lunedì 19 luglio 2010
Gheddafi chiude i Cie libici. E l'Europa fa finta di niente
La notizia è di quelle grosse ma a parte i siti dedicati all'argomento (che giustamente ne sottolineano più le ombre che le luci) la notizia non ha trovato ospitalità praticamente su nessun portale o canale del mainstream.
A occuparsi della vicenda c'è solo Il Manifesto.
Con una mossa a sorpresa Gheddafi ha ordinato sabato la chiusura dei campi d'internamento libici e la liberazione dei 3000 detenuti che li popolavano, tra cui gli eritrei protagonisti dell'ultima tragica vicenda che ha fatto alzare la voce all'Unioe Europea.
Se il Colonnello non è nuovo a mosse a a sorpresa, che ne hanno scandito tutta la biografia personale e politica, quella messa in atto nel week-end potrebbe avere effetti decisivi, mandando all'aria anni di accordi bi-laterali, facendo venir meno il ruolo libico di gendarme meridionale dell'Europa Fortezza e rinviando alla stessa Europa la responsabilità prima sui destini di milioni di uomini e donne che cercano anno dopo anno di varcarne i confini.
Certo si tratta di una libertà molto sui generis, che ricalca nelle disposizioni minute molte dei dispositivi europei di gestione dei migranti: 3 mesi di libertà per trovare un posto di lavoro, l'impossibilità in molti casi di uscire dalla città che li "ospitava"... come il caso degli eritrei che da 2 giorni dormono per strada a Sebha, affamati e senza possibilità di migrare altrove, attendendo l'insperata concessioni del diritto d'asilo internazionale.
Certo la scelta del presidente libico sembra esser stata dettata soprattutto dal fastidio provocato dai richiami europei sui diritti umani dei campi libici e non da un generale ravvedimento sulle politiche dei transitanti il suolo libico. Probabilmente nuove e succose "offerte" ristabiliranno ruoli consolidati.
Nondimeno (almeno per ora) l'iniziativa è destinata ad avere effetti e riproporre l'annosa questione ad un Unione Europea ipocrita e pilatesca che appalta il lavoro sporco ad altri per poi riprenderli perché non usano le buone maniere.
Staremo a vedere!
tratto da www.infoaut.org
19 luglio 2010
L'intervista a Angelo Del Boca su Il Manifesto di domenica 18 luglio:
«Finita la vergogna dei lager, per Roma è uno schiaffo»
Intervista di Tommaso Di Francesco
«È un sonoro schiaffo all'Italia», così reagisce alla notizia delle decisione della Libia di chiudere tutti i campi di detenzione per immigrati Angelo del Boca, lo storico del colonialismo che aveva denunciato l'esistenza dei campi di detenzione come «nuovi campi di concentramento» all'ultimo convegno di storia italo-libico; e sulla vicenda dei 204 immigrati eritrei deportati fino a Braq, si era appellato al figlio di Gheddafi Seif Al Islam, l'uomo che sta scrivendo la Costituzione libica e che ha mostrato gesti di apertura verso gli oppositori politici.
Come giudichi questa decisione del leader libico Gheddafi, confermata dall'ambasciatore libico in Italia Hafed Gaddur?
La notizia è di estrema importanza, perché chiude il capitolo ignobile dei campi di raccolta, che poi altro non sono - ora speriamo di dire non erano - che campi di concentramento per i disperati in fuga dall'Africa interna che premono dal grande Sahara su Tripoli. Anche di questi campi è in massima parte responsabile l'Italia, come è dimostrato dalla medesima pratica dei Cie e dagli stessi problemi e polemiche che abbiamo avuto. Sarebbe importante sapere se quello di Gheddafi è l'atto di un autocrate che decide della vita e della morte dei suoi ospiti - ospiti della sua Africa - oppure è un ripensamento vero ed umano. La scelta corrisponderebbe alla sua tempra umana: perché, dopo un'inchiesta rapida che avrebbe dimostrato l'inutilità dei centri di raccolta, altrettanto rapidamente ha preso la decisione di chiuderli.
Quali problemi apre questa decisione al Trattato Italia-Libia di due anni fa, dove non c'era menzione dei campi di detenzione ma la Libia s'impegnava a «contenere l'immigrazione clandestina»?
Per l'Italia è uno schiaffo. Perché una delle chiavi di volta, oltre al pattugliamento a mare con arrivo di motovedette italiane, era proprio questo sistema di veri e propri lager. Ora non è che la disperazione che spinge popoli interi dal Sahara verso Tripoli finirà. È decisivo capire la conclusione dalla vicenda dei 205 eritrei. Dove andranno i nigeriani liberati dai campi e dove tutti gli altri? Gli eritrei, dopo una forte pressione internazionale e la battaglia di voci libere come il manifesto, sono stati liberati a Braq, possono fare, entro tre mesi quello che vogliono, ma intanto non possono lasciare Seba. E qualora arrivassero a Tripoli, dove potranno mai arrivare ora e quante volte il tempo della loro libertà «entro tre mesi» sarà scaduto? Ecco dunque che l'Italia, che li ha respinti in acque internazionali senza identificarli come avrebbe dovuto, è richiamata subito in causa: perché devono essere ospitati da un paese terzo che riconosce i diritti umani.
Forse il cosiddetto contenimento troverà altre forme. C'è la Finmeccanica che sta per avviare la costruzione di un mega-muro tecnologico ai confini del Sahara per fermare i nostri «clandestini»...
Sì, c'è anche questa ulteriore mostruosità della Finmeccanica da denunciare. Ma subito l'Italia deve dare una risposta alla decisione di Tripoli, basta chiacchiere del ministro Frattini. Se il sottosegretario Stefania Craxi ha dato la disponibilità ad ospitare temporaneamente una parte dei disperati eritrei di Braq, si passi subito a ospitarli. Il governo Berlusconi prenda un'iniziativa chiara. E l'opposizione - che, senza tanto per il sottile, aveva dato il suo assenso al Trattato Italia-Libia solo perché risolveva l'annoso contenzioso coloniale - se esiste davvero, su questo alzi la voce immediatamente. I diritti umani non possono essere scambiati con la memoria della lotta anticoloniale e ora valgono quanto, se non più, la lotta al potere di un governo corrotto e colluso. E invece nessuno in Italia propone un piano chiaro. Può sembrare incredibile, ma lo sta facendo Gheddafi.
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