sabato 4 aprile 2009
I profughi “ adottati” da otto famiglie.
Elisabetta Arrighi
Due eritrei raccontano: Giulia ci ha accolto, daremo il suo nome a nostra figlia
FOLLONICA. Sono profughi, giovanissimi. Arrivano da un Paese lontano, hanno dovuto affrontare il deserto e gli scafisti che li hanno portati dalla Libia a Lampedusa. Hanno lasciato l’Eritrea e la dittatura, «per trovare un futuro migliore». Di questo Aranshi, 18 anni, un sorriso dolcissimo, è più che convinta: «Porto in grembo una bambina - racconta con la voce e con gli occhi, mentre alcuni connazionali traducono in inglese dal dialetto tigrino - Nascerà fra tre mesi: la chiamerò Giulia, perchè questo è il nome della mia amica». E Giulia, che non vuole assolutamente che sia reso noto il suo cognome, è per Aranshi come una sorella maggiore: ha un marito e due figli piccoli ed ha accolto la giovanissima eritrea e il compagno nella sua casa alla periferia di Follonica.
Il fidanzato di Aranshi si chiama Zari ed ha 23 anni: con la sua ragazza ha chiesto asilo politico e tutti e due sono in attesa di avere i documenti. Giulia e il marito Luca, che da novembre insieme a tanti altri volontari sono stati a fianco degli oltre 200 extracomunitari arrivati a Follonica un villaggio-vacanze affittato dallo Stato, sono stati fra i primi a a tendere la mano a questi giovani che hanno sulle spalle miseria, soprusi e morte.
Per Aranshi e Zari la storia potrebbe essere a lieto fine in tutti i sensi: Giulia e Luca li hanno accolti in casa da domenica dopo l’appello lanciato dal prefetto di Grosseto Francesca Cannizzo. Un appello all’accoglienza, all’«adozione» speciale in attesa dello status di rifugiati e un lavoro. Perchè Aranshi sa fare le acconciature afro e Zari è stato cameriere e panettiere. «E il pane - dice - si fa ovunque allo stesso modo».
L’«adozione» è conseguente alla scadenza della convenzione tra ministero dell’Interno e «Il veliero», il villaggio-bungalow situato fra il centro di Follonica e il mare dove gli extracomunitari - rimasti in cento dopo lo sfoltimento dei numeri iniziali - hanno vissuto negli ultimi quattro mesi e mezzo. Hanno avuto paura questi ragazzi arrivati dal Corno d’Africa, ma anche dalla Palestina e dal Burkina Faso, che una volta mandati via dal villaggio-vacanze che ora aspetta i primi turisti di Pasqua, per loro non ci fosse un nuovo futuro. Hanno protestato, hanno avuto assicurazioni: molti di loro sono stati trasferiti in una struttura vicino a Frosinone, in 32 sono ora ospitati in alcuni appartamenti nella disponibilità di Luca Marchionni, titolare del villaggio «Il Veliero». In otto hanno trovato altrettante famiglie adottive.
«E’ un modo di essere solidali con loro, con Aranshi, con Zari e con tutti gli altri - racconta Giulia, la padrona di casa, seduta al tavolo da pranzo ricoperto con una allegra tovaglia primaverile - Per ospitarli, abbiamo chiesto il permesso alla prefettura di Grosseto ed abbiamo dichiarato che sono qui da noi. La grande paura di questi ragazzi era di non poter più essere rintracciabili: come potranno trovarci se non abbiamo più una casa? come potremo avere i documenti? Ed essere accolti in famiglia sarà per loro di grande aiuto».
Mentre Giulia parla, Ermias, 29 anni, anche lui eritreo, annuisce con la testa: qualche parola d’italiano, seguendo i corsi di lingua tenuti nei mesi scorsi dalla stessa Giulia e da altri volontari (una decina in tutto), l’ha ormai imparata. Anche Ermias, per alcuni giorni, è ospite di Giulia e Luca, ma sta per trasferirsi presso un’altra famiglia follonichese.
«Vivere in una casa, sentire il calore familiare, dà a questi ragazzi un’idea della vita qua da noi, di come ci si può muovere per trovare un lavoro, di come poter organizzare il futuro - racconta Giulia - Ben diverso è stare in un centro, isolati dal resto del mondo».
Nella tristezza invernale che contraddistingue tutti i villaggi-vacanze, con i rumori e gli odori dell’estate diventati ormai un ricordo, questi profughi «hanno vissuto la sofferenza di sentirsi invisibili - dice ancora Giulia - Tanti mi hanno raccontato di come, alla fermata del bus, vedevano passare davanti il mezzo pubblico senza che si fermasse: “sembra che gli autisti non ci vedano” mi hanno ripetuto più volte. Hanno avuto tutti la sensazione di non essere i benvenuti. Ecco perchè è importante dare loro solidarietà».
All’appello del prefetto di Grosseto, oltre a quella di Luca e Giulia, hanno risposto altre due famiglie di Follonica. Poi ce ne sono state tre alla Marsiliana, una a Prata e una a Cecina. Una catena di ospitalità appena all’inizio: altri, infatti, potrebbero decidere di farsi avanti per dare una mano a chi, per ora, non ha nulla.
Aranshi, in Eritrea, era una donna-soldato: arruolamento d’ufficio, non per scelta. E’ fuggita dal peso di una dittatura che non lascia via di scampo. Zari, il suo uomo e papà della bambina che porta in grembo, è il suo domani:«Vogliamo restare in Italia», dicono.
Ermias, all’Asmara, era biologo. Poi per lui ci sono stati tre anni di lavori forzati, a spaccare legna e pietre sotto il sole. A pane e acqua tutti i giorni. Scontata la pena, è rimasto nel campo come insegnante: «Sono un perseguitato religioso perchè sono protestante. Anche mia moglie lo è: ci siamo sposati poco prima che io decidessi di attraversare il deserto per ritrovare la libertà. Spero di far arrivare anche lei».
Ermias ha pagato 1.300 dollari allo scafista che dalla costa libica lo ha portato a Lampedusa: sette giorni in mare su una barca con 233 persone. Un viaggio d’inferno, ancora di più di quello attraverso il deserto infuocato: una sosta in Libia di quattro mesi prima di affrontare la traversata.
Aranshi e Zari, invece, hanno pagato in due 1.800 dollari. Ma una prima volta, a Zari, era andata male: ha rischiato di annegare. Il barcone ha fatto naufragio e lui l’hanno ripescato dopo sei giorni. «Penso a mia figlia che nascerà fra tre mesi a Grosseto» dice. E sorride. Aranshi il colloquio a Roma per avere asilo politico l’ha già fatto, lui lo farà la prossima settimana. Aspettano fiduciosi nella casa di “mamma” Giulia e “papà” Luca.
(ha collaborato Paola Villani)
(03 aprile 2009)
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