Ripetutamente
mi chiedo che cosa sia l’amore e in quali forme estetiche e intrinseche
quest’ultimo si possa realmente tradurre. Normalmente non trovo alcuna risposta
sensata nel visualizzare post contenenti immagini e aforismi che lasciano
trasparire un’ampia percentuale di superficialità ed esibizionismo. Volendo
trattare questa specifica e delicata area tematica non riuscivo a trovare alcun
motivo che fosse d’ispirazione, alcun evento che realmente potesse aiutarmi nel
modesto intento preposto di redigere e fissare definitivamente un pensiero, fino
a quando la sorte, accompagnandomi amorevolmente per mano, mi ha fatto scoprire
una straordinaria e stupenda storia d’amore che fonda le sue radici su una
concezione di vita prettamente diversa da quella adottata dalla maggior parte
dei soggetti che popolano la nostra ordinaria società contemporanea: un sistema
di pensiero e d’azione assolutamente resiliente. Destinity e Israel, questi i nomi
dei protagonisti della mia narrazione. Non due personaggi frutto
dell’immaginazione e del processo di invenzione personale. Due volti, due cuori
e due anime realmente esistite. Madre e Figlio. Con il termine “resilienza” in
ambito psicologico s’intende la capacità di un individuo ad affrontare e
superare un evento traumatico o un periodo di estrema difficoltà opponendo un dosaggio
di resistenza tale da permette a quest’ultimo di sopravvivere, continuando il proprio
cammino, ossia l’intricato percorso che giunge alla scoperta del Senso della
Vita. Questo fu lo spirito critico e l’atteggiamento assunto da Destinity,
consapevole della caducità della propria condizione esistenziale e del pericolo
nel quale il figlio, Israel, avrebbe potuto incorrere se la madre non avesse
immediatamente preso adeguati e idonei provvedimenti che nel corso
dell’incedere del tempo avrebbero permesso al figliuolo di cominciare a godere
di maggiori diritti, rivelando le scelte della donna di notevole intuizione.
Malata ormai
da tempo, Destinity incominciò a pensare che lo Stato nel quale viveva con la
sua famiglia non avrebbe potuto certamente essere il migliore per la crescita e
lo sviluppo culturale di suo figlio, prossimo alla nascita. Il 9 febbraio 2018, al settimo
mese di gravidanza, presa dalla disperazione, tentò la traversata del Colle
della Scala, impiegando tutte le forze fisiche per compiere questa impresa
titanica. Non era da sola, ad accompagnarla il marito nigeriano, anch'egli richiedente
asilo politico. Senza alcun ritegno, dopo esser stati intercettati dalla
gendarmeria francese vennero immediatamente riportati in Italia con un atto di
inaudita e feroce violenza morale, come descrive anche Paolo Narcisi,
presidente dell'associazione “Rainbow 4 Africa” che dall'inizio dell'inverno ha
assistito almeno un migliaio di migranti a Bardonecchia: “Li hanno lasciati
davanti alla saletta di Bardonecchia senza nemmeno bussare alla dottoressa che
era di turno all'interno”.
Destinity,
31 anni, stava male. Non riusciva a respirare e nemmeno a stare seduta a causa
di un linfoma che da diversi mesi stava mettendo a dura propria la giovane, che
da qualche minuto giaceva stremata al suolo, avvolta dal gelo rafforzato dalle
forti raffiche di vento che si abbattevano ferocemente contro il suo corpo e il suo ventre
materno. La donna è stata successivamente trasportata in ospedale prima a
Rivoli e poi al Sant'Anna di Torino, dove è rimasta ricoverata per oltre un mese.
Nonostante le cure offerte dal personale medico della struttura sanitaria nella quale era ricoverata, Destinity morì
poche istanti dopo aver dato alla luce il piccolo Israel, un grazioso pargolo
che al momento del parto pesava meno di un chilo.
"Le
autorità francesi sembrano avere dimenticato l'umanità - dice Narcisi - I
corrieri trattano meglio i loro pacchi". I gendarmi, anziché accompagnarla
al vicino ospedale di Briancon, l'hanno scaricata davanti alla stazione di
Bardonecchia come un pacco postale".
A
rincuorarci, le notizie che vengono fornite dai dottori: “Il bambino ora pesa
quasi novecento grammi. All'inizio ha avuto bisogno di assistenza durante il
processo respiratorio ma attualmente sembra che il quadro clinico del paziente
si stia stabilendo, presentando parametri accettabili. Sta diventando
progressivamente sempre più autonomo e nel complesso possiamo definirci ottimisti,
nonostante sembra prospettarsi un processo di cure particolarmente lungo.” -
spiega Enrico Bertino del reparto ospedaliero di neonatologia.
Adesso, dopo
aver delineato un quadro prospettico adatto a includere molteplici fattori che
ci consentano di utilizzare una chiave interpretativa tramite la quale definire
con assoluta e meticolosa precisione il contesto narrato, compiamo un passo
indietro soffermandoci sulla frase precedentemente riportata: “I corrieri
trattano meglio i loro pacchi”. Alla mente ritorna l’evento della scorsa
settimana, portato all’interesse della stampa nazionale da Maria Bordoli
attraverso la pubblicazione di un articolo intitolato: “Può il Sindaco spedire
a Milano dodici immigrati?”, il quale narrava: “Leggo che il Sindaco di
Gallarate ha messo sul treno dodici immigrati irregolari spedendoli,
letteralmente, a Milano. Premesso che penso che il problema degli irregolari
esista e che vada affrontato con spirito realistico e non con una dose
eccessiva di buonismo, mi chiedo se questo comportamento sia consentito dalla
Legge. Di questo passo, qualunque primo cittadino potrebbe comportarsi nello
stesso modo”.
Ritornando
alla riflessione principale, credo che ognuno di Noi, prima di addormentarsi abbia l’onore
di pensare, anche solo per una frazione di secondo che, a pochi passi dal
proprio letto, nel quale è possibile assaporare e gustare il caldo tepore
scaturito dalle confortevoli coperte di cotone, in quel preciso istante vi sono
tantissimi Destinity e Israel che cercano solo di raggiungere la salvezza: chi
oltrepassando un confine segnato da barriere architettoniche naturali come in
questo caso, chi attraversando il mare sopra un gommone (Cavalcando le onde
seduti a cavalcioni sopra le cosiddette “carrette”, così come vengono definite
le misere imbarcazioni utilizzate dai migranti per compiere il "Viaggio della
Speranza") che sta maledettamente imbarcando acqua da tutte le parti mentre si
levano all'immobile, attonito e impotente firmamento grida di dolore, chi arrampicandosi
su muri e staccionate ancorati al terreno che separano uno Stato dall'altro,
una città dall'altra, un quartiere dall'altro, un fratello dall'altro. Sono
ormai lontani i tempi del Muro di Berlino e della guerra fredda, di questo
dovremmo incominciare ad accorgercene. Tra l’anno 1989 e il 2018 intercorre certamente
un lasso temporale particolarmente tangibile e cospicuo eppure sembra che i
comportamenti sociali uniti in perfetto connubio con l’odio razziale e
divisorio siano rimasti pressoché immutati, nonostante il lento scorrere delle
stagioni. Nell'era in cui viviamo, il nostro dispositivo mobile cellulare ci
consente di rimanere sintonizzati con piattaforme sociali online attraverso le
quali avviene una continua e perpetua condivisione di materiale digitale. Ma
nella vita reale, siamo davvero sicuri di essere in grado di condividere
passioni, sentimenti, emozioni, sensazioni e dolori? Nella vita reale siamo
davvero propensi a supportare un nostro fratello? Disposti a porre un like, un’emoticon
o una reaction in segno di apprezzamento, molto spesso ci rifiutiamo visibilmente
di tendere una mano al prossimo che stramazza al suolo, chiedendo miseramente
pietà. A volte, forse, basterebbe svincolarci dalla realtà virtuale, uscire
dalla perenne schermata da videogame che contraddistingue il nostro vivere
monotono per capire che in qualche parte del mondo vi sono tantissimi bambini
come Israel e tantissime mamme come Destinity che stanno implorando il nostro
aiuto che probabilmente non giungerà mai o cadrà nel distaccato, attonito e
freddo rifiuto tipico di un mondo disumano. Mi chiedo, quindi, quale potrebbe
essere il giudizio che le future generazioni attribuiranno al nostro operato
inattivo, ma essendo un provocatore accanito e un amante delle domande
retoriche chiudo la mia trattazione con un aforisma di Alessandro Manzoni che
continua a trasmetterci un forte e simbolico messaggio da ben 197 anni: “Ai posteri, l’ardua
sentenza”.
Francesco Pivetta