mercoledì 8 febbraio 2012

La tratta del Sinai: ora si muove l’Onu


Finalmente una breccia nel muro di indifferenza che circonda i sequestri di migliaia eritrei nel Sinai e il colossale mercato di esseri umani connesso. La svolta con l’ammissione delle Nazioni Unite, le quali hanno dichiarato che il traffico esiste e comincia in Sudan, attorno ai campi dell’Alto commissariato per i rifugiati, a Shagarab, a opera dei nomadi Rashaida, per finire nel deserto di Dio a opera di predoni beduini.

E per la prima volta l’Onu e alcune Ong confermano l’esistenza di una spietata rete criminale internazionale che rapisce i profughi in Sudan e li porta in Egitto dopo una compravendita da tratta ottocentesca di schiavi, uccidendo chi è troppo povero per pagare i riscatti al fine di rivenderne gli organi sul mercato nero. Nei rapporti Onu si dice chiaramente che nella rete sono implicati alti ufficiali, militari e funzionari eritrei e sudanesi. Autorevoli conferme di quanto denuncia Avvenire da oltre un anno, con le testimonianze di decine di sopravvissuti ai rapimenti.

Per la prima volta la massima autorità mondiale dei rifugiati, l’Alto Commissario Onu Antonio Guterres, ha riconosciuto il 12 gennaio che la filiera infernale comincia a Shagarab, a 100 km dal confine con l’Eritrea, nei campi dell’Acnur, meta di almeno 2.000 giovani profughi eritrei al mese, in fuga per scampare al servizio militare a vita imposto da una dittatura crudele.

Il capo dell’Acnur ha ribadito che alcuni rapiti nel Sinai sono stati uccisi per prelevarne gli organi. E che nei campi sudanesi spariscono da anni, «con regolarità», almeno 20 persone al giorno, vale a dire un nuovo arrivo su tre . La cifra sarebbe addirittura «sottostimata». I complici dei rapitori si troverebbero nella comunità dei rifugiati, secondo Guterres. Paura e lungaggini burocratiche spingono i profughi eritrei a muoversi: l’Onu stima che l’80 per cento dei nuovi arrivati lasci i campi in due mesi per cercare opportunità economiche a Khartum, in Egitto o in Israele e cadono così nella rete. A Shagarab, in condizioni di sicurezza precarie, vivono secondo l’Onu 27.370 persone: i rapimenti rischiano di continuare per anni.

Ma chi c’è dietro l’orribile giro d’affari perpetrato sulla pelle di giovani disperati e senza voce? Ammonta a svariati milioni di dollari, difficile che sia stato ideato solo da clan di nomadi dei due deserti, Sinai e Sahara. Rashaida e Beduini ci mettono la competenza secolare nel traffico e nella compravendita di schiavi, ma non è difficile credere che la rotta che dall’Asmara porta migliaia di uomini, donne e bambini a finire incatenati nelle caverne del Sinai sia stata pensata da menti criminali raffinate e con connessioni di alto livello.
Mancavano le prove, in questo inizio di 2012 sono arrivate.

La prima testimonianza è fornita da don Mosè Zerai, il prete eritreo che per primo ha denunciato dall’Italia l’inaudito traffico: «Ho ricevuto il 15 gennaio la telefonata da 13 ragazzi in ostaggio nel Sinai. Circa un mese e mezzo fa sono stati venduti ai Rashaida dalla polizia sudanese. Una volta varcato il confine eritreo-sudanese si sono infatti consegnati loro stessi alla polizia di Hafir, vicino a Kassala, per chiedere protezione umanitaria. Gli agenti dovevano accompagnarli al campo profughi di Shagarab, invece li hanno consegnati ai trafficanti, dai quali sono stati rivenduti ai predoni del Sinai. Ora sono prigionieri da un mese e per la loro liberazione vanno pagati 25mila dollari a testa».

La seconda prova è contenuta nell’ultimo rapporto di Human Rights Watch, che cita il Gruppo di monitoraggio delle Nazioni unite su Somalia ed Eritrea, il quale ha trovato «prove del coinvolgimento di alti ufficiali eritrei nel facilitare le fughe di profughi dietro pagamento». L’Agenzia del Palazzo di Vetro parla chiaro: «il traffico è così pervasivo da non essere possibile senza la complicità del governo asmarino, specialmente degli ufficiali dell’esercito che incassano tremila dollari a persona per far attraversare il confine e 20.000 dollari a testa per il traffico di migranti verso Sudan ed Egitto». Per l’Onu le somme sono incanalate attraverso lo staff dell’ambasciata Eritrea in Sudan sul conto di una banca svizzera.

Terza prova, la testimonianza di Khataza Ghondwe, analista, dell’ong britannica Chiristian Solidarity Worldwide. «Sono gli eritrei a riscuotere i riscatti, alcuni parenti di ostaggi mi hanno confermato di aver pagato somme all’Asmara. Un anno fa mi trovavo in Kenya e parlavo con un eritreo, quando costui ha ricevuto una telefonata da suo fratello tenuto in ostaggio nel Sinai. L’uomo gli ha chiesto di pagare al più presto, fornendogli gli estremi bancari di un conto all’Asmara. Questo non sarebbe possibile senza l’assenso del regime». Perché le vittime sono soprattutto eritrei? «Perché sono i più deboli, non hanno voce e non hanno alle spalle uno Stato che cercherà di salvarli».

Per affrontare il problema, definito da Guterres «estremamente serio», l’Acnur lavorerà a un progetto di due milioni di dollari in Sudan per prevenire i sequestri con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, rafforzando la polizia sudanese con veicoli equipaggiati di telecamere, computer e migliorando la sicurezza nei campi.

L’Acnur compirà inoltre un’indagine sui rapimenti e sulle frontiere. Verrà avviata una campagna informativa destinata ai migranti. Ma per Guterres questo «non è solo un problema del Sudan perché le gang sono globali, il contrasto delle loro attività molto lucrative richiede un’azione combinata di diversi governi».
Il quadro è ancora incompleto, nessuno ha parlato delle responsabilità della polizia di frontiera egiziana e di eventuali collusioni della rete criminale con il terrorismo islamico. Ma la verità comincia ad affacciarsi, la comunità internazionale non ha più alibi.

Paolo Lambruschi

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