http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/articolo.asp?c=561439
Prosegue il dramma dei tanti rapiti nella penisola egiziana del Sinai da gruppi armati e dalle tribù locali. Per lo più si tratta di profughi, provenienti dal Sudan e dall’Eritrea, che cercano di emigrare. Quasi sempre atroce la loro sorte: nell’impossibilità di pagare un riscatto, i loro corpi vengono utilizzati per il traffico di organi umani. L'Onu, da parte sua, ha deciso di attivarsi per contrastare il fenomeno. Su questa tragedia, che è avvenuta finora in un sostanziale silenzio della comunità internazionale, Giancarlo La Vella ha intervistato don Mussie Zerai, presidente dell’associazione “Habeshia per la Cooperazione allo Sviluppo”.
R. – Quello che ci meraviglia è soprattutto il silenzio delle autorità egiziane. Abbiamo visto che, quando si è voluto, c’è stata capacità di intervento da parte dei militari egiziani, come nel caso delle turiste americane che poi sono state liberate, così come anche in quello degli operai cinesi che, grazie all’intervento militare egiziano, sono stati liberati.
D. – E’ possibile fare pressioni sulle autorità egiziane?
R. – È da un anno che noi chiediamo un aiuto per la liberazione di questi ostaggi, perché nel loro territorio si sta consumando veramente una strage: non solo ci sono rapimenti, ma anche la sofferenza di queste persone rapite, perché abbiamo dimostrato che c’è il vergognoso traffico di organi umani: spesso la gente viene fatta a pezzi per essere venduta. Dalle statistiche e nelle ricerche che abbiamo fatto tra il 2009 e il 2011 risulta che sono sparite nel nulla più di tremila persone. I rapitori chiedono fino a trentamila o quarantamila dollari a persona per il rilascio, in caso contrario si vendono i loro organi. E’ chiaro che questo business coinvolge anche chi governa a livello locale in quella zona, altrimenti non si spiega per quale ragione gli interventi per liberare e stroncare questo traffico non vadano a buon fine.
D. – Si sa qualcosa di più su quali gruppi vi siano dietro queste attività?
R. – Di certo si tratta di gruppi paramilitari o anche di movimenti legati ai beduini che lottano per l’autonomia regionale o per autofinanziarsi. Poi ci sono criminali organizzati che operano per il loro interesse personale. (bf)
Prosegue il dramma dei tanti rapiti nella penisola egiziana del Sinai da gruppi armati e dalle tribù locali. Per lo più si tratta di profughi, provenienti dal Sudan e dall’Eritrea, che cercano di emigrare. Quasi sempre atroce la loro sorte: nell’impossibilità di pagare un riscatto, i loro corpi vengono utilizzati per il traffico di organi umani. L'Onu, da parte sua, ha deciso di attivarsi per contrastare il fenomeno. Su questa tragedia, che è avvenuta finora in un sostanziale silenzio della comunità internazionale, Giancarlo La Vella ha intervistato don Mussie Zerai, presidente dell’associazione “Habeshia per la Cooperazione allo Sviluppo”.
R. – Quello che ci meraviglia è soprattutto il silenzio delle autorità egiziane. Abbiamo visto che, quando si è voluto, c’è stata capacità di intervento da parte dei militari egiziani, come nel caso delle turiste americane che poi sono state liberate, così come anche in quello degli operai cinesi che, grazie all’intervento militare egiziano, sono stati liberati.
D. – E’ possibile fare pressioni sulle autorità egiziane?
R. – È da un anno che noi chiediamo un aiuto per la liberazione di questi ostaggi, perché nel loro territorio si sta consumando veramente una strage: non solo ci sono rapimenti, ma anche la sofferenza di queste persone rapite, perché abbiamo dimostrato che c’è il vergognoso traffico di organi umani: spesso la gente viene fatta a pezzi per essere venduta. Dalle statistiche e nelle ricerche che abbiamo fatto tra il 2009 e il 2011 risulta che sono sparite nel nulla più di tremila persone. I rapitori chiedono fino a trentamila o quarantamila dollari a persona per il rilascio, in caso contrario si vendono i loro organi. E’ chiaro che questo business coinvolge anche chi governa a livello locale in quella zona, altrimenti non si spiega per quale ragione gli interventi per liberare e stroncare questo traffico non vadano a buon fine.
D. – Si sa qualcosa di più su quali gruppi vi siano dietro queste attività?
R. – Di certo si tratta di gruppi paramilitari o anche di movimenti legati ai beduini che lottano per l’autonomia regionale o per autofinanziarsi. Poi ci sono criminali organizzati che operano per il loro interesse personale. (bf)
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