giovedì 27 ottobre 2011

Il dramma dei profughi africani ostaggi dei beduini nel Sinai egiziano si consuma nel silenzio, complice e colpevole, della comunità internazionale.

Nel novembre del 2010 venne alla luce il dramma di alcune centinaia di profughi africani caduti nelle mani di beduini nel Sinai, nell’area al confine tra Egitto ed Israele. Si stima che in totale siano non meno di 500. Uomini, donne e bambini distribuiti in una decina di gruppi. Si tratta di persone di diversa nazionalità, eritrei, etiopi, somali e del Darfur ossia sudanesi, che erano in fuga dai loro Paesi sconvolti dalle carestie e dalle guerre. Povera gente che pagando circa 2mila dollari a testa si erano affidati a questi uomini per essere portati clandestinamente in Israele attraverso l’Egitto. Però, questi si sono poi, rivelati predoni dediti al traffico di esseri umani per rifornire il mercato della schiavitù, della pedofilia, della prostituzione e quello degli organi umani. Una volta caduti nelle mani di questi uomini senza scrupolo e senza un’anima, che sono padroni assoluti dell’area di confine del Sinai, si è consumato il loro dramma.
Ora quei banditi chiedono un riscatto in cambio del loro rilascio. Chi finora, si è ribellato a questa ulteriore vessazione è stato barbaramente ucciso. Però, non stanno nemmeno bene coloro che hanno accettato di pagare. Essi sono tenuti prigionieri nel deserto egiziano e trattati come bestie. Il loro dramma cesserà quando verrà pagato, ai banditi, il prezzo della loro libertà. Un prezzo che è stato stimato mediamente di circa 8-10mila dollari per gli ostaggi di nazionalità eritrei ed etiopi, mentre di 1000-2000 dollari per quelli somali e sudanesi.
La modalità del pagamento del riscatto è sempre la stessa. Ai parenti viene chiesto di versare a più riprese quote di 300 o 500 dollari tramite agenzia di money transfer Western Union. Una forma di pagamento quella scelta che è difficilmente rintracciabile, perché una volta versato, e sempre a beneficiari diversi, il denaro può essere incassato in qualsiasi città all'interno dell'Egitto.
Finora alcune decine di profughi hanno già pagato e sono stati rilasciati in territorio israeliano. Gli altri, i loro carcerieri, per ammazzare l’attesa, li sottopongono a torture e vessazioni di ogni genere con ferri roventi, batterie e cavi elettrici, coltelli e pezzi acuminati di vetro. Sono stati denunciati anche casi di abusi sessuali sulle donne che subiscono quotidianamente violentissimi stupri di gruppo. I predoni hanno l’abitudine che durante la tortura contattano telefonicamente i familiari degli ostaggi restati a casa o che già si trovano stabilmente a lavorare e vivere in qualche altra parte del mondo. Questo ha lo scopo di far loro ascoltare le grida di sofferenza dei loro cari e spingerli al pagamento del riscatto. I familiari sono spesso costretti a vendere tutti i loro averi o a chiedere dei prestiti per mettere insieme la somma richiesta.
Secondo diverse Ong locali la responsabilità del traffico di esseri umani è attribuita alle tribù beduine della zona di Rafah. Si tratta di ben 12 tribù che annoverano tra i loro ranghi oltre 600mila beduini. Di queste le più potenti sono quelle dei Sawarka e dei Rashaida. Tribù che operano alla luce del sole forti della loro impunità e perché il Sinai è una terra di nessuno.
Tra questi profughi vi sono anche quelli fuggiti dalla Libia per evitare di finire nelle carceri-lager di Al Braq e Misratah, destinate dal regime libico ai migranti in attesa di deportazione.
Immediatamente venne sollecitato l'intervento degli organismi internazionali che pongono i diritti umani alla base della loro attività come le Nazioni Unite. L’intento era che si indagasse su questa vicenda. Condannando inoltre, l’inerzia delle autorità del Cairo e di Tel Avviv che sembrano non accorgersi che lungo i loro confini vi è in atto una forte attività destabilizzante per entrambi. L’ignorare questa situazione infatti, non favorisce altro che il terrorismo internazionale, alimentato dai proventi, e i movimenti integralisti non moderati, che ne escono rafforzati. Comunque sia per oltre un anno si è cercato di non far spegnere i riflettori sulla tragedia che si stava consumando in quella parte del mondo. Però, per oltre 12 mesi, passando di mano i mano, venduti come bestie da un gruppo di beduini ad un altro, il dramma, che queste persone stanno vivendo sulla loro pelle, si è tranquillamente consumato avvolto in un complice e colpevole quanto assordante silenzio sebbene si tratti di un crimine contro l'umanità e in piena violazione della Convenzione di Ginevra sui Rifugiati.
Come se fossero dei fantasmi nessuno ha riconosciuto l'esistenza di questi profughi-ostaggi. Persino lo stesso governo egiziano, ‘titolare’ di un possibile intervento in quanto il ‘palcoscenico’ di questa triste vicenda è il Sinai egiziano, ne ha negato l’esistenza. Dimenticando però, che, nel corso degli anni, le guardie di frontiera egiziane ne hanno arrestati a centinaia. Sia l'Egitto sia Israele hanno rinchiuso i profughi arrestati in centri di espulsione in attesa di rimandarli nei Paesi di origine dove in gran parte dei casi alla meno peggio li aspetta la prigione. In alcuni casi poi, si è fatto anche ricorso all’uso delle armi da fuoco nonostante diverse direttive che invitavano gli agenti a non sparare contro migranti disarmati. Diversi profughi sono stati feriti e altri, meno fortunati, sono stati uccisi dalle guardie di frontiera. Come è accaduto nei giorni scorsi quando è stata denunciata la morte di una giovane donna eritrea di 36 anni, vedova e madre di tre bambini. La donna è stata colpita dai proiettili sparati dalle guardie di frontiera egiziana mentre tentava di attraversare il confine con Israele. Già il 17 gennaio scorso un’altra donna eritrea, di 20 anni, era stata uccisa, colpita alla schiena, mentre cercava di valicare la frontiera dello stato ebraico. La notizia è stata immediatamente ripresa dai media di tutto il mondo.
Finalmente ci si accorgeva dei profughi nel Sinai egiziano.
Però, quando sembrava che finalmente si fosse riusciti a far focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale su questa drammatica vicenda. Tutto è stato ‘oscurato’ da altre notizie che hanno conquistato le prime pagine dei media. Il mondo dimentica presto, ma loro, i profughi africani ostaggi dei trafficanti di esseri umani sono ancora li in attesa che qualcuno li salvi.
Non è dato sapere in quanti siano sopravvissuti finora agli stenti della prigionia. Quello che è certo è che sono stati torturati a morte almeno 10 di loro. Mentre sono in pericolo di vita di almeno altri 80 profughi, tra cui molte donne, una delle quali una è anche incinta, e bambini.
Questa vicenda, che è venuta alla luce in tutta la sua drammaticità, in verità va avanti d'anni. Purtroppo però, nessuna voce si è mai alzata a pretendere il rilascio di questa povera gente ostaggi nel Sinai.Tra coloro che da sempre denunciano quanto sta accadendo nel Sinai vi è un prete eritreo, don Mosè Zerai. Il sacerdote, che è il direttore dell'Agenzia Habeshia, tiene i contatti telefonici dall'Italia con alcuni degli ostaggi. “I prigionieri gridano tutta la loro disperazione al telefono, chiedono aiuto, raccontano la loro segregazione in strutture sotterranee, i continui maltrattamenti e torture con scariche elettriche, plastica fusa sulla pelle, abusi sessuali sulle donne”. Don Zerai da tempo chiede l’intervento dell'ONU e dell'Ue per stroncare questo traffico di esseri umani. “Non sono gli strumenti che mancano, ma la volontà politica degli Stati”, denuncia il direttore dell'Agenzia Habeshia. Secondo l'Agenzia ONU per i Rifugiati, Unhcr, nel 2010 si è registrato sulla frontiera egiziano-israeliano il passaggio di 38.992 profughi, mentre nel 2009 erano stati 7.574. Questo vuol dire che ora è quell’area delmondo ad essere una delle ‘vie di fuga’ più ‘gettonate’ per sfuggire al dramma della carestia e delle guerra che investono il continente africano.
Ferdinando Pelliccia

http://www.liberoreporter.it/NUKE/news.asp?id=7515

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