martedì 17 agosto 2010
Strage al confine con Israele, sei migranti abbattuti a raffiche di mitra
EGITTO
Quattro assassinati dai trafficanti di esseri umani e due dalle guardie egiziane alla frontiera, una tra le più insanguinate del mondo
È la strage di migranti più grave avvenuta nel Sinai, almeno di quelle note in questi ultimi anni. Sei eritrei, fra cui una donna, sono stati uccisi ieri nei pressi della frontiera tra Israele ed Egitto: quattro assassinati dai trafficanti di esseri umani dai quali tentavano di fuggire, due uccisi dai poliziotti di frontiera egiziani. Altri 22 migranti, fra quali alcuni etiopi, sono stati catturati o si sono consegnati alla polizia. A riferirlo le autorità del Cairo, rettificando le prime notizie che parlavano di raffiche dei militari israeliani lungo il confine.
Quest'ultimo massacro nel Sinai conferma che la frontiera tra Israele ed Egitto è una delle più insaguinate al mondo. Gli eritrei arrestati hanno raccontato alla polizia che i trafficanti non erano riusciti al primo tentativo a farli entrare clandestinamente in Israele e per effettuarne un secondo avevano chiesto più denaro. I migranti hanno protestato ma sono stati sequestrati e minacciati di morte. Un giovane eritreo è riuscito ad impadronirsi della pistola di uno dei «carcerieri» e a liberare i suoi compagni. Subito dopo i trafficanti hanno cominciato una caccia all'uomo spietata, abbattendo a raffiche di mitra quattro migranti. Ad uccidere altri due eritrei a ridosso del confine con Israele è stata la guardia di frontiera egiziana, che quest'anno ha già colpito a morte 24 africani (l'anno scorso furono 19). Parecchi di quelli che riescono a trovare un varco nei 240 chilometri di confine con lo Stato ebraico - dove il governo di Netanyahu intende costruire un muro - vanno ad Eilat, città turistica dove è più facile trovare un lavoro, poi provano a arrivare a Tel Aviv.
Il Cairo non muove un dito per fermare i trafficanti di esseri umani che promettono ad eritrei, etiopi e sudanesi un ingresso «facile» in Israele. Si limita ad ordinare ai suoi soldati di fare fuoco senza esitare, come hanno denunciato Amnesty International e Human Rights Watch. Lo scorso anno in risposta alla critiche, il portavoce del ministero degli affari esteri egiziano, Houssam Zaki, difese l'uso della forza letale. «Abbiamo il diritto e il dovere di proteggere la frontiera del nostro paese dalla criminalità, dal traffico di armi e dal contrabbando», dichiarò Zaki, aggiungendo che i migranti uccisi «non avevano rispettato l'intimazione a fermarsi». Più esplicito fu sulle pagine del quotidiano al Masry al Youm, il governatore del Sinai, generale Mohammed Shousha. «Non è sbagliato aprire il fuoco - disse - perché intimare l'alt non serve a molto, quelli (i migranti) non si fermano».
Secondo l'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati, nel 2009 da 2 a 3 milioni di sudanesi, in buona parte migranti ma anche rifugiati, si trovavano in Egitto.Molti eritrei, etiopi e sudanesi provano ad andare in Israele. Sanno di poter morire ma non rinunciano ad infiltrarsi in quello che considerano un pezzo d'Europa. Chi viene arrestato nel migliore dei casi finisce nelle carceri di Burg al Arab ad Alessandria e Qanater al Cairo. Nel peggiore in quelle durissime el-Arish, Rafah, Hurghada, Shallal, Aswan.
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