sabato 27 ottobre 2007

I costi della chiesa e la "democrazia pelosa"

venerdì 26 ottobre 2007 I costi della chiesa e la “democrazia pelosa” Al direttore de "La Repubblica” Ezio Mauro Gentile direttore, leggendo gli articoli a proposito dei costi della Chiesa, mi sono sentito offeso, quale prete e cittadino, di una campagna che è semplicemente "anticlericale”. Ha fatto bene il card. Bertone a dire a voce alta “finiamola”. Perché la cosiddetta indagine che il suo giornale ha iniziato e non ancora terminato non è “inchiesta”. E' una presa di posizione contro la Chiesa cattolica. Si citano le cifre, ma ci si guarda bene dal dire se servono e a che cosa servono. E" un'operazione a freddo: certamente fatta con astuzia, citando e stracitando autori, cifre e relazioni, senza smentire ciò che l"incipit del primo articolo di Curzio Maltese nemmeno nasconde: “i costi della politica, i costi della democrazia e ora… i costi della Chiesa”. Si mette in relazione tasse, costi della politica, costi della Chiesa e il gioco è fatto. Rallegramenti agli autori e al direttore. Molto strano infatti che, citando i dati, non si sia detto quanto un giovane prete percepisce con l’otto per mille (900 euro) o quanto prende di pensione un prete a 65 anni (600 euro). O gli aiuti ai paesi del terzo mondo a che cosa servono. Per queste mancanze, manipolazioni, insinuazioni gli articoli pubblicati dal suo giornale sono giornalisticamente “spazzatura”. Per carità, in regime di democrazia, a cui lei tiene giustamente molto, è lecito e doveroso esprimere le proprie opinioni: però lo si faccia con trasparenza e onestà. La chiave di lettura della campagna orchestrata da “Repubblica” è nel terzo articolo di G. Zagrebelsky, dal titolo “quando la Chiesa detta legge allo Stato”. La tesi lì espressa ha solo il limite che nasconde il dato fondamentale: lo stato laico garantisce libertà solo a chi ha strumenti economici, culturali, scientifici. Fa pena l’appello che sarebbe la società civile a dover dare i contenuti etici: immagina lei i disoccupati, i rom, i carcerati, i disabili, i poveri a invocare, ottenere e godere di libertà? Forse quella di poter morire. La storia dell’Europa dell’ottocento, periodo nel quale si sono grandemente sviluppate le “opere di carità” della Chiesa è stato il periodo durante il quale i liberi di allora non hanno garantito nulla se non se stessi: ai tutti hanno offerto elemosine, quando e nelle quantità che loro stessi stabilivano. Io appartengo a quel gruppo di preti che non vuole nulla a che spartire con lo stato che l’autore dell’articolo prefigura. Il mondo nel quale vivo, fatto di povertà, di disabilità, di minori abbandonati mi spinge a offrire aiuti, opportunità, diritti. Non appartengo a nessuna spa interessata alla salute, alla disabilità, alle case di riposo. La democrazia che lei invoca è pelosa: fatta da potenti per potenti. Attacca la Chiesa perché è rimasta l’unica organizzazione capace di offrire contenuti etici. Con molti limiti e contraddizioni, ma l’unica. Noi rimarremo al nostro posto: se il popolo degli italiani e i relativi governi vorranno affamarci, facciano pure. Crediamo alla Provvidenza. Non possiamo derogare all’invito esplicito fattoci da Cristo: “quello che fate ai più piccoli tra voi l’avete fatto a me”. Sappiamo di essere “servi inutili”. Nessuna campagna denigratoria ci sposterà dal nostro impegno. Abbiamo bisogno di risorse economiche, né ce ne vergogniamo: conosciamo anche le tentazioni del potere e della gloria. Qualcuno vuol vederci straccioni e mendicanti, più di quanto siamo. Forse servirà a renderci ancor più umili. Rimane l’impegno per la realizzazione, anche sulla terra, di un popolo felice che possa godere della vita a ognuno concessa.

venerdì 26 ottobre 2007

Comunicato stampa 26 ottobre 2007

Roma 26 ottobre 2007 A.H.C.S & A.H.E.I: Chiedono la libertà per gli Eritrei attualmente nelle carceri libiche, il rispetto dei diritti Civili e Umani degli Eritrei in Libia e una soluzione per i richiedenti asilo politico, con un programma di RESETTLMENT. Facciamo presente la situazione di migliaia di cittadini eritrei richiedenti asilo politico e rifugiati politici, riconosciuti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, attualmente nelle carceri Sudanesi o Libiche, come quello di Zawiyah. Testimonianza: “Siamo 500 immigrati, di cui 103 eritrei, 3 dei quali minorenni. Siamo continuamente maltrattati dalle guardie carcerarie libiche. Il 01.09.2007 tutti noi eritrei siamo stati spogliati nudi e picchiati con frusta, bastoni, calci anche sugli organi genitali, davanti alle donne. Tutto questo senza ragione. Il 22.10.2007 tre eritrei sono stati picchiati dalle guardie sulla pianta dei piedi al punto che non riuscire a stare in piedi. Siamo stati lasciati per 3-4 mesi senza un cambio di abiti, tuttora non abbiamo nulla per cambiarci, non abbiamo possibilità di lavare gli abiti perché non c’è il sapone; la puzza è insopportabile”. Dal racconto drammatico dei detenuti emerge anche che: “10 persone, a causa della sporcizia, sono piene di piaghe su tutto il corpo, ci stanno contagiando tutti; in 4 mesi non abbiamo mai avuto la possibilità di vedere un medico, per tre mesi non abbiamo visto la luce del sole. Siamo scalzi, non abbiamo scarpe e di notte prendiamo freddo perché non abbiamo coperte.” I detenuti sono in condizione igienico-sanitarie vergognose. Sono anche vittime di discriminazioni religiose: “Qualche giorno fa stavamo pregando, sono arrivate le guardie, ci hanno malmenato, chiamandoci giudei. Siamo più di 50 persone ammassate in una stanza in condizioni igienico-sanitarie totalmente assenti.” E questa è la Libia ormai partner dell’Europa e membro del consiglio di sicurezza dell’ONU! Nel centro di detenzione di Misratah, 250 km a est di Tripoli, sono presenti più di 624 eritrei, di cui 60 bambini al di sotto dei 12 anni ed altri che stanno per nascere. Desta preoccupazione lo stato di salute dei detenuti, colpiti da malattie polmonari come tbc, scabbia, dermatiti, attacchi asmatici, problemi intestinali; inoltre denunciamo la carenza di cibo, di acqua e di coperte per difendersi dal freddo durante la notte. Intanto l’Acnur si prepara a giocare l’ultima carta. Si è recata in Libia una commissione di funzionari Acnur dall’ufficio regionale di Beirut, in Libano, per intervistare i detenuti di Misratah e coordinare gli sforzi per accogliere i rifugiati in Paesi europei e americani, con programmi di resettlment, con particolare attenzione alle donne e bambini. L’Alto commissariato starebbe facendo pressioni anche sul Ministero degli Interni italiano. Il Ministro Giuliano Amato, sembra disponibile ad accogliere una quarantina di persone; riteniamo questo numero di persone solo come un primo passo verso una maggiore disponibilità a concedere visti di ingresso per motivi di richiesta di asilo politico. Serve un programma di resettlment annuale perché pensiamo che questo sia un metodo valido per combattere l’immigrazione clandestina. Serve un ingresso legale e protetto per i richiedenti asilo politico, in assenza di ciò si vedono costretti ad affidarsi ai trafficanti di carne umana, con tutto quello che ne consegue. Chiediamo all’UE e ONU di pretendere dalla Libia il rispetto dei diritti Umani firmando le convenzioni internazionali sui diritti dell’Uomo. Siamo esterrefatti dal fatto che la Libia oggi faccia parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Come è possibile che uno Stato come la Libia, che non ha mai aderito a nessuna convenzione internazionale in materia di rispetto dei diritti civili ed umani, oggi si sieda nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite? Chiediamo che venga chiesto alla Libia di firmare le varie convenzioni tra cui la convenzione di Ginevra del 1951, le relative ratifiche e la Dichiarazione Universale sui diritti dell’Uomo. L’A.H.C.S & A.H.E.I chiedono il sostegno e la collaborazione di tutti per destare l’attenzione dell’opinione pubblica e istituzionale su questo dramma, che sta vivendo il popolo Eritreo, in Libia. Pertanto invitiamo tutti gli organi di stampa a dare voce alle comunità degli Eritrei presenti in Italia, che chiedono al Governo Italiano di farsi carico di questa situazione drammatica nelle sedi UE, ONU. Per ulteriori informazioni: UFFICIO STAMPA A.H.C.S Tel/Fax 06. 69610234 Cell.3384424202 E-mail: agenzia_habeshia@yahoo.it http://habeshia.blogspot.com

Intervista

Sig. Zerai Yosief Mussie, lei da quanto tempo vive in Italia? Sono ormai 16 anni che vivo in Italia Come si é trovato in tutti questi anni, come ha vissuto? In linea di massima abbastanza bene, tranne alcuni periodi di difficoltà, in relazione alla vita quotidiana, alla mancanza di lavoro, alle discriminazioni, ai pregiudizi; sono tante le cose che costituiscono difficoltà nella vita di un immigrato. Ho vissuto lavorando e arrangiandomi come meglio potevo, cercando di conoscere meglio questo Paese, nelle sue varie sfaccettature, in tanti casi subendo lo sfruttamento, essendo costretto ad accettare un lavoro in nero e una paga misera; sono pochi, infatti, i datori di lavoro che ti mettono in regola, che ti pagano il giusto, che ti rispettano per la persona che sei prima ancora di rispettare le leggi. Quello che ho notato in questi anni è che manca il rispetto della persona e l’onestà morale. Per un Paese di tradizione cristiana vedere che tanti vorrebbero sfruttarti per pochi euro, ti lascia un pò perplesso; per non parlare dell’assenza quasi totale del senso dei diritti e dei doveri, dico questo perché basta andare negli uffici pubblici, per vedere tanti che si fanno pregare per compiere il proprio dovere, quello per cui sono pagati, anzi sembra che ti facciano un favore. Poi c’è la burocrazia, è micidiale, basta vedere nel nostro caso, un immigrato per il rinnovo del permesso di soggiorno, deve attendere da tre mesi fino ad un anno (varia da città a città); con il “tagliandino” che rilascia la questura non puoi fare nulla, anche se c’è stata una circolare del Ministero degli Interni, che lo dichiara valido come documento per svolgere operazioni bancarie, stipulare contratti ecc., ma nessun datore di lavoro è disposto a farti un contratto se non hai prima il permesso di soggiorno valido, quindi tu straniero per quei mesi sei paralizzato. Mi è capitato a Piacenza che, per fare un duplicato del mio permesso, ho dovuto attendere tre mesi; in quel periodo volevo acquistare un cellulare con la scheda, la commessa non ha voluto sentir ragione, per lei il “tagliandino” non era un documento valido, infatti ho dovuto aspettare di ritirare il permesso per muovermi, le pari opportunità per noi non esistono: io immigrato che vivo in Italia da 16 anni non vengo trattato al pari di un italiano. Lei ha parlato di discriminazioni e pregiudizi, quando e come si è sentito discriminato? In quali ambiti vede queste modalità di pregiudizi nei confronti degli immigrati? Le forme di discriminazioni sono varie: vanno da quello che ti insulta sull’autobus, a quello che ti dice: “Non assumiamo persone di colore”, poi ci sono quelli che fanno una campagna contro gli immigrati, e i media che parlano degli immigrati solo quando c’è qualche fatto di cronaca cosiddetta “nera”, si vedono certi politici che fanno l’equazione immigrazione = criminalità, ci sono, inoltre, cartelloni pubblicitari che dicono “Chi vota per il diritto di voto agli immigrati vota Bin Laden”. Questo lo trovo offensivo per me e per tanti immigrati che sono contro il terrorismo, magari tanti sono fuggiti proprio a causa di quest’ultimo. I pregiudizi nei nostri confronti sono molto diffusi, alcuni vengono dall’ignoranza, altri dalle manipolazioni di alcuni politici e dei media. Quelli dettati dall’ignoranza nascono dalla paura che le persone hanno di ciò che è diverso, si mettono sulla difensiva, però appena ti conoscono diventano le persone più buone di questo mondo, e sono tante. Gli altri, invece, spinti da certe ideologie o da interessi di un partito o da qualche altra ragione oscura, scagliano le persone contro di noi, strumentalizzando qualche fatto di cronaca per attaccare gli immigrati in generale. I pregiudizi li vedi anche nelle leggi dello Stato, leggi concepite per difendersi dall’immigrato non per accoglierlo; , anzi si favorisce la sua emarginazione, in nome della sicurezza vengono calpestati i diritti umani e civili dell’immigrato. Il pregiudizio a volte si manifesta nel disinteresse del legislatore, in lacune legislative, nel modo di condurre indagini, nella facilità con cui si compiono arresti e condanne. Si vede il pregiudizio della società anche nel tipo di soluzioni che propongono gli enti locali per risolvere problemi legati ai migranti; basti considerare il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati, che è un colabrodo per la incapacità di soddisfare le richieste di accoglienza, la cui qualità è comunque pessima, ma anche per la dispersione dei fondi e delle risorse umane in atto nel sistema di ospitalità italiano. La cosa triste è che queste realtà le trovi anche negli ambienti cattolici, ma anche in quelli del centro sinistra italiano c’è qualche retaggio discriminatorio; basta vedere che tipo di soluzioni vengono proposte ai problemi legati al settore dell’immigrazione, al sistema di accoglienza, al mal funzionamento delle questure anche con governi di centro sinistra. Lo stesso nelle amministrazioni locali, c’è disponibilità però c’è la mentalità che l’immigrato si deve accontentare di quello che gli si offre, come se non fosse titolare di alcun diritto: non si pensa che un immigrato abbia gli stessi diritti di un cittadino italiano, ma quando si tratta di doveri hanno gli stessi doveri. Si sa la destra è sempre stata critica anzi ostile, spesso ha cavalcato il tema della sicurezza in chiave anti-immigrazione, con il rischio che il cavallo spesso cavalcato si riveli un cavallo di Troia per loro e per il Paese: quando si aumenta emarginazione ed esclusione sociale, si creano dei ghetti dove cresce risentimento; questo è quello che abbiamo visto in Francia, Spagna, Inghilterra, Olanda. Bisogna capire che non esiste integrazione senza la partecipazione nel senso più ampio del termine. La stragrande maggioranza dei clandestini, dimenticano tutti, entrano in Italia non via mare con le “carrette”, ma con altri mezzi affidabili come il treno, l’aereo, il pullman, spesso con visto regolare o falso, ma superando comunque i controlli di frontiera, poi scaduto il visto vero o falso rimangono nel territorio italiano clandestinamente. Oggi in Italia si stimano 500.000 irregolari, quindi c’è qualcosa che non va nel sistema di controllo; questo dato ci dice, soprattutto, che non si può arrestare il movimento dei popoli, anche perché la solidarietà internazionale è pressoché fittizia o comunque interessata nelle sue molteplici forme della politica, dell’economia, della strategia economico – militare ect…quindi senza un reale beneficio per la popolazione dei paesi poveri. L’Europa deve cambiare il suo approccio di politica estera e quello di cooperazione internazionale, deve premiare quei Paesi che si impegnano realmente per la pace, lo sviluppo, la democrazia. Spesso al contrario si ragiona solo con una logica di mercato, basta osservare la Cina: non ha fatto nessun passo avanti sul rispetto dei diritti umani, eppure oggi è partner economico commerciale di tanti Paesi europei; altro esempio è la Libia: non solo è stato tolto l’embargo, ma oggi è addirittura membro del consiglio di sicurezza dell’ONU, eppure è un Paese che non ha mai firmato un trattato internazionale sul rispetto dei diritti umani. Anche qui ha vinto il dio denaro o meglio il dio petrolio, la proroga della concessione per altri 25 anni all’Eni solo per cercare di bloccare le partenze dei migranti, senza badare ai metodi, alle condizioni di vita a cui vengono sottoposte le persone fermate dalla polizia libica; l’Europa ha appoggiato tutto questo per l’interesse nei riguardi del petrolio e del gas, i soliti interessi forti, che mettono in terzo piano il rispetto dei diritti umani e civili: i migranti sono una categoria sacrificabile, in nome di interessi nazionali, o sicurezza nazionale come se d’incanto perdessero la loro dignità umana, naturalmente valgono meno di 20 miliardi di euro di investimento per l’accordo con la Libia. Tutto ciò accade con estrema semplicità perché tanti cittadini non si rendono conto che la difesa della democrazia o della pace non si fa nei propri confini nazionali, ma difendendo i diritti umani e civili anche di quelle popolazioni che ci sembrano molto lontane geograficamente. Oggi la globalizzazione del mercato, ma anche dell’informazione, la facilità con cui si viaggia, portano i Paesi lontani a chiedere rifugio alle porte d’Europa, per dirla tutta questo perché sono stati gli europei che se la sono cercata andando in passato ad occupare vasta parte della Terra, e oggi hanno la responsabilità morale e in certi casi anche politica – economica. Io credo che non ci dovrebbero essere confini tra gli stati così come li vediamo oggi, perché con la globalizzazione economica, tecnica, informatica sono ormai superati. Senza limiti invalicabili si eviterebbero tante guerre inutili in giro per le risorse naturali della terra. I confini dovrebbero servire solo per una questione amministrativa, per la governabilità e vivibilità del pianeta. La cosa migliore per me sarebbe la creazione di un’unica Federazione di Stati che mettono in comune e a disposizione dell’umanità tutto: i Paesi cosiddetti sviluppati la scienza e la tecnologia e gli altri le materie prime, in questo modo tutti lavorano per migliorare la condizione di vita di tutti. Oggi, ci dicono da più parti che il nostro pianeta è malato, come si fa a curarlo se siamo così divisi e sempre in lotta tra di noi? C’è la corsa al riarmo e parliamo di bombe atomiche, ma per distruggere non per curare, eppure sappiamo bene quali sono le conseguenze, Hiroshima ne è ancora una testimonianza viva. Oggi parliamo di milioni di profughi che fuggono da guerre, dittature e catastrofi naturali e la politica internazionale fatta di tanta ipocrisia sta a guardare, interviene solo là dove c’è un tornaconto . L’ONU è una istituzione neutralizzata, che non è in grado d’agire perché bloccata da chi ha “diritto di veto” come abbiamo visto nel caso Birmano, e tante volte nella questione Israelo-Palestinese. Non bisogna stupirsi allora se interi popoli vengono a bussare alle porte dell’Europa sperando di trovare ciò che viene loro negato nella propria terra spesso con la complicità proprio dei Paesi Europei, dell’U.S.A, della Russia, dell’Australia attraverso le loro politiche di strategia socio-economico, militare e la voglia di egemonia mondiale. Una notizia di questi giorni è l’ingresso nel consiglio di sicurezza dell’ONU della Libia e del Vietnam, siamo ormai alla farsa , l’ONU perde di credibilità, era già scandaloso che la Cina si sedesse nel consiglio di sicurezza… ora è in buona compagnia. Lei ha parlato di richiedenti asilo politico e accoglienza, come funziona? Ogni anno l’Italia riceve circa 10.000 richieste di asilo politico, negli ultimi anni la maggioranza provengono dal Corno d’Africa, quindi da Paesi molto familiari all’Italia, di queste richieste solo alla minima parte viene riconosciuto lo stato di rifugiato. Questo perché l’Italia si attiene strettamente al dettame della convenzione di Ginevra del 1951: per ottenere lo status di rifugiato, bisogna aver subito una persecuzione personale, non importa se la tua famiglia sia stata sterminata o il tuo villaggio bruciato, devi avere, per essere concreti, segni di tortura sul tuo corpo, o qualche pezzo di carta che provi che sei un perseguitato politico, cosa difficile da dimostrare per chi viene pescato in mare come un tonno. A differenza dell’Italia tanti Paesi europei hanno introdotto nella loro legislazione, una legge organica sul diritto di asilo, superando per certi versi la convenzione di Ginevra nel tipo dei requisiti che ci vogliono per tale riconoscimento. Questo è quello che chiediamo da più di dieci anni all’Italia, ma l’intera politica (sia di destra sia di sinistra) fa orecchie da mercante, rendendo così inattuabile l’art 10, 3 della Costituzione Italiana, che rimane un bel principio, ma che non è mai messo in pratica. A tanti viene dato il permesso per protezione umanitaria, politicamente è meno impegnativo, ma di fatto le persone sono abbandonate a se stesse, non c’è un coordinamento nazionale che gestisce l’accoglienza; c’è stato il tentativo da parte di diversi comuni di Italia, ma la disponibilità offerta di 2000 posti a fronte di 10.000 richieste è fallimentare. Serve una legge organica sul diritto d’asilo che deve prevedere un sistema di accoglienza nazionale gestito dalle prefetture, capace di smistare, in base alla disponibilità dei posti, su tutto il territorio nazionale i richiedenti dopo la loro identificazione. Successivamente ci dovrebbe essere una presa in carico dei servizi sociali territoriali, che con un progetto individuale, corredato di corsi di lingua Italiana e di formazione professionale, accompagni la persona nel suo processo di integrazione con l’inserimento nel mondo del lavoro e nella piena l’autonomia. Non come avviene oggi: l’immigrato esce dai centri di identificazione e abbandonato alla stazione dei treni con questa frase: “Vai dove vuoi!”. Senza conoscere minimamente il Paese né tanto meno la lingua, spesso l’immigrato diventa preda di organizzazioni malavitose o di sfruttatori. Fino ad ora non ho visto la volontà politica di trovare delle soluzioni in questo senso, si parla tanto di lotta al lavoro nero, alla clandestinità, ma senza creare le premesse per farlo: non si combatte l’arrivo di clandestini con il pattugliamento congiunto che costa 34 milioni di euro, ma offrendo percorsi legali e sicuri per venire in Italia e in Europa. Cosa chiedete? Chiediamo al governo italiano una legge organica sul diritto d’asilo, un sistema di accoglienza seguendo lo standard europeo, una nuova legge sull’immigrazione più umana della Bossi – Fini, una modifica alla costituzione per permettere il diritto di voto agli immigrati che risiedono da più di cinque anni, la cittadinanza immediata a tutti i nati in Italia, di accorciare i tempi per la concessione della cittadinanza da 10 a 6 anni, e di trovare una soluzione per l’emergenza casa di tanti cittadini italiani e stranieri che vivono in situazioni non dignitose. Lei accennava del pattugliamento congiunto del Mediterraneo, come vede lei la politica europea in materia immigrazione? Se l’Europa vede come soluzione all’immigrazione e ai richiedenti asilo politico, l’innalzamento di un muro e chiudere le proprie porte, si illude e illude anche i cittadini sprecando tra l’altro i fondi dei contribuenti. Se veramente ha a cuore il destino di milioni di persone costrette a fuggire a causa di guerre, dittature e terrorismo, l’Europa deve offrire a queste persone, tramite le ambasciate o UNHCR, luoghi nel primo Paese di approdo dove possano presentare la loro richiesta di asilo, garantendo la sicurezza necessaria. Non come quello che vediamo oggi in Sudan o peggio ancora in Libia: esaminate le loro richieste gli Stati europei devono concedere un visto regolare che permetta loro di entrare legalmente in Europa. L’Europa oggi è solo preoccupata di come respingere i potenziali richiedenti asilo politico, senza badare al prezzo che pagano le persone e che paga in termini di sicurezza, cosa che accade nei Paesi dove vengono respinte le persone, violazioni dei diritti più elementari, violenze, soprusi, discriminazioni e morte in mare o nel deserto, con la buona pace dei trafficanti che continuano a proporre nuove rotte sempre più pericolose. Spesso gli Stati come Libia, Algeria, Tunisia, Marocco, usano metodi di respingimento, in totale violazione dei diritti umani menzionati nei vari trattati internazionali in materia, abbandonandoli nel deserto del Sahara, in balia di predoni o ribelli di alcuni stati della regione, in altri casi consegnandoli ai loro aguzzini, come successe agli eritrei nel 2006 espulsi dalla Libia consegnati al regime che li perseguitava. Servono campi di accoglienza nei Paesi di transito gestito dall’UNHCR, e le persone riconosciute come rifugiate dal UNHCR, devono essere trasferite in Europa in base a quote annuali di ingresso regolare, non quello per lavoratori, che in certi Paesi come l’Italia si sta già praticando, ma una quota specifica per richiedenti asilo politico, possibilmente non con numeri ridicoli come oggi in Italia. L’UNHCR potrebbe occuparsi dello smistamento in base alla disponibilità degli Stati, solo così si potrà eliminare l’arrivo dei clandestini con le carrette del mare. L’Europa sul piano diplomatico ed economico, dovrebbe agire per migliorare le condizioni di vita nei Paesi da cui provengono tanti richiedenti asilo, nelle cooperazioni internazionali si dovrebbero coinvolgere i rifugiati che sono un ponte naturale tra l’Europa i Paesi di provenienza. L’Europa dice di avere la vocazione per diffondere la democrazia, questo è possibile solo offrendo formazione e coinvolgendo a tutti quei migranti che provengono da Paesi sottosviluppati. Deve offrire un rimpatrio volontario assistito e accompagnato da un progetto per lo sviluppo del paese che accoglie e per i profughi che tornano. Deve vigilare sul progetto affinché venga attuato a favore dei profughi, perché in passato sono accaduti episodi spiacevoli dove profughi rientrati sono stati pressoché abbandonati in zone depresse economicamente privi di servizi necessari come acqua potabile, ospedali, scuola, negozi quindi costretti ad emigrare di nuovo. Lei vive da tanti anni in Italia, pensa che possa interessare la politica Italiana ad un immigrato? Pensa che possano avere qualcosa da dire sulla politica italiana? Questa domanda è la prima volta che mi viene fatta da un giornalista; la devo ringraziare: chi l’ha detto che un immigrato non ha niente da dire sulla politica italiana? E’ come se lei mi stesse dando un riconoscimento ad esistere e ad interessarmi anche della politica italiana. E’ vero che noi immigrati non abbiamo diritto di voto, ma seguiamo con molto interesse la politica di questo Paese; in 16 anni ho visto almeno 10 governi diversi, più o meno uno peggiore dell’altro, non solo in materia di migrazione, ma anche riguardo alle battaglie sociali, alla sicurezza, all’economia. Ho assistito ad una politica priva di morale, di etica; basti pensare a tutta la vicenda di “mani pulite”, che ha coinvolto e travolto vari partiti (ad esempio la DC, il partito socialista con Craxi), le vicende che hanno visto coinvolto il Cavaliere Berlusconi, ultimamente i DS con la vicenda Unipol… Sono cose che ti lasciano perplesso: la fiducia nella politica viene meno, una brutta immagine del Paese all’estero. Oggi l’Italia è una delle 8 nazioni più potenti, dato che fa parte del G8, ma il suo stato sociale ancora fa acqua da tutte le parti. Vi sono famiglie che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese, giovani che non riescono a progettare il proprio futuro, la precarietà dilaga seminando insicurezza economica nelle giovani coppie, costringendo tanti giovani a restare in famiglia fino a tarda età. Tutto questo è frutto di un fallimento della politica economica e sociale di decenni: governi preoccupati più prendere voti che a risanare i problemi del Paese (un debito pubblico che pesa come un macigno, l’evasioni fiscali che dilagano, frenando la capacità di intervento dello Stato nei problemi sociali). Quello che si nota in Italia è la mancanza di rigore nel rispetto delle regole, anzi sono premiati i furbi, che raggirano le leggi per non pagare le tasse: più sono ricchi e più facilmente sfuggono al fisco! Tutto questo a danno della collettività. La politica in questo non è stata in grado di rispondere con unanimità, anzi si è gridato allo scandalo, se venivano fatti controlli a tappeto, si è affermato di vivere in uno stato di polizia fiscale, e di essere “strozzati” dal controllo ect… Con i vari condoni fiscali concessi si da l’idea che sia meglio evadere: tanto prima poi arriverà un condono che aggiusta tutto! O che è possibile cavarsela con il pagamento di una multa simbolica. Invece serve rigore nel pretendere il pagamento delle tasse, ma altrettanto rigore nel garantire i servizi e assistenza necessaria ai cittadini. Alcuni Parlamentari incitano la gente a non pagare le tasse, ciò rappresenta un’irresponsabilità politica da parte dei governanti, diseducante per la futura generazione. Sarebbe, invece, giusto dire alla gente: “Fate il vostro dovere e pretendete anche i vostri diritti!”; E’ giusto che chi paga le tasse deve avere in cambio i servizi adeguati, rispettosi della dignità della persona e dello standard europeo. Prendiamo in considerazione anche il tema dell’ambiente: quanti disastri ambientali causati dalla negligenza politica, o da una serie di condoni edilizi, concessi a danno dell’ambiente e quindi anche di tutti cittadini italiani e non solo; quando, infatti, viene deturpata una zona costiera o boschiva, il danno non riguarda solo l’Italia, ma tutta l’umanità. Ci sono luoghi in Italia, considerati patrimonio dell’umanità, che subiscono le costruzioni abusive, spesso con complicità delle amministrazioni. Ciò è molto grave: la magistratura dovrebbe intervenire: serve rigore e legalità... Quello che mi meraviglia è che i partiti di ispirazione cristiana, i quali per anni hanno governato l’Italia, siano falliti anche nell’educare i cittadini al senso civico, alla responsabilità verso la collettività, il bene comune, il rispetto dei diritti e doveri di ogni cittadino. Anche in essi, invece, è prevalso l’egoismo, l’individualismo, l’arrivismo a tutti costi. I temi sociali, prima ancora di essere di sinistra, sono dei cristiani; mi aspettavo, quindi, battaglie sociali portate avanti dai partiti di ispirazione cristiana. In questi anni, però, tutto è rimasto fermo: sia riguardo il tema del sostegno alla famiglia, la lotta alla povertà, il rispetto dei diritti delle donne, dei migranti, dei rifugiati…In certi ambienti c’è addirittura intolleranza verso i meno abbienti e i migranti. Anche la sinistra ormai fa pochissime battaglie, spesso poco consistenti, il solito anticlericalismo di vecchio stampo; la sinistra, fedele alla sua tradizione, avrebbe dovuto dare battaglia per cambiare le cose riguardo l’aspetto socio-economico, la distribuzione equa del reddito attraverso assegni familiari, l’assegnazione delle case popolari, gli ammortizzatori sociali, il miglioramento dei servizi nella sanità, dimezzando l’iter burocratico negli uffici pubblici, la maggiore efficienza e trasparenza della macchina della giustizia, il rendere meno precaria la vita dei giovani, l’investimento nel campo della ricerca, della competitività industriale e di mercato. Da questo governo mi aspettavo una seria giustizia: quella sociale, economica, legislativa. Finora ci sono stati pochi segnali timidi; mi aspettavo una nuova legge sull’ immigrazione, più giusta: non pensata in chiave difensiva bensì di accoglienza, che garantisse la sicurezza nazionale, ma anche la questione della cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia. Allo stato attuale devono attendere il raggiungimento del 18simo anno di età; chi non è nato in Italia per ottenere la cittadinanza deve risiedere in tale Paese per10 anni e possedere un reddito al di sopra della soglia della povertà; comunque anche se hai tutti i requisiti necessari, l’ottenimento della cittadinanza non è automatico: ci vogliono anni prima di riuscire ad averla! Chi, invece, vive in Argentina o in Brasile, e si ricorda di aver avuto un nonno o bisnonno Italiano può ottenere la cittadinanza Italiana senza avere dato nulla a questo Paese! Il mio lavoro in questo Paese, invece, che ha contribuito ad arricchire i cittadini italiani, non viene considerato. Questo io lo trovo ingiusto! Così come trovo ingiusto negare il diritto di voto agli immigrati che risiedono da più di cinque anni, non solo in quelle amministrative ma in tutte le votazioni dovrebbero poter esprimere le loro preferenze su chi deve governare la città, la regione o la nazione dove hanno scelto di vivere. Anche su questi temi la sinistra italiana fa cilecca. La nascita del PD non sarebbe male se non fosse un partito già “lesso”, prima di nascere, da divisioni dei componenti: infatti non sta nascendo un nuovo partito, ma si tratta di una fusione ancora non ben riuscita, che dovrebbe rappresentare una sinistra imborghesita, un socialismo all’acqua di rosa, un cristianesimo sbiadito. Per questo non m’ispira fiducia. Il PD non sarà mai in grado di fare scelte radicali o battaglie di grande rilievo perché le anime che lo compongono sono talmente diverse che difficilmente riusciranno a mettersi d’accordo. Forse sarebbe adatto per guidare qualche governo di transizione o per il mantenimento dello status quo del Paese, ma non si possono aspettare grandi cambiamenti da un eventuale governo retto solo dal PD. Lasciando perdere Forza Italia, che è un semi-partito formato da furbacchioni, da fuoriusciti e avanzi della Dc o PC, la vera destra, quella dell’On. Fini, regge bene la maschera di una destra moderata che porta da un po’ di anni, però ogni tanto ci sono dei movimenti tellurici, che portano a scissioni (come quella dell’On. Storace o lo strano riavvicinamento della Mussolini) e la continua campagna anti-immigrati portata avanti da alcuni componenti del partito di Alleanza Nazionale. Quest’ultimo è un partito che fa fatica ad essere veramente moderato, senza perdere i valori a cui crede; bisogna dare atto che qualche passo avanti si è fatto, ma manca ancora molto riguardo ad esempio il tema della tolleranza, della solidarietà, dell’accoglienza anche dei migranti. I cosiddetti partiti di centro come quello dell’On. Casini o dell’On. Mastella, se vogliono avere un futuro, dovrebbero unire le loro forze, per dare voce a tutti quei cristiani che vogliono un partito con forte identità cristiana, non solo di nome ma di fatto, che in Italia in questo momento è inesistente. Non so se questi partiti si rendono conto del grosso compito e della responsabilità sociale che hanno in un Paese come l’Italia: i cristiani e i partiti di ispirazione cristiana dovrebbero essere un motore etico, morale, in tutti campi della società italiana. Invece li vedo assenti, non basta mostrare i muscoli con adunate oceaniche ogni tanto, ma servono battaglie quotidiane, a fianco delle famiglie, dei giovani, degli immigrati, dei pensionati… servono battaglie per la giustizia sociale. Per quanto riguarda il tema della sicurezza, spesso c’è mancanza di volontà d parte dello Stato di estirpare certi fenomeni che esistono in Italia, come la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta. In tutti questi anni ci sono state tante ambivalenze anche da parte dello Stato come convivenze tra politica ambienti mafiosi; anche quando vengono scoperti, non so perché, si fa fatica ad estirparli del tutto; spesso quello che non viene garantito a un “ruba galline”, che va in carcere, viene invece garantito ai mafiosi arrestati… eccesso di garantismo. Bisogna puntare sulla formazione alla legalità fin da piccoli, mandare i poliziotti a tenere lezioni nelle scuole anche nelle università, lavorare di più sulla prevenzione; poi a chi commette reato accertato, far scontare la pena giusta; non basta, però, chiuderli in carcere, ma è necessario ideare un programma educativo da mettere in pratica in carcere per recuperare il reo. Ciò che dovrebbe essere evitato sono le solite campagne allarmistiche, che fanno certi giornali e telegiornali o i politici, che soffiano sul fuoco solo per interessi, non tenendo conto che turbano la quiete pubblica, diffondono un senso di insicurezza con dati discutibili. Parlando di economia una cosa positiva per l’Italia è l’ingresso della moneta unica europea; anche se uno spiacevole sciacallagio da parte dei commercianti, che hanno raddoppiato i prezzi, ha penalizzato, dimezzandolo, il potere d’acquisto della gente, per il resto l’Italia è salva da una continua oscillazione della sua valuta; oggi, infatti, l’Italia ha una certa stabilità monetaria, ci sono anche segni di sviluppo da incoraggiare. La politica, però, non si deve far sopraffare dall’economia: la tendenza che vedo è l’uomo al servizio dell’economia; invece deve essere il contrario: l’economia a servizio dell’uomo; per questo servono equità e giustizia con una forte dose di solidarietà sociale. Inviterei tutti i cittadini italiani, quando vanno a votare per le politiche nazionali, a tener conto non solo della situazione interna del Paese, ma anche che tipo di politica estera viene condotta dai governi e dai partiti che si candidano: se promuovo azioni a danno di altri popoli, come si rapportano con il mercato delle armi, se hanno reale intenzione di impegnarsi per contribuire ad una soluzione contro la fame nel mondo, le varie ingiustizie a danno dell’infanzia, delle donne, di tante popolazioni inermi. Anche in questo modo si possono condizionare le scelte dei governi; ciò vale anche per le votazioni regionali, provinciali, comunali, perché nel loro piccolo anche tali enti possono fare bene o danneggiare certe popolazioni, ad esempio con il loro sostegno economico a dittatori al potere, attraverso la cooperazione internazionale, i gemellaggi. Naturalmente per garantire tale trasparenza di informazioni e notizie servirebbero organi di stampa indipendenti, non soggiogati dai poteri forti, come, invece, avviene in Italia. Non serve a niente lamentarsi degli sbarchi dei clandestini, se non si cerca di aiutare le popolazioni a trovare soluzioni alla radice del problema, invece di pensare solo a come sfruttare le risorse naturali o il mercato oppure la posizione strategica del paese di turno. Oggi le potenze mondiali si muovono solo dietro ad un interesse, mai per il bene delle popolazioni in difficoltà; anche nei casi di calamità catastrofiche, si interviene pensando al proprio tornaconto, senza nessun vantaggio per la popolazione disastrata. Questo è il mondo in cui stiamo vivendo, siamo una società malata di mercato, di economia: è come se fosse un treno che viaggia a grande velocità, i pochi fortunati sul treno dettano le leggi, a discapito di miliardi di persone; manca poco che ci mettano un contatore sotto il naso per farci pagare anche l’aria che respiriamo! Per quanto riguarda l’acqua questo già avviene, con la privatizzazione di certe fonti, con il rischio di una guerra tra poveri…. anche questo fa parte della difesa della democrazia: difendere l’acqua come un bene comune dell’umanità che non appartiene a nessuno Stato, ma all’umanità. Rischiamo una terza guerra mondiale: qualche segnale già c’é anche in vari posti nel sud Italia, senza acqua da mesi; la gravissima assenza dello Stato esaspera le anime. Lei è cattolico, come vede la chiesa cattolica Italiana? La chiesa italiana è viva, ma incapace di sfruttare tutte le sue potenzialità per fare del bene alla società italiana e al mondo intero. Dico questo perché la vedo molto tiepida nelle varie battaglie sociali, etiche, morali: potrebbe fare molto di più! Dovrebbe spronare tutte le persone a fare meglio le cose, a cominciare dal proprio dovere di cittadini, che non si riduce al pagamento delle tasse, ma a fare bene il proprio lavoro, stare lontani da commettere ingiustizie a danno del prossimo, pensare di più al bene comune, non essere arrivisti calpestando gli altri. La chiesa deve recuperare l’oratorio, formazione permanente dei suoi fedeli, non basta l’omelia o la catechesi ai bambini. Se vuole combattere il relativismo del mondo di oggi deve puntare sulla formazione e sull’esperienza di solidarietà sociale, promosse con grande entusiasmo e coinvolgimento da tutte le parrocchie in tanti settori della società. Non bastano le GMG o altre simili adunate: la quotidianità deve essere attiva, fatta di preghiera, formazione ed azioni, solo così la chiesa può dare risposta a tante problematiche che attanagliano la società italiana. La chiesa ha funzione sociale quindi la chiesa ha tutto il diritto di fare battaglie sociali per il bene delle comunità, deve agire. La chiesa ha compito educativo, quindi deve educare la società ad essere giusta e solidale tra di loro, anche con i migranti, non lo sta facendo abbastanza. La chiesa deve soprattutto testimoniare l’Amore di Cristo, non solo con le parole, ma con i fatti! Non è mai sufficiente, infatti, quello che si è fatto e che si sta facendo, perché l’Amore di Cristo si da fino ad offrire la propria vita. La chiesa non deve temere di essere impopolare deve dire e fare ciò che è giusto davanti a Dio, senza badare a quanta gente è seguita. La chiesa deve essere quel punto fermo della società: tutto cambia, tutto passa, ma Cristo con la sua chiesa mai! Quindi parlare sì all’uomo moderno, ma senza annacquare i principi cristiani. A a me piace Papa Benedetto XVI perché prima ribadisce quali sono i punti fissi della chiesa di Cristo, poi possiamo dialogare, confrontarci senza nessun rischio di sincretismo religioso o di pensiero teologico, filosofico: bisogna avere chiaro quello che si è per poter confrontarsi con gli altri. Mi piacerebbe fare una domanda ai vescovi italiani: “La chiesa italiana Quo Vadis? Dove sta andando?” Ho la sensazione che la gente si stia facendo una religione su misura:, si prendono i sacramenti perché si usa, così senza aver compreso realmente il vero senso del sacramento che si sta celebrando… Non so, a lungo andare, cosa sarà della chiesa in Italia. Guardando all’Europa, che non ha voluto ammettere le proprie radici cristiane nella sua costituzione, mi sono chiesto se il cristianesimo in Europea é veramente penetrato fino infondo alla cultura delle popolazioni. Se fosse così come si spiega questa rapida secolarizzazione di certe nazioni per secoli considerate cristiane? Oggi in Europa c’è un certo lassismo dei preti e suore, non c'è più l’ardore missionario, certi preti del nord Europa sembrano degli impiegati statali, un appiattimento pericoloso per la fede di molti, perché la fede é come una pianta: deve essere continuamente curata, annaffiata altrimenti pian piano si secca e poi muore. Per fortuna ci sono pochi, ma bravi preti, suore, persone consacrate, o laici impegnati che portano avanti delle vere battaglie civili e sociali in Italia e anche in altre parti del mondo. Non sempre sono visti di buon occhio da una parte della chiesa gerarchica; questo non va bene: la chiesa non può sottrarsi al suo ruolo sociale, alla sua opzione per i poveri, si intende non solo materiali. Mi piacerebbe vedere più spesso una chiesa in piazza per la pace, la giustizia, la libertà del genere umano; una chiesa meno gessata dalla diplomazia, molto più vicina alla gente; una chiesa pronta a sporcarsi le quando è necessario per testimoniare il vangelo: non basta il pulpito, o la cattedra! Fanno bene Don Benzi, che scende in mezzo alle prostitute, Don Ciotti, in mezzo ai tossicodipendenti, Madre Teresa di Calcutta, in mezzo ai derelitti , il Beato G.B. Scalabrini in mezzo ai migranti. Noi esseri umani siamo fatti per il bene, ma spesso siamo tentati dal male, quindi la chiesa ha il compito di educarci, richiamarci alla nostra vera natura che è quella di essere il bene; questo lo fa con le parole, ma soprattutto con i fatti. Oggi ,però, quello che manca sono i fatti: sono, infatti, troppo pochi… in un mondo pieno di ferite sanguinanti sono pochi i medici dei corpi e delle anime; una buona parte del clero si è imborghesito, così anche alcune religiose; a tutto ciò hanno contribuito anche gli ostacoli posti dagli Stati, dai partiti, dalla massoneria, in nome di uno stato laicista, si mette in ridicolo la fede degli altri: chi è credente viene fatto sentire fuori tempo, fuori contesto sociale, etichettato come bigotto, un individuo da emarginare. Basta vedere i vari programmi televisivi per capire che messaggi vengono lanciati: quello che conta è apparire, fare carriera, arricchirsi non importa come, essere furbi anche a danno degli altri ect… La chiesa in Italia deve ritrovare la sua grinta missionaria non per andare lontano, ma per rievangelizzare la sua popolazione, intossicata dal consumismo sfrenato: tutto è lecito basta avere i soldi, nessuna morale, etica, tradizione. La chiesa deve rimediare al guasto sociale, in modo disinteressato; a differenza della politica e dei partiti la chiesa non ha bisogno dei voti dei cittadini, ha i numeri sufficienti per fare grandi cose, ma manca la volontà; tutto questo, infatti, costa fatica, e anche nella chiesa, purtroppo, sono pochi coloro che sono disposti a rinunciare alle comodità

mercoledì 24 ottobre 2007

Mappa Carceri presenti in Libia


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La vita dei rifugiati a Roma

CASA 16.41 23/10/2007 Ponte Mammolo, se questo è abitare... Pareti di vecchie ante di armadi, tettoie di nylon e plastica, baracche tenute insieme da reti di letti arrugginite. Reportage fotografico in una delle tante favelas di Roma, alla scoperta delle condizioni di vita di 50 eritrei e 30 ucraini La baraccopoli di Ponte Mammolo a Roma © Gabriele Del Grande ROMA – Pareti di vecchie ante di armadi inchiodate una sull’altra, tettoie di nylon e plastica, baracche tenute insieme da reti di letti arrugginite recuperate dai cassonetti. Contro il cielo i cavi degli allacci abusivi alla corrente elettrica, qua e là parabole e sugli alberi i segni dell’ultimo incendio. Un paio di donne scambiano due parole mentre aspettano il proprio turno per riempire le taniche d’acqua all’unico rubinetto appeso a un tubo nero di plastica che spunta dagli alberi dietro le baracche. Poco distante un ragazzo si fa la barba, davanti a uno specchio inchiodato a vecchi pannelli di legno, mentre due gatti fanno le fusa su una vecchia cassa usata come tavolino in quello che d’estate potrebbe essere un giardino. Redattore sociale ha visitato una delle tante favelas di Roma, a Ponte Mammolo, per scoprire le condizioni di vita delle 80 persone che vi abitano, a due passi dalla stazione della metropolitana, dietro il capolinea degli autobus. Baracche di fortuna, separate dagli sguardi degli automobilisti da un doppio giro di alberi tutto intorno, ma sotto il costante sguardo curioso e indispettito degli inquilini dei piani alti dei palazzoni che si ergono intorno. Sono soprattutto uomini, ma non mancano donne con bambini e interi nuclei familiari. Due le nazionalità principali: eritrei, una cinquantina di persone, ed ucraini, circa 30. D’estate convivono con le zanzare e d’inverno fanno i conti con il freddo. Qui non c’è riscaldamento né elettricità, salvo qualche allaccio abusivo. Si rimedia con le candele e con qualche coperta in più per il freddo. I bagni sono due per tutto il campo, la doccia si fa con i secchi dell’acqua presa da una fontana vicina. Zerit è un rifugiato politico. È fuggito dall’Eritrea dopo aver abbandonato l’esercito in guerra con l’Etiopia. In Italia è arrivato nel 2003. Qui vive da due anni. Ha i documenti in regola, ma da due anni non riesce a trovare un lavoro stabile e quindi a permettersi una stanza nella capitale degli sfratti. Lavorava come facchino negli alberghi per una cooperativa di servizi, ha perso il lavoro, adesso sopravvive con piccoli commerci nelle bancarelle di amici. Come lui molti si appoggiano qui. Un signore rientra con il bambino piccolo, appena tornato da scuola. Non gli va di parlare. Ne hanno abbastanza dei giornalisti. Le baracche furono visitate anche dal vescovo ausiliare della diocesi di Roma, Ernesto Mandara, nel 2005. Ma niente è cambiato. Alcuni vivono qui da anni. C’è chi ha un permesso di soggiorno per motivi umanitari, chi è rifugiato e chi invece è senza nessun documento, specie tra gli ucraini. Altri invece sono appena arrivati, come Goitom, che è sbarcato a Lampedusa ad agosto e che qui ha trovato un tetto per quanto precario. “Il sistema d’accoglienza dei rifugiati in Italia ha duemila posti, ma nel 2006 i rifugiati erano più di diecimila – dice Mussiè Zerai (Agenzia Habeshia) -. Vi siete mai chiesti dove finiscono gli altri ottomila? Eccoli!”. Anche a Goitom è successo. Dopo lo sbarco a Lampedusa è stato trasferito in un centro di identificazione e da lì, una volta ottenuto il permesso per motivi umanitari ha preso il primo treno per Roma ed è arrivato qui grazie al passaparola dei connazionali. Secondo un rapporto dell’Anci sullo Sprar (Sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati), nel 2006 sono state accolte 5.347 persone tra titolari di protezione umanitaria (43%), richiedenti asilo (43%) e rifugiati (14%), a fronte di 2.428 posti disponibili. Il 20% in più rispetto al 2005, eppure ancora troppo poco rispetto alle 10.348 richieste d’asilo presentate nel 2006. “Manca un anello di congiunzione – continua Zerai – tra i centri d’identificazione (cdi, ndr.) dove vengono portati i richiedenti asilo una volta sbarcati in Sicilia, e i centri di accoglienza. Così succede che molti si ritrovano completamente soli una volta usciti dai cdi e vanno a ingrossare le fila di posti come questi che poi rischiano di diventare veri ghetti”. I rami bruciati di un grande albero secco salgono al cielo, al centro delle baracche di legno e lamiere da cui pendono un paio di parabole. Sono la memoria di un incendio divampato nella favelas proprio il 20 giugno del 2006. Uno scherzo del destino? In tutto il mondo si celebrava la giornata dei rifugiati, e a pochi chilometri dal centro di Roma, cinquanta rifugiati rischiavano la vita per le fiamme divampate da qualche fornello a gas che qui usano per cucinare. (gdg) BARACCOPOLI DI PONTE MAMMOLO, GUARDA LE FOTO (© Gabriele del Grande): (1), (2), (3), (4), (5), (6), (7), (8)

mercoledì 10 ottobre 2007

Periclo Deportazione di Eritrei dalla Libia

Libia - 10.10.2007Deportazioni alla libicaPeggiora situazione detenuti eritrei: 70 arresti a Zawiyah, altri 30 eritrei in un'altra localita vicino a Misratah e altri 120 eritrei in altra localiata vicina a Tripoli in pessime condizioni.Diciotto mesi. Tanto tempo e' passato dai primi arresti, nel 2006, delprimo gruppo dei 600 eritrei oggi detenuti nel transit centre diMisratah, in Libia, in condizioni degradanti e a imminente rischio diespulsione. Grazie all'Associazione eritrea Agenzia Habeshia abbiamoparlato con i migranti, da cui ci arrivano gravi allarmi.Come nei lager. Le condizioni del carcere, gia' descritte altrove, nonfanno che peggiorare con il freddo della stagione. Di notte letemperature scendono ma non ci sono coperte nelle celle. Alte lepreoccupazioni per l'acqua da bere. Ne vengono distribuiti tre barilial giorno, per 600 persone. La gente fa a gara per prenderne un po'appena la portano. Anche perche' dopo poche ore al caldo, diventaimbevibile. Solo la solidarieta' tra i detenuti permette alle circa100 donne e ai circa 50 bambini di poter bere. E ancora piu' grave e'la situazione delle donne incinte. Sono almeno cinque, ci informa lanostra fonte, di cui tre partoriranno nelle prossime settimane, dopoche già due bambini sono nati dietro le sbarre nei mesi passati. Perloro, come per i malati di scabbia, bronchiti e tbc, non è previstanessuna assistenza medica. Lo scorso 28 settembre il centro e' statovisitato da una delegazione di autorita'. Per l'occasione gli agentihanno cucinato riso e pietanze e hanno dichiarato di trattare bene idetenuti, a cui però non è stato concesso di rilasciare interviste.L'Unhcr non si vede da tre settimane. E intanto fonti informateparlano dell'imminente arrivo di altri 160 eritrei arrestati sullerotte per Lampedusa.Caccia all'uomo. Settanta dovrebbero essere quelli arrestati la nottetra l'8 e il 9 luglio scorso in una retata della polizia a Zawiyah -una città ad ovest di Tripoli gia' balzata agli onori della cronacaper i pogrom razzisti che nel 2000 costarono la vita ad oltre 500migranti. Al momento dell'arresto – denuncia Amnesty International –sono stati costretti dagli agenti a spogliarsi per poi essereripetutamente colpiti con delle catene di ferro, anche nei giornisuccessivi.Se rimpatriati, rischiano di fare la fine dei 161 eritrei fucilati nelgiugno 2005 (secondo Amnesty International) per aver disertato le filadell'esercito impegnato a difendere la frontiera con l'Etiopia. Lamaggior parte di loro sono infatti disertori e potenziali rifugiatipolitici. A dire il vero almeno 150 di essi sono gia' statiriconosciuti come rifugiati dall'Unhcr, ma nonostante questo rischianodi essere rimpatriati e ammazzati, in nome degli accordi italo-libiciin materia di contrasto all'immigrazione clandestina.Il governo eritreo e' accusato di gravi violazioni dei diritti umanida Amnesty International, Human Rights Watch, Reporters sansFrontières, Nazioni Unite, oltre che dalla stessa Unione Europea.Nonostante il patto di non belligeranza firmato congiuntamente daEritrea ed Etiopia ad Algeri nel 2000, lo stato di guerra di fattocontinua dal 1998. Ragazzi e ragazze, raggiunta la maggiore età, sonoobbligati alla coscrizione militare a tempo indeterminato e idisertori sono puniti col carcere. Negli ultimi mesi la poliziaeritrea sta procedendo agli arresti, ad Asmara, dei familiari deigiovani fuggiti dall'esercito. Le famiglie sono costrette a pagaresomme ingenti per evitare il carcere. Vengono inoltre perseguitatigiornalisti, obiettori di coscienza, uomini politici e leader religiosi.L'odissea degli eritrei. Una sorte a cui sono scampati i 2.589 eritreisbarcati lungo le coste siciliane nel 2006. Il 12 percento dei 22.016cittadini stranieri sbarcati in Italia lo scorso anno, il 20,8percento dei 10.438 richiedenti asilo dello stesso periodo.La Libia ha già deportato eritrei, nel 2006 e prima ancora nel 2004, apiù riprese, anche su un volo pagato dall'Italia. Il 27 agosto 2004uno degli aerei venne dirottato dai deportati eritrei a Khartoum, inSudan. 60 dei 75 passeggeri vennero riconosciuti rifugiati politicidall'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite. Nel 2002Malta rimpatriò 223 eritrei. Oggi sono ancora detenuti nel carcere dimassima sicurezza di Dahlak Kebir, e molti di loro sono stati uccisi.Qualora il piano del Commissario Ue Franco Frattini diventasseoperativo sin dal 2008, con la partecipazione della Libia aipattugliamenti europei di Frontex nel Canale di Sicilia e irespingimenti in Libia di tutti i migranti intercettati, storie comequesta diventeranno ordinaria amministrazione di diritti negati, e diabusi tollerati da un'Unione europea che in nome della guerraall'immigrazione clandestina manderà a morire migliaia di rifugiati. Mussie Zerai YosiefGabriele Del Grande http://habeshia.blogspot.com

Atto Camera Interrogazone

ATTO CAMERA INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/05116 Dati di presentazione dell'atto Legislatura: 15Seduta di annuncio: 217 del 04/10/2007 Firmatari Primo firmatario: FRIAS MERCEDES LOURDESGruppo: RIFONDAZIONE COMUNISTA - SINISTRA EUROPEAData firma: 04/10/2007 Elenco dei co-firmatari dell'atto Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma DE ZULUETA TANA VERDI 04/10/2007 RUSSO FRANCO RIFONDAZIONE COMUNISTA - SINISTRA EUROPEA 04/10/2007 VENIER IACOPO COMUNISTI ITALIANI 04/10/2007 VACCA ELIAS COMUNISTI ITALIANI 04/10/2007 SINISCALCHI SABINA RIFONDAZIONE COMUNISTA - SINISTRA EUROPEA 04/10/2007 MASCIA GRAZIELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA - SINISTRA EUROPEA 04/10/2007 Destinatari Ministero destinatario: MINISTERO DELL'INTERNO MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELL'INTERNO delegato in data 04/10/2007 Stato iter: IN CORSO Atto CameraInterrogazione a risposta scritta 4-05116 presentata da MERCEDES LOURDES FRIAS giovedì 4 ottobre 2007 nella seduta n.217 FRIAS, DE ZULUETA, FRANCO RUSSO, VENIER, VACCA, SINISCALCHI e MASCIA. - Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri.- Per sapere - premesso che: il governo eritreo è accusato di gravi violazioni dei diritti umani da Amnesty International, Human Rights Watch, Reporters sans Frontières, Nazioni Unite, Ahcs, Aiei, Ahei, Asper, Mossob, Asdge, Pde, oltre che dalla stessa Unione europea. Nonostante il patto di non belligeranza firmato congiuntamente da Eritrea ed Etiopia ad Algeri nel 2000, lo stato di guerra di fatto continua dal 1998. Ragazzi e ragazze, raggiunta la maggiore età, sono obbligati alla coscrizione militare a tempo indeterminato e i disertori sono puniti col carcere. Nel giugno 2005, sono stati fucilati 161 tra ragazzi e ragazze, accusati di diserzione, essendo scappati dalle caserme. Negli ultimi mesi la polizia eritrea sta procedendo agli arresti, ad Asmara, dei familiari dei giovani fuggiti dall'esercito. Le famiglie sono costrette a pagare somme ingenti per evitare il carcere. Vengono inoltre perseguitati giornalisti, obiettori di coscienza, uomini politici e leader religiosi. Nel 2001 in Eritrea sono stati incarcerati senza processo 11 ministri: chiedevano che fosse approvata in Parlamento la costituzione già da tempo elaborata. Nulla si sa della loro sorte. È vietata la costituzione di organismi politici di opposizione. L'Università di Asmara è stata chiusa e molti dei suoi studenti e insegnanti sono detenuti. I giornali non governativi sono stati chiusi e molti giornalisti arrestati. Viene regolarmente praticata la tortura nelle prigioni. Il Patriarca Ortodosso Antonios è stato rimosso dalla sua posizione il 13 gennaio 2006 per aver criticato le ingerenze governative nelle attività della Chiesa. Antonios, che allora era stato posto agli arresti domiciliari, è stato recentemente trasferito ad una destinazione detentiva ignota; secondo i dati del Ministero dell'interno, dei 22.016 cittadini stranieri entrati illegalmente sulle coste italiane nel 2006, ben 2.859 erano eritrei. E delle 10.438 richieste d'asilo politico presentate nello stesso anno, il 20,8 per cento erano di eritrei. E secondo l'Acnur, il 60 per cento dei richiedenti asilo politico arriva via mare, dal 2000; per raggiungere la Sicilia, gli eritrei si imbarcano dalle coste occidentali della Libia, tra Tripoli e Zuwarah, come accertato dalle testimonianze degli eritrei e documentato dal sito fortresseurope.blogspot.com e da altri siti delle principali agenzie umanitarie come Human Righs Watch ed Amnesty International; nel corso di operazioni di contrasto all'immigrazione clandestina verso l'Ue, in Libia sono stati arrestati 1.451 cittadini stranieri nel solo mese di giugno 2007 e 2.137 nel mese di maggio 2007. Rapporti di Amnesty International, Human Rights Watch, Afvic, Fortress Europe, e lo stesso «Rapporto sulla missione tecnica in Libia dell'Unione europea» (dicembre 2004) denunciano gravi abusi commessi dalle autorità libiche ai danni dei migranti: arresti arbitrari, detenzioni senza processo, maltrattamenti, violenze sessuali e torture nei centri di detenzione dei migranti, spesso sovraffollati e insalubri. Gli stessi rapporti denunciano il rimpatrio di potenziali rifugiati politici nei paesi di origine, come pure il riaccompagnamento forzato alla frontiera sud della Libia con il Niger e con il Sudan, dove migliaia di migranti ogni anno sono abbandonati in pieno deserto; secondo i rapporti di Amnesty International, Fortress Europe, Habeshia e Islamic Human Rights Commission, oltre 600 cittadini eritrei arrestati nel corso di operazioni di polizia contro l'immigrazione clandestina in Libia, sono detenuti da oltre un anno nel transit center di Misratah, in Libia. La notizia è confermata dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur). Le persone sono state arrestate in mare, al momento dell'imbarco o durante retate a Tripoli. La situazione sanitaria nel centro, estremamente sovraffollato, è allarmante, con casi di scabbia e tubercolosi. Tra i detenuti si contano più di 100 donne e almeno 50 bambini, di cui due nati in carcere negli ultimi mesi. Durante le prime settimane di detenzione alcune donne sono state stuprate. I detenuti rischiano tutti l'espulsione. 114 dei detenuti sono titolari dello status di rifugiato politico, riconosciuto loro dalle missioni Acnur in Sudan e in Etiopia e quindi inespellibili in virtù della Convenzione sui rifugiati delle Nazioni Unite (mai sottoscritta dalla Libia) e della Convenzione sui rifugiati dell'Unione africana (che la Libia ha invece sottoscritto). Altre 49 delle donne con bambini sono state riconosciute rifugiate durante una visita dell'Acnur nel centro di Misratah all'inizio di agosto 2007. Quattro Paesi, tra cui l'Italia, si sarebbero detti interessati ad accoglierle; il 27 agosto 2004, un aereo partito da Tripoli per rimpatriare 75 eritrei venne dirottato dagli stessi a Khartoum, in Sudan. 60 dei 75 passeggeri vennero riconosciuti rifugiati politici dall'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite; secondo il Rapporto della missione tecnica in Libia dell'Unione europea (dicembre 2004), l'Italia avrebbe pagato le operazioni di rimpatrio aereo da Tripoli nei rispettivi paesi di origine di 5.524 cittadini di Paesi terzi, imbarcati su 47 voli della Air Libya Tibesti e della Buraq Air, tra il 16 agosto 2003 e il dicembre 2004. Uno di quei voli era diretto ad Asmara, in Eritrea, con 109 eritrei a bordo; secondo lo stesso Rapporto, tra il 2003 e il 2004, l'Italia ha fornito alla Libia 100 gommoni, 6 fuoristrada, 3 pullman, 40 visori notturni, 50 macchine fotografiche subacquee, 500 mute da sub, 150 binocoli, 12.000 coperte di lana, 6.000 materassi e cuscini, 50 navigatori satellitari, 1.000 tende da campo, 500 giubbotti di salvataggio e 1.000 sacchi per cadaveri. L'Italia, continua il rapporto, avrebbe finanziato anche la costruzione di due strutture, a Sebha e a Kufrah, sulle quali ha riferito in risposta a una recente interpellanza parlamentare il sottosegretario Marcella Lucidi; tra settembre e ottobre del 2002, Malta rimpatriò 223 cittadini eritrei. Tornati in Eritrea, furono detenuti e torturati. Lo hanno testimoniato ad Amnesty Intemational i pochi riusciti a evadere, oggi rifugiati politici nel Nord America e nei Paesi scandinavi. Trattenuti prima nella prigione di Adi Abito e poi, in seguito a un tentativo di fuga, nel carcere di massima sicurezza di Dahlak Kebir, alcuni sono stati uccisi; il 19 gennaio 2007, commentando i dati degli arresti in Libia dei candidati all'immigrazione clandestina, il Ministro dell'interno Giuliano Amato parlava di «buoni frutti» della collaborazione tra Italia e Libia. Ancora più recentemente, 11 giugno 2007, il Ministro ha chiesto a chiare lettere la partecipazione della Libia ai pattugliamenti aeronavali congiunti dell'agenzia Frontex nel Canale di Sicilia, per «impedire l'uscita dai porti delle navi»; il 18 settembre 2007, l'Adnkronos/Aki ha battuto la notizia secondo cui l'Unione europea, su mandato dei ministri dell'Interno, avvierà i negoziati con la Libia per la cooperazione sul controllo della frontiera Sud del paese. Il ministro Amato, sempre secondo l'agenzia ha commentato così la decisione «si tratterà di fornire alla Libia un sistema di sorveglianza elettronica del confine meridionale» come già dall'accordo di massima preso alcuni mesi fa dal commissario alle Relazioni esterne Benita Ferrero-Waldner con le autorità libiche dopo la conclusione della vicenda delle infermiere bulgare e del medico palestinese incarcerati per anni in Libia. Il ministro ha poi dichiarato che il mandato è stato ottenuto «dopo che io l'ho proposto e il vicepresidente della Commissione europea Franco Frattini mi ha espresso il suo appoggio». Le prassi di respingimento collettivo in mare introdotte in base al decreto interministeriale del 14 luglio 2003, in attuazione della legge Bossi-Fini, possono derivare da decisioni delle autorità politiche, che si sovrappongono agli interventi umanitari e di salvataggio, ponendosi in contrasto con il diritto internazionale del mare e con i divieti di respingimento affermati dall'articolo 19 del testo unico sull'immigrazione. In questo modo si alimenta il rischio di nuove stragi. Queste prassi amministrative possono costituire una gravissima lesione del diritto di asilo, riconosciuto a livello internazionale e dalla Costituzione italiana; in base alla Convention on Maritime Search and Rescue (SAR) del 1979, si impone a tutti, mezzi militari e commerciali, un preciso obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare regardless of the nationality or status of such a person or the circumstances in which that person is found, stabilendo altresì oltre l'obbligo della prima assistenza anche il dovere di sbarcare i naufraghi in un «luogo sicuro». È dal momento dell'arrivo in tale luogo che cessano gli obblighi internazionali (e nazionali) relativamente alle operazioni di salvataggio, che pertanto non si esauriscono con le prime cure mediche o con la soddisfazione degli altri più immediati bisogni (alimentazione, eccetera). Con l'entrata in vigore (luglio 2006) degli emendamenti all'annesso della Convenzione SAR 1979 (luglio 2006) e alla Convenzione SOLAS 1974 (e successivi protocolli) e con le linee guida - adottate in sede IMO lo stesso giorno di approvazione degli emendamenti alle convenzioni e protocolli - viene fatta maggiore chiarezza sul concetto di place of safety e sul fatto che la nave soccorritrice è un luogo puramente provvisorio di salvataggio, i cui raggiungimento non coincide con il momento terminale delle operazioni di soccorso. Per quanto detto in precedenza la Libia non può essere considerata un luogo sicuro; l'articolo 3 della Convenzione contro la tortura dell'Onu vieta l'espulsione di persone che rischiano torture o trattamenti degradanti nel Paese di origine. Il principio di non espulsione dei rifugiati è sancito dall'articolo 33 della Convenzione sui rifugiati delle Nazioni Unite e dell'Unione africana. Gli articoli 4 e 19 della Carta europea dei diritti fondamentali, vietano torture e trattamenti degradanti, ed espulsioni collettive o in Paesi dove gli espellendi rischiano la tortura; il Libro verde sul futuro regime europeo in materia di asilo, presentato dalla Commissione europea nel giugno scorso, ribadisce che i flussi migratori sono ormai «flussi misti», composti in altri termini da richiedenti asilo, oltre che di migranti economici. Un dato confermato dall'Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite. La Commissione europea ricorda come occorra «migliorare l'effettivo accesso alla possibilità di presentare una domanda di asilo» e quindi ottenere protezione internazionale nel territorio dell'Ue-: quali rapporti siano intercorsi e intercorrano, dalla fine del 2004 ad oggi, tra l'Italia e la Libia in materia di cooperazione per il contrasto dell'immigrazione clandestina in particolare se l'Italia abbia finanziato voli di rimpatrio per l'espulsione di cittadini di Paesi terzi dalla Libia, se l'Italia abbia finanziato sedute di formazione delle forze armate libiche, se l'Italia abbia fornito fondi e/o materiale tecnico alla Libia per le operazioni di pattugliamento, se l'Italia collabori con la Guardia costiera libica e/o con la Marina militare libica in operazioni di soccorso in mare; se l'Italia concederà dei visti di ingresso ai rifugiati politici eritrei detenuti a Misratah, con particolare riguardo alle donne e ai minori non accompagnati; se l'Italia intenda fare pressioni diplomatiche sulla Libia, per impedire il rimpatrio dei 600 eritrei, che in Eritrea rischiano torture e trattamenti degradanti; quali garanzie offra il Ministero dell'interno circa il rispetto dei diritti umani dei migranti in Libia se la Libia dovesse accettare di partecipare ai pattugliamenti aeronavali congiunti di Frontex, accettando quindi di riammettere sul suolo libico tutti i migranti fermati nelle acque libiche del Canale di Sicilia, alla luce delle gravi denunce dei rapporti sopra citati. (4-05116)

Deportazioni alla libica

Libia - 10.10.2007Deportazioni alla libicaPeggiora situazione detenuti eritrei: 70 arresti a ZawiyahDiciotto mesi. Tanto tempo e' passato dai primi arresti, nel 2006, delprimo gruppo dei 600 eritrei oggi detenuti nel transit centre diMisratah, in Libia, in condizioni degradanti e a imminente rischio diespulsione. Grazie all'associazione eritrea agenzia Habeshia abbiamoparlato con i migranti, da cui ci arrivano gravi allarmi.Come nei lager. Le condizioni del carcere, gia' descritte altrove, nonfanno che peggiorare con il freddo della stagione. Di notte letemperature scendono ma non ci sono coperte nelle celle. Alte lepreoccupazioni per l'acqua da bere. Ne vengono distribuiti tre barilial giorno, per 600 persone. La gente fa a gara per prenderne un po'appena la portano. Anche perche' dopo poche ore al caldo, diventaimbevibile. Solo la solidarieta' tra i detenuti permette alle circa100 donne e ai circa 50 bambini di poter bere. E ancora piu' grave e'la situazione delle donne incinte. Sono almeno cinque, ci informa lanostra fonte, di cui tre partoriranno nelle prossime settimane, dopoche già due bambini sono nati dietro le sbarre nei mesi passati. Perloro, come per i malati di scabbia, bronchiti e tbc, non è previstanessuna assistenza medica. Lo scorso 28 settembre il centro e' statovisitato da una delegazione di autorita'. Per l'occasione gli agentihanno cucinato riso e pietanze e hanno dichiarato di trattare bene idetenuti, a cui però non è stato concesso di rilasciare interviste.L'Unhcr non si vede da tre settimane. E intanto fonti informateparlano dell'imminente arrivo di altri 160 eritrei arrestati sullerotte per Lampedusa.Caccia all'uomo. Settanta dovrebbero essere quelli arrestati la nottetra l'8 e il 9 luglio scorso in una retata della polizia a Zawiyah -una città ad ovest di Tripoli gia' balzata agli onori della cronacaper i pogrom razzisti che nel 2000 costarono la vita ad oltre 500migranti. Al momento dell'arresto – denuncia Amnesty International –sono stati costretti dagli agenti a spogliarsi per poi essereripetutamente colpiti con delle catene di ferro, anche nei giornisuccessivi.Se rimpatriati, rischiano di fare la fine dei 161 eritrei fucilati nelgiugno 2005 (secondo Amnesty International) per aver disertato le filadell'esercito impegnato a difendere la frontiera con l'Etiopia. Lamaggior parte di loro sono infatti disertori e potenziali rifugiatipolitici. A dire il vero almeno 150 di essi sono gia' statiriconosciuti come rifugiati dall'Unhcr, ma nonostante questo rischianodi essere rimpatriati e ammazzati, in nome degli accordi italo-libiciin materia di contrasto all'immigrazione clandestina.Il governo eritreo e' accusato di gravi violazioni dei diritti umanida Amnesty International, Human Rights Watch, Reporters sansFrontières, Nazioni Unite, oltre che dalla stessa Unione Europea.Nonostante il patto di non belligeranza firmato congiuntamente daEritrea ed Etiopia ad Algeri nel 2000, lo stato di guerra di fattocontinua dal 1998. Ragazzi e ragazze, raggiunta la maggiore età, sonoobbligati alla coscrizione militare a tempo indeterminato e idisertori sono puniti col carcere. Negli ultimi mesi la poliziaeritrea sta procedendo agli arresti, ad Asmara, dei familiari deigiovani fuggiti dall'esercito. Le famiglie sono costrette a pagaresomme ingenti per evitare il carcere. Vengono inoltre perseguitatigiornalisti, obiettori di coscienza, uomini politici e leader religiosi.L'odissea degli eritrei. Una sorte a cui sono scampati i 2.589 eritreisbarcati lungo le coste siciliane nel 2006. Il 12 percento dei 22.016cittadini stranieri sbarcati in Italia lo scorso anno, il 20,8percento dei 10.438 richiedenti asilo dello stesso periodo.La Libia ha già deportato eritrei, nel 2006 e prima ancora nel 2004, apiù riprese, anche su un volo pagato dall'Italia. Il 27 agosto 2004uno degli aerei venne dirottato dai deportati eritrei a Khartoum, inSudan. 60 dei 75 passeggeri vennero riconosciuti rifugiati politicidall'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite. Nel 2002Malta rimpatriò 223 eritrei. Oggi sono ancora detenuti nel carcere dimassima sicurezza di Dahlak Kebir, e molti di loro sono stati uccisi.Qualora il piano del Commissario Ue Franco Frattini diventasseoperativo sin dal 2008, con la partecipazione della Libia aipattugliamenti europei di Frontex nel Canale di Sicilia e irespingimenti in Libia di tutti i migranti intercettati, storie comequesta diventeranno ordinaria amministrazione di diritti negati, e diabusi tollerati da un'Unione europea che in nome della guerraall'immigrazione clandestina manderà a morire migliaia di rifugiati. Gabriele Del Grande

venerdì 5 ottobre 2007

Merkel: Grmanioa pronta a mediare

German chancellor offers help in Ethiopia-Eritrea disputeThe Associated PressPublished: October 4, 2007ADDIS ABABA, Ethiopia: German Chancellor Angela Merkel offered to helpHorn of Africa rivals Ethiopia and Eritrea resolve a long-runningborder dispute, and called for the rapid deployment of a jointpeacekeeping force to Sudan as she began a tour of African nations onThursday.Merkel said she had spoken with Prime Minister Meles Zenawi and wasconfident the acrimonious border dispute between his country andneighboring Eritrea would be peacefully settled since Ethiopia hasaccepted the ruling of an impartial border commission."It seems that the problems are mainly in the implementation, " shesaid. "Wherever we can be of any assistance, Germany will certainly beready to do so."She did not specify how Germany could help or what had changed in adeadlock that has had both countries trading accusations for years.Eritrea gained independence from Ethiopia in 1993, after a 30-yearguerrilla war, but the border between the two was never formallydemarcated. A war erupted over the border in 1998 and claimed tens ofthousands of lives.Today in Africa & Middle EastBaghdad bombing wounds Polish ambassador and kills 2Sunni legislator detained for questioning by U.S. military in IraqCargo plane crash in Congo's capital, at least 19 deadA December 2000 peace agreement provided for an independent commissionto rule on the position of the disputed 621-mile (1,000-kilometer)border, but the neighbors have repeatedly accused each other of nothonoring the deal.Tensions have increased further with the rivals backing opposing sidesin Somalia, where fighting between a weak government and Islamicinsurgents has killed thousands of Somalis this year.Ethiopia also has trouble at home, but Merkel did not directly addressEthiopia's crackdown on opposition leaders or the insurgency in theOgaden region, where Ethiopian troops are fighting ethnic Somaliinsurgents. Aid groups and the rebels accuse Ethiopia of running apolice state and targeting civilians in Ogaden.Meles used the news conference as an opportunity to send a robustresponse to U.S. legislators who have proposed cutting aid unlessEthiopia improves its human rights conditions."I don't think it will affect the relationship between ourselves andthe U.S.," Meles said. The bill "is not fair. It is a reflection ofthe vendetta of a congressman. And that's it. If this person wasinterested in human rights and democracy, he should have looked atEritrea first."The U.S. House of Representatives unanimously approved the bill onTuesday, but it not yet law.Merkel also addressed the African Union, headquartered in Addis Ababa.Germany is currently the head of the Group of Eight industrializednations, from whom the AU has been seeking funding for peacekeeping.Merkel did not make a specific pledge to peacekeeping operations, butemphasized that the EU was committed to providing US$60 billion toAfrica over the next five years.Over the weekend, 10 AU peacekeepers were killed in an attack on theirbase in the Darfur region of Sudan. The underfunded, under-equipped AUforce was to be absorbed into a larger, joint AU-UN force this month,and Merkel joined calls to overcome logistical and financial hurdlesand speed deployment."The UNAMID mission must come to action quickly and will hopefullylead to the desired success," she said, while emphasizing that "thecentral responsibility for peace, stability and security lies withinAfrica itself."She also used the speech to highlight the chaos in Somalia, where atleast four people were killed on Thursday in gunfire and grenadeattacks in the capital."The situation in Somalia is a catastrophe for the people there, whichcarries considerable dangers for the region and beyond," Merkel said,insisting that "a political solution must be found."Merkel's long-planned visit, which will also take her to South Africaand Liberia, will focus on development and trade, as well as humanrights, corruption and the fight against AIDS. She is also layingfoundations for an EU-AU summit to be held later this year, which shesays all African leaders will be invited to.Britain's Prime Minister Gordon Brown has said he would not attend thesummit because Zimbabwean President Robert Mugabe was expected. Merkelsaid she would discuss the human rights problems in Zimbabwe with theSouth African government during her trip and be "very critical" duringthe summit."Protecting human rights is an elemental component of our programs tosupport peace, development and security. Protection of democracy andthe state of law are equally important, for their abuse threatenspeace and stability and prevents long-term development, " she told the AU."The crisis in Zimbabwe is an example of such abuse. We are deeplyconcerned about the developments there, about the bullying andthreats, about the silencing of the opposition and the destruction ofpoor areas and the unrelenting human rights abuses."Mugabe has been accused of abusing human rights record and presidingover the economic collapse of his country.Termini e condizioni d'uso

mercoledì 3 ottobre 2007

Eritrea ed USA

Il presidente dell'Eritrea si fa intervistare dai Midia USA, di LOS ANGELES TIMES.(latimes. com).Q & A with President Isaias AfwerkiBy Edmund Sanders, Los Angeles Times Staff Writer October 2, 2007 The Eritrean president sat down recently with the Los Angeles Times to share his views about U.S. relations, a long-simmering border dispute with Ethiopia and progress in Africa toward democracy and human rights.U.S.-Eritrea relations are at an all-time low. Four years ago, the U.S. was considering putting a military base on the Eritrean coast and Eritrea joined the U.S.-led coalition supporting the Iraq invasion. Now there's a diplomatic tit-for-tat and the U.S. is threatening to put Eritrea on a list of state sponsors of terrorism. How did the relationship sour?That leads us to one of the major issues, and that is the border. [A 1998-2000 border war between Ethiopia and Eritrea killed at least 70,000.] We know there was a heavy-handed involvement by the U.S. in the conflict. The U.S. has come out to openly say that they were on the side of Ethiopia against Eritrea. . . . We believe the U.S. deliberately complicated the process [to demarcate the border in accordance with a 2002 independent ruling that gave the disputed Badme region to Eritrea] to delay it and find some opportune moment for reversal. These five years of complications have not come from the regime in Addis. It's come from Washington.Why would the U.S. want to do that?That's the question. Why do they have to support Ethiopia? Wouldn't it be better for the U.S. to work with countries of this region for a safe and stable environment? It's evident that the U.S. wants to manage sub-regions everywhere in the world, particularly in Africa, by proxy. I call it an agent who promotes the U.S. interest at the expense of the collective interest of that region.The U.S. State Department accuses Eritrea of supporting terrorism by arming Somalia's Islamic Courts Union, which was ousted last year from Mogadishu amid U.S. claims that it has links to Al Qaeda.It's a deliberate distortion of fact. Why would one categorize the courts as terrorists? The Islamic courts are a product of the political process in Somalia for the last 15 years. A product of 15 years of chaos, 15 years of warlords, 15 years of neglect by the international community. Despite our disagreement with their ideology, it was the beginning of a process that could have led Somalia to be more stable and sovereign.Did Eritrea support the courts with weapons, as alleged recently by the U.S. and the U.N. Monitoring Group?I still would like to know what is behind this allegation. Nobody is convinced. What are the accusations?That there were about 13 flights over a one-month period, leaving from Asmara and Massawa and arriving in Mogadishu. Most of the flights were in November and December of 2006.Before the occupation of Somalia?Yes.What does that mean to the situation now and the issue of terrorism or the support of terrorism? We were told after the invasion of Somalia that the Islamic courts were finished. If anything went to the Islamic courts before their ousting, why would it be an issue? This is history. We recognized the Islamic courts as part and parcel of the political process in Somalia. We believe the courts have to be recognized.I haven't heard you deny the allegation. Is your position that if you did send arms last year, that it would not have been improper because the courts were legitimate?There are no facts or evidence. For me to deny or not deny, first I'd have to ask about the evidence. The main objective of this accusation is misleading by distorting the facts.Are you worried about ending up on the U.S. list of state sponsors of terrorism?The message might have missed its target. Was it meant to intimidate us and prevent us from playing a role in some sort of political process in Somalia that could contribute to peace? Would we be intimidated and refrain from doing our duty in the region? It was mainly aimed at intimidating us.Eritrea has become increasingly isolated over the past 10 years. Why?It's a perception of those who would like to see Eritrea isolated. Facts on the ground will tell you that we are more and more joining the region and friends all over the world.But there's very little foreign trade or importing/exporting . Diplomatic relations are strained with several countries. Many foreign aid groups have left or been kicked out.It's a matter of how you see it. This is a very young country. You can go and see the social services we offer, the quality of life, the improvements that have occurred in the past 10-15 years, and objectively compare that to older countries who have not achieved what we have [in] a very short time. If you take that as a measure, it definitely tells you that we are not isolated.We believe we are part of a regional and global economy and would like to survive and strive within that process by developing an economy that can grow and be sustained. But to be part of it, we have to be able to produce something and sell something, so we can buy something. We need to do things that enable this country to stand on its two feet and do business with other countries. We have to be able to produce enough to feed ourselves and then go beyond that to sell in the market. Do we live on food aid? Do we live on handouts?Eritrea in recent years has rejected hundreds of millions of dollars in foreign aid. Why?It's not a matter of rejecting support from outside. It has to be seen in light of what I mentioned. How can we buy and sell in the marketplace if we depend on food aid? Isn't it wise for people to think they need to produce what they are eating? What's wrong with that? To be part of the region and trade with others, we need to work hard and produce, and depend upon our toil. . . . Self-reliance is perceived as isolationist. But self-reliance is a means, not an end. It's a means of taking you to the bigger market and the biggest markets. How can I do that with handouts?Do the people share that commitment? Many fought hard for independence and expected prosperity. Now you're telling them they have to continue to sacrifice.Ordinary people understand it more than myself. Change in living standards and quality of life is what matters to them. And they see it. Ask anyone in a very remote area and he can tell you the changes that have occurred in terms of clean water, health services, education and even the quality of food. They may not have reached their ultimate aspirations, but ordinary people appreciate what has transpired.Eritrea has one of Africa's most progressive constitutions, but it hasn't been ratified. Why?Everything has been hijacked in this country. We have not been left to do it in a manner and process that would take us somewhere.Hijacked by whom?All the evils we have seen in the past 10 years.The border?It's everything. It's not only the border. We have not been left alone to push the process ahead in our own way. It's not about ratifying the constitution. It's not a question of allowing multiple political parties. People may talk about democracy, but even those who pretend to be democratic are not democratic.How has any of that prevented you from ratifying the constitution?The constitution is a paper.An important paper.It's only a paper. I don't want to cheat everyone with this paper. I don't want to mislead everyone that this paper is a panacea. We have to create a conducive environment for a viable political process in this country.Why isn't it conducive now?There is a process of transformation in any society. The political process is part of that social and economic transformation. You may tell me there is a constitutional monarchy here, or elections there, or multiple political parties over there. It's a mockery. It's become fashionable to pretend to be democratic, to pretend to have a constitution and multiparty-system. But those systems undermine all the processes that would lead to participation of the population. It's a matter of providing equal opportunities, not a political document, that guarantees your rights. It's not putting your vote in a ballot box that will guarantee you good living standards.Isn't the essence of a democracy having the right to vote once in a while?You can see today how this concept of democracy is abused. It's very sad. Democracy in its real essence should provide people with equal opportunity. Do you think Eritrea isn't ready for democracy?Eritrea could be more ready than those other countries that are labeled as democracies. What we see evolving are not democracies. We see tyrannies, corrupt governments and people deprived of any form of participation, in spite of the ballot box and constitutions that are publicized. . . . We can't do it with prescriptions coming from the wrong doctors. We say, leave us alone. Let us do our own work and arrive at a heavenly sort of democracy, if we can call it that.You once chastised African statesmen for failing people on human rights. Now you are facing similar complaints over the 2001 crackdown against political opponents, restrictions of religious groups and closure of the free press.There is no independent press anywhere. Who guides the so-called independent media? Who finances these organizations? Unfortunately, the independent media are being manipulated by those who can afford to buy them.Why restrict religions other than the four major faiths officially sanctioned by the government?There is no restriction on religion. What's new about the Bible that you want to teach me? What is new about the Koran? I say there is nothing new. Extremists who want to use Islam as a political end for their ambitions should be asked that simple question. What do you want to do with this ideology? I say it's a pretense of using religion for ulterior aims. Religion is by default restricted because you have nothing new to teach me. You do not have the right to impose your beliefs on another person. That creates discord and confusion in the society. Government is there to guarantee everyone is respected. I don't believe that's a restriction.What about the status of the jailed political leaders and journalists, including two Eritrean nationals who worked for the U.S. embassy? Will they ever be put on trial or released?They are not politicians. They are crooks who have been bought. They provided themselves to serve something contrary to the national interest of this country. They are degenerates. I don't take it [as] a serious matter.Given the bad blood in recent years, do you think you could even normalize relations with Ethiopia? Economically, they're a key partner.We can live together. There is nothing to prevent us from developing a relationship. Imagine how much we could have achieved in terms of economic cooperation, working together on the stability of this region, working together to fend off threats. Because of the border, I'm not discouraged. We know we can live in peace and live by cooperating and probably integrating our economies gradually and doing trade. This border issue should not be. We have to remove it somehow.How much longer will you stay in power? Do you think about stepping down?It's become a habit for me not to discuss this issue. I believe in a political process that will take this country from one level to a higher level. I see myself . . . in this process. I think I'm moving in the right direction. It's a long process under normal circumstances. It can't happen under abnormal circumstances. Unfortunately, we have entered into a situation we call abnormal because of external interferences that are blocking our progress.

Ponte Mammolo: Rifugiati Eritrei

Rifugiati politici eritrei costretti a vivere nei baracopoli nella periferia di roma a Ponte Mammolo. Qui nelle immagini la visita del Vescovo ausiliare della diocesi di Roma Mons. Ernesto Mandara nel 2005, passo due anni ma per rifugiati non e cambiato nulla.

Eritreo Morto in Carcere per non dimenticare

Appello alla Comunità Europea

Gentili Sig.re e Sig.ri, Ci giungono richieste di aiuto dai 600 eritrei detenuti nel carcere di Misratah da 1anno 4 mesi, 5 donne incinte, 60 bambini alcuni nati dentro la struttura carceraria, in condizioni igenico sanitari pessime, tanti di loro si stano ammalando di tbc, e malattie della pelle, infezioni per le donne costrette a partorire nel carcere assistite solamente da altre detenute come loro, totale assenza di assistenza medica, bambini con problemi nel apparato respiratorio, con tendenza asmatici.Ce scarssita di acqua pottabile, 3 barili di acqua per 600 persone.Ultimamente si parla di altri 160 eritrei che verrano portati nel carcere di Misratah, questo voldire che agravera la situazione di vivibilità che ha già superato il limite, risultato varie persone amalate, cattivi odori, di notte fredo dato che si dorme nel pavimento.Chiedono l' intervento della Comunità Europea, a finché faccia pressione sul governo libico per liberare queste persone, tutti sono richiedenti asilo politico, ma sul posto non ci sono organizzazioni o ambasciate dei paesi Europei dove presentare la richiesta di asilo politico.Il tentativo dell'UNHCR di spingere che i paesi europei concedano visto di ingresso regolare per richiedenti asilo politico, attendiamo speranzzosi, che la lotta all'ingresso di clandestini comprenda anche canali regolari di ingresso dei richiedenti asilo politico. Ciò che stanno vivendo loro in totale violazioni dei diritti umani e civili, frutto anche della politica di esternazlizazione dei confini dell'Europa, senza offrire alternative per chi fugge da dittature come quella dell'Eritrea oggi, in fatti lunica colpa di queste 600 persone detenute in carcere nella località di Misratah, e quello di essere fuggiti dalla dittatura eritrea.Chiediamo al governo Italiano di adoperarsi per una soluzione positiva, di questi cittadini eritrei in carcerati in Libia. Mussie Zerai agenzia_habeshia@yahoo.it

Conferenza : Eritrea, Pace Democrazia Diritti

RELAZIONE DIBATTITO “Eritrea: Pace Democrazia Diritti” Roma, 23.02.2006 Gentili Signore e Signori, vorrei iniziare il mio intervento ringraziando tutti voi qui convenuti questa sera, in particolare saluto e ringrazio la Vicepresidente della Provincia di Roma Rosa Rinaldi, che ha reso possibile questa conferenza in questa sede; un sentito grazie a Rita Corneli, moderatrice del nostro incontro e a Roberta Terracina che hanno lavorato per realizzare questo evento; saluto e ringrazio il Senatore Francesco Martone che ci ha sostenuto in tante iniziative come anche in questa, impegnandosi personalmente con il suo collaboratore Mauro Tettoni. Un sentito grazie e un saluto particolare ai relatori di questo dibattito: al prof. Alessandro Triulzi, ai giornalisti Enrico Casale e Massimo Alberizzi, al signor Francesco Messineo. Ringrazio le delegazioni delle Associazioni Eritree venute da Milano e Napoli, con la vostra presenza manifestate la solidarietà e collaborazione che va crescendo tra di noi. Abbiamo dato questo titolo al nostro dibattito “Eritrea: Pace Democrazia Diritti”, sono tre parole collegate e dipendenti l’una dall’altra, esse esprimono il desiderio che il popolo eritreo vuole vivere come popolo. a. La pace. Come tutti sappiamo, la pace è alla base di tutta la vita di un popolo, perché possa progredire, è perché concentri tutta la sua energia per il proprio sviluppo. Questa pace noi Eritrei l’abbiamo persa dal 1998, quando iniziò la guerra con l’Etiopia. Conseguentemente alla vicenda bellica, si è arrivati all’accordo di Algeri nel dicembre del 2000, che è stato reso vano dal fatto che l’Etiopia non accettò le decisioni successive del 2002 della Commissione incaricata dall’ONU per la demarcazione dei confini. Lo stato di guerra permane tutt’ora, come sentiamo ogni giorno dalle agenzie di informazione internazionale; il presidente eritreo Isayas Afewerki adduce giustamente tutta la responsabilità all’ONU, colpevole di non aver fatto rispettare le decisioni della suddetta commissione. Personalmente, però, non condivido la modalità delle trattative che hanno portato alla espulsione dei caschi blu europei e nord-americani dall’Eritrea, inoltre sono giunte in questi giorni notizie circa l’arresto di personale ONU di nazionalità eritrea. Questa situazione tiene il Paese paralizzato, tutte le forze economiche e umane sono concentrare a favore dell’esercito e nell’impiego delle armi; come già sapete, chiunque è al di sotto dei 40 anni, è obbligato a prestare un fantomatico servizio militare. È improbabile pensare al futuro di un Paese, quando il proprio capitale umano è dentro le caserme. Per questo insistiamo affinché la comunità internazionale si impegni ad intervenire al più presto, anche perché a qualcuno può far comodo questo momento di stasi per fare i propri interessi personali o del gruppo di schieramento, usando l’ “alibi” dell’emergenza nazionale per far tacere tutto. La comunità internazionale ha l’obbligo di intervenire con energia, affinché il popolo eritreo, che si è conquistato la sua indipendenza dopo 30 anni di guerra, non si ritrovi coinvolto in un’altra guerra apparentemente giustificata, ma che nasconde dinamiche o logiche di potere, interessi di potenze esterne ed interne dei Paesi in questione. A differenza di tanti altri Paesi colonizzati da potenze europee ai quali negli anni ‘60 fu riconosciuto il diritto all’auto determinazione con confini coloniali, noi Eritrei abbiamo dovuto lottare per 30 anni, ma non per ritrovarci di nuovo in un’altra guerra ma per vivere in pace. Il sacrificio di 30 anni di lotta del popolo eritreo per la sua libertà e indipendenza, non può e non deve rischiare di essere vanificato né da una guerra, né tanto meno da una dittatura che sta radicandosi oggi con Isayas Afewerki e i suoi sostenitori; anche in questo chiediamo che la comunità internazionale vigili e pretenda dalla classe dirigente le riforme necessarie affinché il Paese esca da una gestione militare del potere, è si arrivi ad una partecipazione di tutti in un pluralismo politico e partitico,istituendo elezioni democratiche. b. La democrazia. Oggi in Eritrea c’é tutto tranne la democrazia, é un indice il fatto che la Costituzione, votata dal popolo e redatta nel lontano 23 maggio 1997, non sia mai entrata in vigore; immaginatevi le conseguenze per un Paese che sta muovendo i suoi primi passi nel processo di sviluppo socio-economico, penalizzato anche dall’arresto arbitrario, senza un processo regolare, di 11 ministri e generali, di una decina di giornalisti, leader religiosi, oppositori e di tanti civili, ci dimostra la totale assenza dello spirito di una democrazia. La scusa di un’emergenza nazionale, vale fino a un certo punto. Possiamo guardare ad altri paesi come l’Iraq, che sta attuando il tentativo di normalizzare il proprio Paese, o come la Palestina, l’Afganistan; nessun ostacolo avrebbe il governo di procedere verso una democrazia vera, seppur graduale, dal 2000 fino ad oggi si potevano fare dei passi veramente giganti in questo senso, ma non c’è stata una volontà da parte di chi sta al potere. c. I diritti. In Eritrea oggi, a causa dell’assenza di una Costituzione, tutto diventa arbitrario, quindi anche riguardo la “giustizia”, la gente non può appellarsi a niente, infatti una serie di diritti vengono violati senza nessuna possibilità di difendersi, non c’è libertà di movimento, libertà di stampa, libertà di coscienza, oggi in Eritrea abbiamo prigionieri “di coscienza”. Ci sono sfruttamenti e violenze di ogni tipo: dai lavori forzati, ai lavori minorili, abusi sessuali sulle donne nei campi di addestramento, l’uso sistematico di tortura nelle prigioni e fucilazioni senza nessun processo regolare. d. Rapporti Italia – Eritrea. Vorrei che da questo dibattito passi un messaggio a chi governerà l’Italia, affinché il rapporto con il nostro Paese eritreo sia a sostegno del popolo e non a favore di chi opprime. Come sapete l’Eritrea è stata la colonia primogenita dell’Italia nel 1890, anno in cui furono violati gli accordi bilaterali conclusi con i vari capi eritrei, riunendo i diversi protettorati in una colonia denominata “Eritrea” (terra rossa). Fu quella la prima violazione dei doveri dell’amicizia e della fiducia che gli Eritrei sperimentarono nei loro lunghi rapporti con l’Italia. Il secondo periodo che va dall’aprile 1941 al maggio 1942, vide l’Italia impegnata ad amministrare per conto degli inglesi l’Eritrea. E furono molto più ingiusti quando ci amministrarono per procura che quando ci amministrarono per conto proprio, sembravano quasi pentiti di non essere stati più ingiusti con noi durante il periodo della loro amministrazione. Furono davvero dodici orribili mesi, a rappresentare l’Italia in Eritrea erano l’ultimo Commissario italiano in Addi Wegri, il dottor Spicace con un suo collega che risiedeva ad Addi Keyehé. Fu in questo periodo che l’Eritrea venne divisa alla maniera del Sudafrica, istituendo l’applicazione delle leggi razziali nel nostro Paese dall’Italia, questo fu un altro tradimento da parte italiana al popolo eritreo. Il terzo periodo fu quando gli inglesi volevano attuare il loro disegno di distruggere l’Eritrea, dividendola in tre parti. L’Italia era complice del piano, conosciuto dalle Nazioni Unite come il famigerato “piano Bevin-Sforza”, quest’ultimo (Sforza), quando vide che non poteva assicurarsi il ritorno dell’Eritrea all’Amministrazione del governo Italiano, volle che fosse distrutta, costituendo la città internazionale di Asmara ed annettendo l’altopiano all’Etiopia e il bassopiano al Sudan. Il quarto periodo dal 1950 in poi, fallito il “piano Bevin – Sforza”, l’Italia, visto il desiderio di indipendenza della netta maggioranza del popolo eritreo, cambiò la sua tattica nella questione coloniale a favore della “primogenita”; molti Paesi membri dell’ONU, fra i quali un gruppo di Paesi latinoamericani, sostennero la nostra causa. L’indipendenza era a portata di mano, ma improvvisamente l’Italia abbandonò l’Eritrea, per tornare alla sua tradizionale politica pro Etiopia, come l’aveva definita il conte Antonelli. L’Eritrea fu così tradita ancora una volta. L’Italia si servì dell’Eritrea per migliorare la sua debole posizione politica nel Corno d’Africa. Con i vari governi successivi, l’Italia ha sempre favorito il suo rapporto con l’Etiopia a discapito dell’Eritrea, oggi come vediamo l’Italia ha “ottimi rapporti con l’Etiopia” , come sostiene il Sottosegretario agli Affari Esteri On. Mantica; mentre con l’Eritrea il rapporto è “fortemente dialettico e qualche volta anche conflittuale”, ma questo non ha impedito all’Italia di cooperare con l’attuale governo, di invitare imprenditori italiani ad investire in Eritrea, lo testimonia la scelta della capitale Eritrea la scorsa primavera, per lanciare il “Progetto Africa”, voluto dal vice ministro al Commercio Estero On. Adolfo Urso, peccato che intanto le autorità di Asmara che controllano tutta l’economia, intralciano persino i progetti di cooperazione delle Ong italiane, sei di esse sono state espulse la settimana scorsa. Chiediamo al prossimo governo Italiano, di mantenere i rapporti e le cooperazioni, a condizione che l’Eritrea avvii le riforme necessarie, faccia entrare in vigore la Costituzione voluta dal popolo e rispetti i diritti umani. L’Italia deve attuare una politica estera che tenga conto di tutti gli aspetti, non solo del commercio estero, un paese democratico non può pensare solo agli interessi particolari dei suoi connazionali, con un regime che non riconosce i diritti umani, lo ha detto anche il sottosegretario On. Mantica alla Commissione Affari Esteri del Senato, nella seduta del 1° febbraio 2006. Noi auspichiamo che l’Italia voglia impegnarsi per sostenere la causa del Popolo eritreo su due fronti: * la questione del confine con l’Etiopia, sollecitando la comunità internazionale, * la questione interna, sollecitando una politica di riforme per il rispetto dei diritti umani, facendo pressione al regime. Grazie per il vostro paziente ascolto.