mercoledì 7 ottobre 2009
In fuga dall’Eritrea, lo Stato prigione
Libertà oppresse, Chiese sottomesse o perseguitate, obblighi di leva senza fine. Ecco perché tutti cercano di scappare dall’Urss africana
Fra i temi dell’assemblea speciale del Sinodo per l’Africa che si è aperto domenica scorsa c’è anche il servizio che la Chiesa cattolica può rendere alla giustizia nel continente. Su questo punto ai padri sinodali il lavoro non mancherà certo: dalle violenze nella regione dei Grandi Laghi agli orrori della Somalia, del Darfur e della Guinea, dalla voracità delle élite predatorie di tanti paesi alla condizione ovunque subordinata della donna, in Africa le ingiustizie politiche e sociali abbondano. C’è però un caso che meriterebbe di essere considerato con speciale attenzione ma rischia di passare in secondo piano perché riguarda un piccolo stato: è quello dell’Eritrea. Paese che in materia di ingiustizia politica e diritti violati colleziona una serie di record. È l’ultimo nella classifica mondiale della libertà di stampa e comunicazione, dietro a Corea del Nord, Turkmenistan, Birmania e Cuba. Dal giorno della sua nascita (nel 1993) è governato da un partito unico che non ha permesso che entrasse mai in vigore la Costituzione, piuttosto garantista, redatta poco dopo, né che mai si tenessero elezioni politiche dopo il referendum per l’indipendenza. In rapporto al numero degli abitanti (4 milioni scarsi di persone), l’Eritrea è il paese col maggior numero di coscritti nell’esercito (400 mila circa, cioè il 10 per cento dei cittadini, in parte destinati ai lavori forzati e a varie forme di lavoro non pagato) e col maggior numero di prigionieri di coscienza: calcolando anche i numerosi disertori dell’esercito che cercano di sfuggire l’attuale ferma illimitata, il totale sarebbe di 40 mila circa secondo Christian Solidarity Worldwide e Human Rights Watch, cioè l’1 per cento della popolazione.
Ma oltre a tutto questo, l’Eritrea è anche il paese africano col maggior numero di cristiani incarcerati esclusivamente a causa della pratica della loro fede (fra i 2 e i 3 mila a seconda delle fonti), e dove il governo controlla pienamente le due principali confessioni (il cristianesimo copto ortodosso e l’islam) essendosi pesantemente ingerito nella nomina delle gerarchie religiose. Ora, il Sinodo di Roma è Sinodo della Chiesa cattolica, alla quale in Eritrea aderisce il 4 per cento appena degli abitanti, mentre i cristiani incarcerati e torturati per la loro fede sono nella quasi totalità protestanti evangelici (tranne i luterani storici, anch’essi normalizzati) e pentecostali, e la Chiesa i cui vertici sono stati manipolati dal potere è quella copto ortodossa; però bisogna anche dire che la piccola Chiesa cattolica eritrea ha coraggiosamente preso le distanze dai provvedimenti del governo che sono sfociati nella persecuzione dei protestanti e nell’irregimentazione dei copti ortodossi e dei musulmani, e che per questa e altre ragioni oggi essa stessa è l’oggetto di pressioni e di tentativi di annientamento. E inoltre nessun buon cattolico potrebbe mai assistere inerte allo spettacolo attualmente in corso in Eritrea: cristiani imprigionati e torturati per costringerli ad abiurare la propria fede e aderire a un’altra, in questo caso quella della Chiesa copta ortodossa irregimentata. Perché questo è ciò che sta succedendo in questi giorni nell’ex prima colonia italiana in Africa: cristiani evangelici e pentecostali vengono detenuti in prigioni sotterranee o in container esposti al sole, legati o ammanettati braccia e gambe dietro la schiena e faccia a terra, picchiati a sangue, privati di cibo e cure mediche, il tutto per far loro abiurare la fede cristiana. Toccante è il racconto che ne ha fatto la cantautrice Helen Berhane, fedele della Rhema Church, esule in Danimarca dopo due anni e mezzo di prigionia dentro a un container rovente e di torture che l’hanno lasciata semiparalizzata alle gambe nonostante la giovane età (35 anni). Nei primi sette mesi del 2009 già tre cristiani eritrei imprigionati sono deceduti per maltrattamenti e mancate cure.
Traditore chi crede nei miracoli
Tutto questo è cominciato nel 1995, quando il governo del Fronte popolare per la democrazia e la giustizia, erede del Fronte popolare di liberazione dell’Eritrea (Fple) che aveva guidato la trentennale lotta per l’indipendenza dall’Etiopia, emise un decreto che stabiliva che nel paese sarebbero stati ammessi solo quattro culti: il copto ortodosso, l’islamico, il cattolico romano e il protestante luterano. L’Fple, di estrazione marxista-leninista benché l’Unione Sovietica durante la guerra appoggiasse l’Etiopia, negli anni della guerriglia aveva cercato di imporre il socialismo scientifico ateo come sola visione del mondo, ma il realismo lo spinse a riconoscere l’esistenza della religione nell’Eritrea indipendente. In base a un numero limitato di culti, però: per non favorire nuove divisioni all’interno del popolo in aggiunta a quelle già esistenti e consolidate, e per potere nel tempo più facilmente prendere il controllo di queste istituzioni. Dopo la guerra del 1998-2000 con l’Etiopia, che tanti danni ha causato all’uno e all’altro paese, la difesa dell’unità della nazione e del popolo è diventata un’ossessione paranoica. Gruppi politicamente innocui come i testimoni di Geova sono diventati improvvisamente, a causa della loro ostilità al servizio militare, traditori della nazione, mentre il pullulare di congregazioni pentecostali di origine americana è stato visto come un attentato all’unità del popolo eterodiretto dagli imperialisti americani, anche se le loro principali attività parevano essere il canto sacro, la lettura della Bibbia e l’invocazione di miracoli. Nel 2002 il governo emise un decreto con cui imponeva ai gruppi non coincidenti con i quattro culti ammessi di registrarsi presso l’ufficio per gli affari religiosi. Era una trappola: le informazioni richieste per la registrazione (indicazione delle sedi, dei nomi degli aderenti, delle modalità di finanziamento, eccetera) sono servite per la persecuzione capillare degli incauti richiedenti.
I protestanti si cerca di costringerli ad aderire alla Chiesa copta ortodossa. Questa il governo se l’è infeudata prima creando e nominando una figura di amministratore laico che presto è entrato in conflitto col patriarca Antonios; poi mettendo agli arresti domiciliari quest’ultimo e destituendolo con l’ausilio di un sinodo segreto manovrato dalle autorità che lo ha rimosso con l’accusa di eresia. A lui è succeduto un nuovo patriarca, lealissimo al governo, considerato un rinnegato dalla maggior parte dei credenti copti ortodossi. L’obiettivo ideale e non tanto segreto del governo eritreo è di assorbire nella Chiesa copta ortodossa normalizzata tutte le chiese cristiane, compresa la Chiesa cattolica, l’unica che ancora può dichiarare un’orgogliosa autonomia dal potere. Per questo da tempo il governo ha avviato una politica volta a indebolirla quanto più possibile.
Niente visto ai missionari
Già nel 1995 il governo ha emesso un decreto nel quale si statuiva che le Chiese dovevano limitarsi alla pratica del culto religioso e rinunciare sia alle attività di servizio sociale, che spettavano allo Stato, sia a finanziamenti dall’estero, da sostituirsi con fondi statali. Due anni dopo le autorità sono passate dalle parole ai fatti, ma mentre la Chiesa luterana ha consegnato immediatamente le sue opere sociali, la gerarchia cattolica ha opposto resistenza con successo. Dieci anni dopo (2007) il governo è tornato all’offensiva con un nuovo decreto che avrebbe dovuto nazionalizzare, nel giro di due settimane, 50 scuole, 25 ambulatori e centri di salute, 60 asili infantili e alcune attività economiche appartenenti alla Chiesa cattolica. Anche stavolta l’operazione non è andata in porto, tranne che per un’azienda agricola, una scuola e un asilo della città di Assab che sono stati espropriati. Altro fronte di battaglia è il servizio militare: dopo la guerra del 1998-2000 la ferma è diventata illimitata, ed è questa la prima causa delle ondate di profughi eritrei che arrivano sulle coste della Sicilia. Ora il governo vorrebbe cancellare l’esenzione per il personale religioso. A mo’ di compromesso la Chiesa cattolica ha offerto i suoi seminaristi per un anno di servizio civile: con la solità slealtà, il governo prima ha accettato la proposta, poi scaduto l’anno ha trattenuto i giovani cattolici nel servizio anziché congedarli. Per finire, il governo di Asmara ha deciso di isolare la Chiesa cattolica eritrea da quella universale: due anni fa non ha rinnovato il visto a 14 missionari stranieri, che pertanto hanno dovuto abbandonare il paese, e da tre anni non permette ai religiosi eritrei di andare a perfezionarsi presso le università pontificie di Roma o di partire come missionari all’estero. Forse anche loro dovranno salire sui barconi che salpano dalla Libia, come gli altri poveri diavoli eritrei.
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