domenica 4 luglio 2010
Il grido dal lager di Gheddafi «Stiamo morendo, salvateci»
di Umberto De Giovannangeli
Un appello disperato. Una richiesta di aiuto che non deve essere lasciata cadere nel vuoto. «Stiamo morendo di fame e di sete». Rinchiusi in 90 in una stanzetta. Ammassati come sardine. Picchiati ogni due ore. Senza nulla per coprirsi. L’aria è irrespirabile. A rompere un silenzio agghiacciante sono i lamenti dei feriti. Sempre più flebili, con il passare delle ore. Don Mussie Zerai ha la voce incrinata dalla commozione nel raccontare a l’Unità l’ultimo colloquio telefonico avuto, l’altra notte dopo le 22:00, con uno dei 245 eritrei rinchiusi nel Centro di Detenzione di Brak, nella valle dello Shaty, nel Sud della Libia, a circa 75 chilometri da Sebha.
Le percosse
«Stiamo morendo di fame e di sete, mi hanno raccontato - dice Zerai, sacerdote e responsabile dell’agenzia Habesha, Ong che si occupa dell’accoglienza dei migranti africani -. Ogni due ore - prosegue la testimonianza ricevuta dal sacerdote - veniamo percossi e malmenati».
Nessuno può dire: non sapevo. Nessuno. Soprattutto chi esalta - vero Maroni?, vero Frattini?, vero Berlusconi? - l’Accordo di cooperazione sottoscritto due estati fa dal Cavaliere e dal Colonnello. Grazie a Mussie Zerai, questa umanità sofferente acquista voce. E chiede giustizia. Invoca aiuto. Implora: non lasciateci soli. Soli e in balia di poliziotti trasformatisi in aguzzini. Parlano attraverso don Zerai. E raccontano che l’inferno può essere una stanzetta senza luce, soffocante, dove sono rinchiusi in novanta. «C’è solo una piccola feritoia dove filtra un po’ di luce e di aria..». Il resto è avvolto nel buio. Buio come il loro presente. Buio come il loro futuro. «Non c’è spazio per stenderci. Siamo ammassati come sardine. Non abbiamo nulla per coprirci». Molti di loro sono privi di indumenti. «Quando sono arrivati a Sebha, dopo un viaggio di mille chilometri - dice don Zerai - hanno ricevuto pochissima acqua e ancor meno cibo. Non bastava per tutti. Allora hanno deciso di darlo alle persone più deboli...». Un sacrificio che fa onore a chi è stato spogliato di ogni.
02 luglio 2010
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