ma adesso sono pronta a raccontare quello che ho visto a Como: le ferite
ancora aperte, le donne stuprate, i minori respinti. Di come quel parco
antistante la stazione si sia trasformato nella dimostrazione più evidente
della fine di qualunque umanità”.
Italia, luglio-settembre 2017. Padre Mussie Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia,
candidato al premio Nobel per la pace nel 2015 per le sua attività in favore
dei migranti, è incriminato dalla Procura di Trapani con l’ipotesi di reato di
complicità con i trafficanti e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
L’imputazione scaturisce dalle indagini condotte sulla Jugend Rettet, la Ong
tedesca che opera con proprie navi di salvataggio nel Mediterraneo. A padre
Zerai viene contestato, in particolare, che il suo nome figurerebbe in una rete
telefonica ricollegabile alla Ong, finita a sua volta sotto inchiesta, con il
sequestro della nave e l’accusa di essere in contatto con clan di “mercanti di
uomini” o addirittura di aver organizzato una vera e propria “rete di consegna”
da parte degli scafisti alle unità di salvataggio in mare. Interrogato a Roma
il 19 settembre, il sacerdote rileva che tutte le sue richieste di aiuto per i
natanti di profughi in difficoltà (incluse quelle arrivate alla Jugend Rettet)
sono sempre passate attraverso il canale ufficiale della Guardia Costiera. Il
procedimento è ancora aperto.
Marocco, 5-27 dicembre 2017. Helena Maleno, attivista per i diritti umani, esponente
della Ong Frontera Sur, che opera sia in Spagna che in Marocco, viene
incriminata perché la sua attività favorirebbe “la rete dei trafficanti”. Alla
base delle imputazioni sono, in particolare, le segnalazioni inviate al
Salvamento Maritimo spagnolo, per sollecitare interventi di soccorso alle
barche cariche di migranti in difficoltà nello Stretto di Gibilterra, dopo essere
partite dalla costa marocchina per raggiungere quella andalusa. Le prime
udienze si sono svolte a Tangeri il 5 e il 27 dicembre. Il processo è ancora in
corso.
Francia (Briancon), 12-13 marzo 2018. Benoit Ducos, una guida alpina del Brianconais, in
Francia, denunciato dalla gendarmeria, viene incriminato per aver soccorso e
cercato di portare in ospedale, con la sua auto, una donna nigeriana, Marcela,
all’ottavo mese di gravidanza ma già in travaglio, incontrata il pomeriggio del
12 marzo poco oltre il confine italo-francese del Monginevro, a 1.900 metri di
altitudine, in mezzo alla neve. In base all’accusa, formalizzata il 13 marzo,
Benoit rischia 5 anni di carcere.
E’ stata celebrata da poco
la Giornata dei Giusti. Cerimonie, discorsi, incontri, appelli, inviti a non
dimenticarne e, anzi, a seguirne l’esempio. Ma anche i giusti hanno “ignorato
le regole”. Di più: sono considerati “giusti” proprio perché hanno violato le
leggi che imponevano di consegnare gli ebrei agli aguzzini nazisti e fascisti,
obbedendo, invece, alla propria coscienza. Obbedendo, cioè, alla “legge di
Antigone”, al senso di giustizia che ogni uomo reca con sé, nella convinzione
che anche solo restare indifferenti, voltarsi dall’altra parte, li avrebbe resi
complici della morte delle persone che invece hanno salvato. I tanti “imputati
di solidarietà” hanno fatto lo stesso. In particolare, i volontari di Open Arms:
hanno disobbedito alle leggi, ai trattati internazionali, per sottrarre
centinaia di persone all’inferno in cui è ridotta oggi la Libia. Perché che la
Libia sia un inferno è ampiamente provato: lo confermano i numerosi, drammatici
rapporti che si sono susseguiti in questi anni ad opera di organizzazioni come
Amnesty o Human Rights Watch ma soprattutto dell’Onu. E lo testimonia
direttamente il salvataggio, effettuato pochi giorni prima dalla stessa Open
Arms, di altri 92 profughi, arrivati stremati a Pozzallo, trasformati in larve,
quasi morenti. Tanto che uno, Segen, un ragazzo eritreo di 22 anni, non ce l’ha
fatta: ridotto a pesare appena 35 chili, lui che era alto quasi un metro e 80,
è morto di fame, per consunzione, pochi minuti dopo essere sbarcato. Tutti
hanno detto che quei giovani sembravano ebrei usciti da un lager nazista. E di
campi in Libia che evocano i lager nazisti ha parlato anche la Corte d’Assise
di Milano, condannando all’ergastolo uno degli aguzzini del centro di
detenzione di Bani Walid.
Ecco, a parte il diritto del
mare che impone comunque di salvare le persone in pericolo, come erano i
migranti dei due gommoni soccorsi a 73 miglia dalla costa africana, i volontari
della Open Arms non hanno obbedito alle intimazioni della Guardia Costiera
libica e, implicitamente, agli ordini della Guardia Costiera italiana, proprio
per sottrarre centinaia di vite umane all’inferno di quei lager. E’ questa la
loro colpa? Al di là delle sottigliezze e dei particolari dell’inchiesta, la
loro colpa sembra essere proprio questa. Ma se è questa, allora non ha più
senso ed è ipocrita celebrare la Giornata dei Giusti, come non ha più senso
celebrare la Giornata della Memoria. Perché se ne sono dimenticati o, peggio,
annullati il messaggio e la lezione. Il significato stesso.
Da Tempi Moderni
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