giovedì 23 aprile 2009
INTERVISTA | di Mariangela Maturi - MILANO Parla uno dei rifugiati di Bruzzano
Paulus, dall'Eritrea in bus alla ricerca di pace e diritti
Paulus è un rifugiato politico, viene dall'Eritrea e ha trentacinque anni. Ha i capelli molto crespi e un paio di baffetti brizzolati. Parla l'italiano ma preferisce l'inglese, che sa benissimo. Quando è arrivato in Italia ha trovato lavoro nei cantieri delle ferrovie. Un giorno si è sentito dire che per lui non c'era più posto. Arrivederci e grazie. Da allora è disoccupato. La sua voce, inflessibile nel parlare di diritti, sembra piegarsi allo sconforto se gli si chiede del futuro.
Racconta, Paulus.
La mia storia è la nostra storia, la stessa di chi è qui con me. Arriviamo da vari paesi dell'Africa, da cui siamo scappati, e siamo in Italia come rifugiati politici. Io sono eritreo, e sono arrivato in Italia 4 anni fa. Per venirci ho affrontato un viaggio lunghissimo, ho preso non so quanti autobus... Ma era necessario, per proteggere la mia vita. Quindi sono partito.
E quando sei arrivato qui, cos'hai trovato?
Mi hanno dato un foglio, quello che danno a tutti, che attestava lo status di rifugiato politico. Poi, nient'altro. Vorrei sapere dove sono i fondi dell'Unione Europea per i rifugiati. Dove sono i soldi che ci spettano? Tutti noi vogliamo saperlo. Al massimo ci danno qualche mese per imparare l'italiano e trovare un lavoro, ma il resto? Lo Stato non ci aiuta, non abbiamo una casa, un lavoro, dei diritti. Non ci rispettano. Noi chiediamo solo questo, un po' di rispetto. Conosco molti ragazzi che sono qui oggi, siamo tutti rifugiati, e non abbiamo mai fatto nulla di male.
Ma il Comune di Milano sostiene che vi sono state proposte delle soluzioni, e che siete stati voi a rifiutarle.
In via Lecco, qualche anno fa, è successa la stessa cosa. Abbiamo fatto come in questi giorni, e quando la protesta si è esaurita, non è cambiato niente. Io lì non c'ero, ma so benissimo cos'è successo. Tutte le volte è la stessa storia, e anche ora siamo soli. E non fanno niente, niente. Noi proveremo ancora e ancora, chiediamo ascolto e diritti. E democrazia. Invece ci troviamo in un gioco insano, è quasi una pazzia. Siamo considerati rifugiati politici solo sulla carta, ma i nostri diritti sono ignorati.
Pensi che riuscirete a farvi ascoltare, questa volta?
Stavolta andiamo avanti, questa è la nostra decisione. Non ci facciamo strumentalizzare da nessuno. A noi non interessano le logiche di partito, capisci? Fascisti, capitalisti, comunisti, che ne so... A noi non interessano. Non vogliamo entrare nel giochetto della politica, non ci riguarda. Chiediamo solo dove sono finiti i nostri soldi e i nostri diritti.
Perché allora è andata così?
Non lo so, è stata una giornata tremenda. Incredibile, sembrava tutto capovolto. Invece che come persone oneste, la polizia ci ha trattato come cani. Come cani, capisci? Hanno deciso, pianificato di reagire così. Noi non cercavamo lo scontro.
E quell'idea di andare in Svizzera a piedi?
Ma io non voglio andare in Svizzera! Stiamo solo dicendo che potremmo andarci, che se l'Italia con noi si comporta così, meglio la Svizzera, o la Francia. Se non ci danno un posto in Italia, cancellino almeno le nostre impronte digitali, così possiamo chiedere asilo in un altro paese. Lasciateci liberi. Così siamo dei prigionieri, non dei rifugiati.
Ora che farete?
Continueremo a combattere, cos'altro? Con le manifestazioni, gli scioperi, con tutto ciò che è in nostro potere.
Si, ma a parte lottare? Dove dormi stasera?
Continueremo a cercare un posto. Uff...non lo so. Non lo so, davvero.
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