lunedì 26 marzo 2018

Il crimine di solidarietà: una escalation che fa riflettere


di Emilio Drudi

“Hanno istituito il reato di solidarietà… Ecco, poiché il decreto legge 286 del 1998 dice chiaramente che non commette reato chi soccorre persone in pericolo, devo dedurre che abbiano istituito il reato di solidarietà”: è polemico ma estremamente chiaro il commento fatto a caldo da Rosa Emanuela Lo Faro, avvocato del capitano Marc Reig, il comandate della Lago Azzurro, l’ammiraglia della Ong spagnola Proactiva Open Arms, incriminato insieme al capo missione Anabel Montes e al fondatore dell’organizzazione, Oscar Camps. L’accusa è pesante: associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione, un reato per il quale si rischiano da 4 a 7 anni di carcere e che, intanto, ha portato al sequestro dell’unità, ancorata nel porto di Pozzallo, impedendo così la prosecuzione delle missioni nel Mediterraneo, volte a salvare vite umane. Perché di questo si tratta: i volontari di Proactiva Open Arms sono “colpevoli” di salvare vite umane. Di essersi rifiutati di consegnare alla Guardia Costiera di Tripoli i 218 naufraghi che avevano appena soccorso su due gommoni alla deriva, a 73 miglia dall’Africa, in piene acque internazionali, per non rimandarli nell’orrore della Libia, dove uccisioni, morte, torture, sofferenze, riduzione in schiavitù sono pratica quotidiana.

Può sembrare assurdo, ma “colpire” la solidarietà verso rifugiati e migranti sembra diventata quasi la norma, accompagnata spesso da diffamazione e dileggio, come la definizione di “taxi del mare” pronunciata più volte persino in Parlamento, la primavera scorsa, quando si è scatenata la campagna di discredito contro le Ong impegnate con le loro navi nel canale di Sicilia per cercare di rendere meno tragica e mortale la via di fuga dalla Libia. Vale la pena ripercorrere alcuni dei principali episodi che hanno preceduto il caso della Open Arms.



Lesbo (Isole Egee), 14-17 gennaio 2016. Arrestati 5 volontari per aver soccorso una barca in avaria, proveniente dalle coste turche, carica di migranti. Tre (Julio, Kike e Manuel) sono vigili del fuoco spagnoli, in forza al comando di Siviglia e specializzati in interventi d’emergenza, che hanno deciso di impegnare tutte le loro ferie e un lungo periodo di aspettativa dal lavoro per assistere i profughi nell’Egeo. Gli altri due appartengono all’organizzazione umanitaria danese Team Humanity, mobilitata a Lesbo, la principale meta dei fuggiaschi dalla Turchia. Il processo si svolge per direttissima il 17 gennaio, tre giorni dopo l’arresto. I tre spagnoli e uno dei due attivisti danesi vengono rilasciati, ma la loro odissea non finisce: le autorità greche decidono di continuare le indagini, chiedendo nel frattempo 5 mila euro a testa di cauzione. A Salam, il proprietario del battello di salvataggio, viene imposto invece un deposito cauzionale di 10 mila euro, con l’ordine di non lasciare la Grecia e l’obbligo di recarsi una volta alla settimana alla stazione di polizia. La vicenda è ancora aperta. Interventi analoghi da parte della polizia vengono segnalati dai volontari anche nella vicina isola di Chios.



Udine, 16 giugno 2016. Sette volontari della onlus Ospiti in Arrivo vengono indagati con l’accusa di aver commesso, in concorso  tra loro, “invasione di terreni o edifici” e “deturpamento o  imbrattamento di cose altrui”. Ma, soprattutto, tre di loro – i due responsabili dell’associazione e un interprete – ricevono un avviso di garanzia per “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” in Italia “per trarne ingiusto profitto”. I fatti contestati si sono svolti tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015, quando a Udine non c’erano strutture di accoglienza adeguate e i profughi restavano abbandonati a se stessi. I volontari sono posti sotto accusa, in sostanza, per aver fornito un’assistenza quotidiana, portando pasti caldi e coperte ai migranti nei luoghi dove trovavano un riparo: edifici dismessi, parchi, il sottopasso della stazione ferroviaria, ecc. Il tutto in maniera assolutamente gratuita, grazie a risorse messe a disposizione da privati ed anzi, quando possibile, accompagnando gli assistiti nei locali della Caritas anziché nei rifugi di fortuna, oltre che fornendo informazioni e un interprete per le richieste di asilo. L’aggravante dell’ingiusto profitto è stata individuata dall’accusa nel tentativo dei volontari di essere riconosciuti come associazione per poter eventualmente accedere alla richiesta del 5 per mille.



Nizza, 17 ottobre 2016 – 7 gennaio 2017. Quasi tre mesi sotto accusa, imputato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per aver dato un passaggio in auto e aver cercato di aiutare tre ragazze eritree incontrate casualmente, spaesate e mezzo morte di freddo, lungo una strada che dalle Alpi Marittime scende verso la Costa Azzurra. E’ quanto è capitato a Pierre Alain Mannoni, 42 anni, due figli, ricercatore del dipartimento dell’istruzione, di origine corsa ma residente a Nizza. Fermato dalla polizia il 17 ottobre, privato della macchina e del cellulare e rinviato a giudizio, la prima udienza del processo si è svolta il 24 ottobre per la notifica dell’accusa. Il procedimento è andato avanti fino al 7 gennaio 2017: il Tribunale di Nizza si è pronunciato per la piena assoluzione, ma la Procura ha contestato la sentenza, presentando appello.



Bruxelles, 15 dicembre 2016. Frontex, l’agenzia europea per le frontiere esterne, accusa di collusione con i trafficanti di esseri umani le Ong impegnate con le loro navi nel Mediterraneo per operazioni di soccorso ai battelli dei rifugiati. L’accusa è parte essenziale di due documenti riservati, risalenti al mese di novembre ma ottenuti e pubblicati dal Financial Times il 15 dicembre, proprio nel giorno del vertice Ue convocato per discutere sulla crisi dei migranti. Secondo Frontex, la flottiglia delle Ong, incrociando a breve distanza dalle acque territoriali libiche, costituirebbe un incentivo per gli imbarchi effettuati dalle organizzazioni che gestiscono il mercato degli esseri umani. In entrambi i documenti, inoltre, si afferma che le persone salvate dai volontari non sarebbero disposte a collaborare con la polizia italiana e con i funzionari di Frontex proprio su indicazione delle stesse Ong. E’ il primo atto della vasta campagna politica e mediatica che porterà a mettere sotto accusa le organizzazioni umanitarie, fino a costringerle quasi tutte a interrompere l’attività per non piegarsi alle norme fortemente restrittive e lesive dell’autonomia operativa, imposte dal Governo italiano.



Val Roya (Francia), 18 gennaio – 10 febbraio 2017. Viene arrestato per l’ennesima volta Cedric Herrou, un agricoltore di 37 anni, più volte finito sotto accusa per aver accolto e aiutato nel tempo oltre 300 migranti provenienti dall’Italia ed entrati in Francia dalla Val Roya, sulle Alpi Marittime. La stessa scelta di Herrou hanno fatto altri valligiani, almeno un centinaio, riuniti nell’associazione Roya Citoyenne, e almeno una decina di loro sono finiti come lui sotto processo. L’intero gruppo si è sempre mosso in silenzio, ma dopo il caso del professor Mannoni decide di uscire allo scoperto per denunciare la politica di chiusura del Governo francese. Il processo contro Herrou si svolge il 10 febbraio di fronte al Tribunale di Nizza. La Corte pronuncia una condanna poco più che simbolica: 3 mila euro di ammenda per uno solo degli episodi contestati dall’accusa, aver portato diversi ragazzi eritrei dall’Italia in Francia. Il procuratore, che aveva chiesto 8 mesi di carcere, il sequestro dell’auto e il ritiro della patente di guida per impedire che Herrou potesse continuare la sua attività, ha proposto appello.



Ventimiglia, 5-20 marzo 2017. Il sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano (Pd) vieta di fornire cibo e bevande “su area pubblica” ai migranti. L’obiettivo è bloccare il programma di assistenza organizzato dai volontari francesi dell’associazione Roya Citoyenne, che ogni sera varcano il confine e scendono dalla Val Roya fino a Ventimiglia per aiutare le centinaia di giovani bloccati al varco di frontiera tra Italia e Francia. In base all’ordinanza, ogni volontario rischia da 300 a 3.000 euro di ammenda, il sequestro dell’auto e un foglio di via che impedirebbe di entrare di nuovo in Italia. Sulla base di questa disposizione, almeno uno dei volontari viene denunciato dalla polizia. Quanto è scritto nel verbale, datato 20 marzo, non lascia adito a dubbi: “Indagato per aver somministrato senza autorizzazione cibo ai migranti”. Secondo notizie di stampa, a questa avrebbero fatto seguito almeno altre due denunce.



Svizzera, 13 aprile 2017. Luisa Bosia Mirra – deputata del Gran Consiglio del Canton Ticino, premiata per quanto ha fatto in favore dei profughi diretti verso il Nord Europa – viene condannata a 80 franchi di ammenda al giorno (esecuzione sospesa per un periodo di prova di due anni) per “ripetuta incitazione all’entrata, alla partenza e al soggiorno illegale” di migranti nel territorio svizzero, in violazione della legge federale sugli stranieri. Il processo è stato originato dal fermo di polizia subito da Lisa Bosia Mirra ad opera delle guardie di confine “per aver collaborato all’entrata illegale in Svizzera di cittadini stranieri sprovvisti di documenti di legittimazione tra l’agosto e il settembre 2016”. Si tratta dei mesi di massima emergenza a Como, con centinaia di migranti bloccati alla frontiera in condizioni disperate. E’ sintomatico quanto scrive su Facebook la deputata dopo la condanna: “Sono stata zitta a lungo, ma adesso sono pronta a raccontare quello che ho visto a Como: le ferite ancora aperte, le donne stuprate, i minori respinti. Di come quel parco antistante la stazione si sia trasformato nella dimostrazione più evidente della fine di qualunque umanità”.



Italia, luglio-settembre 2017. Padre Mussie Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia, candidato al premio Nobel per la pace nel 2015 per le sua attività in favore dei migranti, è incriminato dalla Procura di Trapani con l’ipotesi di reato di complicità con i trafficanti e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. L’imputazione scaturisce dalle indagini condotte sulla Jugend Rettet, la Ong tedesca che opera con proprie navi di salvataggio nel Mediterraneo. A padre Zerai viene contestato, in particolare, che il suo nome figurerebbe in una rete telefonica ricollegabile alla Ong, finita a sua volta sotto inchiesta, con il sequestro della nave e l’accusa di essere in contatto con clan di “mercanti di uomini” o addirittura di aver organizzato una vera e propria “rete di consegna” da parte degli scafisti alle unità di salvataggio in mare. Interrogato a Roma il 19 settembre, il sacerdote rileva che tutte le sue richieste di aiuto per i natanti di profughi in difficoltà (incluse quelle arrivate alla Jugend Rettet) sono sempre passate attraverso il canale ufficiale della Guardia Costiera. Il procedimento è ancora aperto.



Marocco, 5-27 dicembre 2017. Helena Maleno, attivista per i diritti umani, esponente della Ong Frontera Sur, che opera sia in Spagna che in Marocco, viene incriminata perché la sua attività favorirebbe “la rete dei trafficanti”. Alla base delle imputazioni sono, in particolare, le segnalazioni inviate al Salvamento Maritimo spagnolo, per sollecitare interventi di soccorso alle barche cariche di migranti in difficoltà nello Stretto di Gibilterra, dopo essere partite dalla costa marocchina per raggiungere quella andalusa. Le prime udienze si sono svolte a Tangeri il 5 e il 27 dicembre. Il processo è ancora in corso.



Francia (Briancon), 12-13 marzo 2018. Benoit Ducos, una guida alpina del Brianconais, in Francia, denunciato dalla gendarmeria, viene incriminato per aver soccorso e cercato di portare in ospedale, con la sua auto, una donna nigeriana, Marcela, all’ottavo mese di gravidanza ma già in travaglio, incontrata il pomeriggio del 12 marzo poco oltre il confine italo-francese del Monginevro, a 1.900 metri di altitudine, in mezzo alla neve. In base all’accusa, formalizzata il 13 marzo, Benoit rischia 5 anni di carcere.



E’ stata celebrata da poco la Giornata dei Giusti. Cerimonie, discorsi, incontri, appelli, inviti a non dimenticarne e, anzi, a seguirne l’esempio. Ma anche i giusti hanno “ignorato le regole”. Di più: sono considerati “giusti” proprio perché hanno violato le leggi che imponevano di consegnare gli ebrei agli aguzzini nazisti e fascisti, obbedendo, invece, alla propria coscienza. Obbedendo, cioè, alla “legge di Antigone”, al senso di giustizia che ogni uomo reca con sé, nella convinzione che anche solo restare indifferenti, voltarsi dall’altra parte, li avrebbe resi complici della morte delle persone che invece hanno salvato. I tanti “imputati di solidarietà” hanno fatto lo stesso. In particolare, i volontari di Open Arms: hanno disobbedito alle leggi, ai trattati internazionali, per sottrarre centinaia di persone all’inferno in cui è ridotta oggi la Libia. Perché che la Libia sia un inferno è ampiamente provato: lo confermano i numerosi, drammatici rapporti che si sono susseguiti in questi anni ad opera di organizzazioni come Amnesty o Human Rights Watch ma soprattutto dell’Onu. E lo testimonia direttamente il salvataggio, effettuato pochi giorni prima dalla stessa Open Arms, di altri 92 profughi, arrivati stremati a Pozzallo, trasformati in larve, quasi morenti. Tanto che uno, Segen, un ragazzo eritreo di 22 anni, non ce l’ha fatta: ridotto a pesare appena 35 chili, lui che era alto quasi un metro e 80, è morto di fame, per consunzione, pochi minuti dopo essere sbarcato. Tutti hanno detto che quei giovani sembravano ebrei usciti da un lager nazista. E di campi in Libia che evocano i lager nazisti ha parlato anche la Corte d’Assise di Milano, condannando all’ergastolo uno degli aguzzini del centro di detenzione di Bani Walid.

Ecco, a parte il diritto del mare che impone comunque di salvare le persone in pericolo, come erano i migranti dei due gommoni soccorsi a 73 miglia dalla costa africana, i volontari della Open Arms non hanno obbedito alle intimazioni della Guardia Costiera libica e, implicitamente, agli ordini della Guardia Costiera italiana, proprio per sottrarre centinaia di vite umane all’inferno di quei lager. E’ questa la loro colpa? Al di là delle sottigliezze e dei particolari dell’inchiesta, la loro colpa sembra essere proprio questa. Ma se è questa, allora non ha più senso ed è ipocrita celebrare la Giornata dei Giusti, come non ha più senso celebrare la Giornata della Memoria. Perché se ne sono dimenticati o, peggio, annullati il messaggio e la lezione. Il significato stesso.







Da Tempi Moderni

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