giovedì 27 ottobre 2011

Il dramma dei profughi africani ostaggi dei beduini nel Sinai egiziano si consuma nel silenzio, complice e colpevole, della comunità internazionale.

Nel novembre del 2010 venne alla luce il dramma di alcune centinaia di profughi africani caduti nelle mani di beduini nel Sinai, nell’area al confine tra Egitto ed Israele. Si stima che in totale siano non meno di 500. Uomini, donne e bambini distribuiti in una decina di gruppi. Si tratta di persone di diversa nazionalità, eritrei, etiopi, somali e del Darfur ossia sudanesi, che erano in fuga dai loro Paesi sconvolti dalle carestie e dalle guerre. Povera gente che pagando circa 2mila dollari a testa si erano affidati a questi uomini per essere portati clandestinamente in Israele attraverso l’Egitto. Però, questi si sono poi, rivelati predoni dediti al traffico di esseri umani per rifornire il mercato della schiavitù, della pedofilia, della prostituzione e quello degli organi umani. Una volta caduti nelle mani di questi uomini senza scrupolo e senza un’anima, che sono padroni assoluti dell’area di confine del Sinai, si è consumato il loro dramma.
Ora quei banditi chiedono un riscatto in cambio del loro rilascio. Chi finora, si è ribellato a questa ulteriore vessazione è stato barbaramente ucciso. Però, non stanno nemmeno bene coloro che hanno accettato di pagare. Essi sono tenuti prigionieri nel deserto egiziano e trattati come bestie. Il loro dramma cesserà quando verrà pagato, ai banditi, il prezzo della loro libertà. Un prezzo che è stato stimato mediamente di circa 8-10mila dollari per gli ostaggi di nazionalità eritrei ed etiopi, mentre di 1000-2000 dollari per quelli somali e sudanesi.
La modalità del pagamento del riscatto è sempre la stessa. Ai parenti viene chiesto di versare a più riprese quote di 300 o 500 dollari tramite agenzia di money transfer Western Union. Una forma di pagamento quella scelta che è difficilmente rintracciabile, perché una volta versato, e sempre a beneficiari diversi, il denaro può essere incassato in qualsiasi città all'interno dell'Egitto.
Finora alcune decine di profughi hanno già pagato e sono stati rilasciati in territorio israeliano. Gli altri, i loro carcerieri, per ammazzare l’attesa, li sottopongono a torture e vessazioni di ogni genere con ferri roventi, batterie e cavi elettrici, coltelli e pezzi acuminati di vetro. Sono stati denunciati anche casi di abusi sessuali sulle donne che subiscono quotidianamente violentissimi stupri di gruppo. I predoni hanno l’abitudine che durante la tortura contattano telefonicamente i familiari degli ostaggi restati a casa o che già si trovano stabilmente a lavorare e vivere in qualche altra parte del mondo. Questo ha lo scopo di far loro ascoltare le grida di sofferenza dei loro cari e spingerli al pagamento del riscatto. I familiari sono spesso costretti a vendere tutti i loro averi o a chiedere dei prestiti per mettere insieme la somma richiesta.
Secondo diverse Ong locali la responsabilità del traffico di esseri umani è attribuita alle tribù beduine della zona di Rafah. Si tratta di ben 12 tribù che annoverano tra i loro ranghi oltre 600mila beduini. Di queste le più potenti sono quelle dei Sawarka e dei Rashaida. Tribù che operano alla luce del sole forti della loro impunità e perché il Sinai è una terra di nessuno.
Tra questi profughi vi sono anche quelli fuggiti dalla Libia per evitare di finire nelle carceri-lager di Al Braq e Misratah, destinate dal regime libico ai migranti in attesa di deportazione.
Immediatamente venne sollecitato l'intervento degli organismi internazionali che pongono i diritti umani alla base della loro attività come le Nazioni Unite. L’intento era che si indagasse su questa vicenda. Condannando inoltre, l’inerzia delle autorità del Cairo e di Tel Avviv che sembrano non accorgersi che lungo i loro confini vi è in atto una forte attività destabilizzante per entrambi. L’ignorare questa situazione infatti, non favorisce altro che il terrorismo internazionale, alimentato dai proventi, e i movimenti integralisti non moderati, che ne escono rafforzati. Comunque sia per oltre un anno si è cercato di non far spegnere i riflettori sulla tragedia che si stava consumando in quella parte del mondo. Però, per oltre 12 mesi, passando di mano i mano, venduti come bestie da un gruppo di beduini ad un altro, il dramma, che queste persone stanno vivendo sulla loro pelle, si è tranquillamente consumato avvolto in un complice e colpevole quanto assordante silenzio sebbene si tratti di un crimine contro l'umanità e in piena violazione della Convenzione di Ginevra sui Rifugiati.
Come se fossero dei fantasmi nessuno ha riconosciuto l'esistenza di questi profughi-ostaggi. Persino lo stesso governo egiziano, ‘titolare’ di un possibile intervento in quanto il ‘palcoscenico’ di questa triste vicenda è il Sinai egiziano, ne ha negato l’esistenza. Dimenticando però, che, nel corso degli anni, le guardie di frontiera egiziane ne hanno arrestati a centinaia. Sia l'Egitto sia Israele hanno rinchiuso i profughi arrestati in centri di espulsione in attesa di rimandarli nei Paesi di origine dove in gran parte dei casi alla meno peggio li aspetta la prigione. In alcuni casi poi, si è fatto anche ricorso all’uso delle armi da fuoco nonostante diverse direttive che invitavano gli agenti a non sparare contro migranti disarmati. Diversi profughi sono stati feriti e altri, meno fortunati, sono stati uccisi dalle guardie di frontiera. Come è accaduto nei giorni scorsi quando è stata denunciata la morte di una giovane donna eritrea di 36 anni, vedova e madre di tre bambini. La donna è stata colpita dai proiettili sparati dalle guardie di frontiera egiziana mentre tentava di attraversare il confine con Israele. Già il 17 gennaio scorso un’altra donna eritrea, di 20 anni, era stata uccisa, colpita alla schiena, mentre cercava di valicare la frontiera dello stato ebraico. La notizia è stata immediatamente ripresa dai media di tutto il mondo.
Finalmente ci si accorgeva dei profughi nel Sinai egiziano.
Però, quando sembrava che finalmente si fosse riusciti a far focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale su questa drammatica vicenda. Tutto è stato ‘oscurato’ da altre notizie che hanno conquistato le prime pagine dei media. Il mondo dimentica presto, ma loro, i profughi africani ostaggi dei trafficanti di esseri umani sono ancora li in attesa che qualcuno li salvi.
Non è dato sapere in quanti siano sopravvissuti finora agli stenti della prigionia. Quello che è certo è che sono stati torturati a morte almeno 10 di loro. Mentre sono in pericolo di vita di almeno altri 80 profughi, tra cui molte donne, una delle quali una è anche incinta, e bambini.
Questa vicenda, che è venuta alla luce in tutta la sua drammaticità, in verità va avanti d'anni. Purtroppo però, nessuna voce si è mai alzata a pretendere il rilascio di questa povera gente ostaggi nel Sinai.Tra coloro che da sempre denunciano quanto sta accadendo nel Sinai vi è un prete eritreo, don Mosè Zerai. Il sacerdote, che è il direttore dell'Agenzia Habeshia, tiene i contatti telefonici dall'Italia con alcuni degli ostaggi. “I prigionieri gridano tutta la loro disperazione al telefono, chiedono aiuto, raccontano la loro segregazione in strutture sotterranee, i continui maltrattamenti e torture con scariche elettriche, plastica fusa sulla pelle, abusi sessuali sulle donne”. Don Zerai da tempo chiede l’intervento dell'ONU e dell'Ue per stroncare questo traffico di esseri umani. “Non sono gli strumenti che mancano, ma la volontà politica degli Stati”, denuncia il direttore dell'Agenzia Habeshia. Secondo l'Agenzia ONU per i Rifugiati, Unhcr, nel 2010 si è registrato sulla frontiera egiziano-israeliano il passaggio di 38.992 profughi, mentre nel 2009 erano stati 7.574. Questo vuol dire che ora è quell’area delmondo ad essere una delle ‘vie di fuga’ più ‘gettonate’ per sfuggire al dramma della carestia e delle guerra che investono il continente africano.
Ferdinando Pelliccia

http://www.liberoreporter.it/NUKE/news.asp?id=7515

martedì 25 ottobre 2011

Comunicato stampa. Servizio civile nazionale – Presentato un ricorso al Tribunale di Milano contro l’esclusione dei giovani stranieri


Partecipare concretamente alla vita collettiva dell’Italia maturando una propria coscienza civica grazie all’occasione fornita dal Servizio civile nazionale . E’ questo che chiede un giovane straniero che, con le associazioni ASGI (Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione) e APN (Avvocati per Niente ONLUS) , ha depositato  al Tribunale di Milano un ricorso anti-discriminazione contro l’esclusione dei cittadini stranieri dalla partecipazione al Servizio Civile Nazionale.
 Con il ricorso si intende pertanto  non rivendicare una prestazione o un servizio, ma l’ adempimento di  un diritto/dovere, quello di "difendere la patria" intesa come collettività di persone che vivono stabilmente su un territorio e che sono legate tutte, senza distinzioni di cittadinanza formale, da un unico vincolo di solidarietà.
Attualmente l'art. 3 d.lgs. n. 77/02 prevede che ai bandi per essere ammessi al  servizio civile (cui accederanno quest'anno 10.000 giovani, ma il mondo del volontariato richiede da tempo un ampliamento del numero di ammessi) possano partecipare i soli cittadini italiani.
Per  i giovani  stranieri che sono nati sul nostro territorio o che vi vivono da molti anni il requisito della cittadinanza per partecipare al Servizio Civile rappresenta una evidente irragionevolezza e un ulteriore inutile ostacolo alla loro integrazione.
Le associazioni ASGI (Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione) e APN (Avvocati per Niente ONLUS) hanno depositato avanti il Tribunale di Milano un ricorso a sostegno della richiesta di uno studente pakistano di 26 anni che, pur essendo residente in Italia da 15 anni, non può svolgere il servizio civile volontario essendo privo della cittadinanza italiana.
Attraverso il ricorso, le associazioni chiedono al Giudice di far applicare il principio di parità fissato dall'art. 2 del T.U. immigrazione e dai principi costituzionali di uguaglianza e ragionevolezza  ribaditi con forza da recenti sentenze della Corte Costituzionale, obbligando il Dipartimento del servizio civile a riaprire il bando (che si è chiuso venerdì scorso) agli stranieri, o quantomeno ai cittadini membri dell’Unione europea. In subordine chiedono che il Giudice rimetta la questione alla Corte Costituzionale affinché venga valutato in quella sede il contrasto tra detta esclusione e gli artt. 2 e 3 della Costituzione.
L'azione legale intende anche richiamare l'attenzione sul fatto che molti dei giovani interessati a questa rivendicazione sono "stranieri" solo a causa di una legge sulla cittadinanza ingiusta e antiquata e si collega quindi alla campagna "L’Italia sono anch'io" (alla quale le due associazioni aderiscono, www.litaliasonoanchio.it ) per una proposta di legge di iniziativa popolare in tema di  cittadinanza che estenda, tra l’altro, le possibilità di acquisto della cittadinanza italiana per nascita sul territorio italiano e per chi vi è giunto durante la minore età.  Analogo ricorso è stato presentato da una giovane albanese avanti il Tribunale di Brescia con il sostegno della fondazione Guido Piccini per i diritti dell'uomo ONLUS e della CGIL di Brescia.
L’azione dell’ASGI si svolge anche nell’ambito del progetto di monitoraggio e contrasto delle discriminazioni in Italia svolto dalle antenne territoriali di Firenze e Roma, con il sostegno della Fondazione Open Society- Justice Iniziative.

P. l’ASGI
Il Presidente Avv. Lorenzo Trucco

Contatti: Avv. Alberto Guariso, tel. 02/89078611
               Avv. Daniela Consoli, tel.  055/5048548


A.S.G.I. - Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione
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martedì 18 ottobre 2011

UNHCR dismay at new deportation of Eritreans by Sudan


This is a summary of what was said by UNHCR spokesperson Adrian Edwards  to whom quoted text may be attributed  at the press briefing, on 18 October 2011, at the Palais des Nations in Geneva.
UNHCR condemns the deportation yesterday (Monday) of over 300 Eritrean asylum-seekers and refugees by Sudan.
The asylum-seekers and refugees were convicted on charges of illegal entry and movement within Sudan, under national immigration laws. The group had been detained for the several weeks in Dongola, in Sudan's Northern State bordering Egypt.
The deportation took place despite an agreement between UNHCR and the Sudanese Commissioner for Refugees that the Eritreans would be transferred to Khartoum for joint screening  the aim being to identify people in the group who already had refugee status and to allow others the opportunity to lodge asylum claims.
Such deportations of refugees and asylum-seekers amount to refoulement (forced return) and violate the 1951 UN Refugee Convention as well as the 1974 Sudanese Asylum Act.
UNHCR is concerned that, despite assurances from the authorities, the rights of refugees are not being respected. Sudan has recently repeatedly forced back Eritrean asylum-seekers and refugees to Eritrea, where they risk persecution.
For further information on this topic, please contact:

SVEZIA: REPORTER ACCUSATI DI TERRORISMO, BUFERA SU MINISTRO BILDT

(AGI/AFP) - Stoccolma, 16 ott. - Il ministro degli Esteri svedese Carl Bildt e’ nel pieno delle polemiche, accusato di non aver fatto abbastanza per aiutare due giornalisti svedesi arrestati in Etiopia il primo luglio scorso le cui inchieste avrebbero potuto danneggiarlo.
Il fotografo Johan Persson, 29 anni e il giornalista Martin Schibbye, 30 anni, entrambi free lance, sono stati arrestati nella regione dell’Ogaden dopo essere riusciti a entrare dalla Somalia con i ribelli dell’Ogaden National Liberation Front (ONLF). Persson e Schibbye sono accusati di favoreggiamento dell’attivita’ terroristica e di ingresso illegale nel paese. Il loro processo si apre domani e rischiano 20 anni di prigione se condannati. A far insospettire i media e’ stato il fatto che Bildt ha temporeggiato nel chiedere il rilascio dei due. “Si trovavano in una zona per la quale avevamo emesso un ‘travel warning’”, ha dichiarato. Bildt ha anche chiesto all’Etiopia di liberare Persson e Schibby ma i media e le organizzazioni per i diritti umani si sono scagliate contro di lui per la sua lentezza nei primi giorni dell’arresto.
I sospetti sono aumentati quando la stampa svedese ha rivelato che la coppia era in quella regione remota per indagare sulle attivita’ di una societa’ affiliata alla Lundin Petroleum, compagnia petrolifera svedese. Bildt e’ stato componente del consiglio di amministrazione della Lundin dal 2000 al 2006 anno in cui diventato ministro degli Esteri. Secondo alcuni media Persson e Schibbye erano in Ogaden per denunciare abusi sui diritti umani commessi dai militari etiopi per proteggere le attivita’ petrolifere, comprese quelle della Lundin, dai ribelli dell’Onlf. Costretto a spiegare il suo ruolo nelle operazioni della Lundin, Bildt ha dichiarato che non era piu’ nel Consiglio della Lundin quando la compagnia ha ottenuto la concessione per le esplorazioni in Etiopia. Desiree Pethrus, un componente del Parlamento ha criticato il comportamento del primo ministro: “Penso che avrebbe dovuto intervenire politicamente, non e’ solo un problema del consolato”. Opinione condivisa dal direttore del magazine Filter per cui stavano lavorando i due reporter. “E’ molto strano che Bildt e il primo ministro dichiarino che non e’ un problema politico dal momento che lo ha dichiarato la stessa Etiopia”.
Il primo ministro etiope Meles Zenawi e’ intervenuto sulla vicenda durante una visita a Oslo e ha dichiarato che Persson e Schibbye non sono giornalisti ma messaggeri di un’organizzazione terroristica. “Perche’ un giornalista - ha dichiarato Zenawi - dovrebbe entrare in un paese con questi terroristi, scortato da loro e partecipare ai loro combattimenti? Se questo e’ giornalismo, non so cosa sia il terrorismo”. Questo commento ha incrementato in Svezia i timori che nei loro confronti non verra’ svolto un giusto processo. (AGI) Mi6

http://www.diritto-oggi.it/archives/00060877.html

lunedì 17 ottobre 2011

La comunità Internazionale non sta vigilando sulla Libia

LIBIA: HABESHIA,RISCHIO PULIZIA ETNICA PER LIBICI PELLE NERA AFRICANI IN MIRINO RIBELLI, EUROPA CHIEDA GARANZIE A CNT (ANSAmed) - ROMA, 25 MAG - I libici di pelle nera sono a rischio di pulizia etnica in Libia, per l'accanimento nei loro confronti che vi sarebbe da parte dei libici di etnia araba simpatizzanti con i ribelli, e che li attaccano considerandoli come mercenari di Gheddafi. È l'allarme lanciato da don Mussie Zerai, sacerdote eritreo che a Roma presiede l'agenzia Habeshia per la cooperazione e lo sviluppo, e che denuncia «un massacro di 800 africani nella sola Misurata». Un massacro di cui ha avuto personalmente notizia, precisa, da profughi africani approdati in Italia. E che sarebbe documentato da alcuni video sul sito dell'agenzia Habeshia, che raccontano di «episodi cruenti e un accanimento su corpi esanimi», che sono «manifestazione di odio covati a lungo». In Libia vi sono due etnie non di origine araba, rileva don Zerai, e il rischio è appunto che divengano vittime di pulizia etnica, nei sanguinosi scontri tra i sostenitori di Gheddafi e i ribelli, è dunque molto alto. Ma nonostante l'allarme già lanciato, denuncia il religioso, perdura l'indifferenza. Don Zerai chiede dunque l'attenzione della comunità internazionale affinchè «i libici di pelle nera non vengano massacrati», mentre «centinaia di migliaia di sudanesi del Darfur», anche questi intrappolati in Libia, rischiano «di essere stritolata da questa intolleranza che dilaga nei territori occupati dai ribelli». Perchè sarebbero appunto i ribelli anti-Gheddafi gli autori di questi omicidi e violenze. «Che garanzie sta chiedendo l'Europa a ai nuovi signori della Libia liberata da Gheddafi?», chiede don Zerai. «Bisogna evitare a tutti i cosi - avverte - un altro genocidio nel continente africano». A rischio, hanno denunciato in passato altre organizzazioni, anche i tanti immigrati di origine africana in Libia, fin dall'inizio della guerra confusi con i mercenari di pelle nera al servizio di Gheddafi. (ANSAmed). BOR/NS1 25-MAG-11 17:52

Libia: Pulizia etnica ??? Il rischio che denunciavamo già mesi fa


IL REPORTAGE. LA POPOLAZIONE D' ORIGINE AFRICANA È ACCUSATA DI AVER COMBATTUTO PER GHEDDAFI. E DEI 40 MILA ABITANTI SOLO POCHISSIMI SONO RIMASTI

Incendi, terrore, caccia all' uomo. La città dei neri non esiste più

A Tawargha, in Libia, teatro della vendetta dei ribelli sui «mercenari». Pulizia etnica Nonostante le promesse del nuovo governo, qui ci sono stati abusi e deportazioni di massa Un insorto «Uccidere i nemici negri che stavano con il Raìs è giusto. Se fossi in loro scapperei subito verso Sud. Qui non hanno più nulla da fare, se non morire»

TAWARGHA - Le palazzine bruciano piano. Un lavoro metodico, svolto senza fretta. Quelle che non si incendiano subito restano dimenticate per qualche giorno: porte e finestre sfondate, tracce di fumo sui muri, stracci di vestiti e schegge di mobili sparsi attorno. Poi gli attivisti della rivoluzione tornano ad appiccare il fuoco aiutandosi con la benzina ed il risultato è assicurato. Nei viottoli sporchi sono abbandonati alla loro sorte cani, galline, conigli, muli, pecore, mucche. Ogni tanto giunge una vettura dalla carrozzeria dipinta con i simboli del fronte anti-Gheddafi e si porta via gli animali. Gli orti sono secchi, è dai primi di agosto che nessuno si occupa di irrigarli. A parte il crepitare sommesso degli incendi, il silenzio regna sovrano. Una calma immobile, minacciosa, inquietante, spaventosa. Un benzinaio sulla provinciale poco lontano ci ha detto che non sarebbe difficile trovare la terra smossa delle fosse comuni. Ma è pericoloso, le pattuglie della guerriglia non amano curiosi da queste parti. Sono le immagini della pulizia etnica di Tawargha, piccola cittadina una trentina di chilometri a sud-est di Misurata. Ricordano i villaggi vuoti della ex-Jugoslavia negli anni Novanta. L' episodio che con maggior forza due giorni fa ci ha trasmesso la gravità immanente dei crimini consumati in questa zona è stato l' incontro con quattro ragazzi della «Qatiba Namr», una delle brigate di Misurata nota per le doti di coraggio e resistenza dimostrati al tempo dell' assedio delle milizie scelte di Gheddafi contro la «città martire della rivoluzione» in primavera. «Qui vivevano solo neri. Negri stranieri. Nemici dalla pelle scura che stavano con Gheddafi. Ucciderli è giusto. Se fossi in loro scapperei subito verso sud, in Africa. Qui non hanno più nulla da fare, se non morire», affermano sprezzanti. Viaggiano su di una Toyota dalla carrozzeria coperta di fango. Sono tutti armati di Kalashnikov. Portano scarpe da tennis, magliette scure e blu jeans. Dicono di avere diciannove anni, ma potrebbero essere anche più giovani. Brufoli e sguardo di sfida, con il dito sul grilletto si sentono padroni del mondo. «Siamo venuti ad assicurarci che nessun cane nero cerchi di tornare. Devono sapere che non hanno futuro in Libia», sbotta quello che sta al volante. Sostiene di chiamarsi Mustafa Akil, però non vuole essere fotografato, così neppure gli altri. A Tawargha ci siamo arrivati quasi per caso. Tornando da Sirte verso Tripoli, giunti poco prima delle periferie orientali di Misurata, è stato impossibile non vedere le colonne di fumo degli incendi. Sono almeno una ventina. Si nota in particolare una palazzina a cinque piani divorata dalle fiamme rosse che si allungano dai balconi. Nel parcheggio sottostante sono fermi almeno cinque pick up delle forze della rivoluzione. Ci avviciniamo. Ma i miliziani ordinano di restare lontani. «C' erano circa 40.000 negri. Sono partiti tutti. Tawargha non esiste più. Ora c' è solo Misurata», si limita a ripetere uno di loro, barba fluente e occhiali neri. Sui cartelli stradali il nome della città è stato cancellato con vernice bianca, al suo posto è scritto quello di «Nuova Tommina», un villaggio delle vicinanze che era stato attaccato dai lealisti in aprile. La storia non è nuova. Le cronache della resa delle truppe fedeli al Colonnello a Tawargha contro le colonne dei ribelli di Misurata sostenuti dai bombardamenti Nato era arrivata il 13 agosto. E quasi subito Amnesty International e altre organizzazioni per la difesa dei diritti umani avevano denunciato massacri, abusi di ogni tipo e soprattutto deportazioni di massa. Unica scusa addotta dai ribelli era stata che proprio gli abitanti di Tawargha erano stati tra i più crudeli «mercenari africani» nelle file nemiche. Ma poi le cronache della caduta di Tripoli e gli sviluppi seguenti avevano preso il sopravvento. Il 18 settembre un inviato del Wall Street Journal citava il presidente del Consiglio Nazionale Transitorio, Mustafa Abdel Jalil, che dava il suo placet alla totale distruzione della cittadina. «Il fato di Tawargha è nelle mani della gente di Misurata», sosteneva Jalil, giustificando così appieno i crimini di guerra. La novità verificata sul campo è però che la pulizia etnica continua. Nonostante le rassicurazioni contro ogni politica razzista e in difesa delle minoranze nere in Libia fornite a più riprese alla comunità internazionale dai dirigenti della rivoluzione, a Tawargha si sta portando a termine del tutto indisturbati ciò che era iniziato ad agosto. I muri delle case devastate sono imbrattati di slogan freschi contro i «murtazaka», come qui chiamano i «mercenari» pagati dalla dittatura di Gheddafi. Sono firmati in certi casi dalle «brigate per la punizione degli schiavi neri» e trasudano il razzismo più virulento. In verità, molti degli abitanti nella regione di Tawargha sono discendenti delle vittime delle razzie a caccia di schiavi organizzate in larga scala dai mercanti arabi della costa per secoli sino alla metà dell' Ottocento nel cuore dell' Africa sub-sahariana. Libici a tutti gli effetti, figli di libici, sono ora tra le vittime più deboli del caos e delle incertezze in cui è scivolato il Paese. Nessuno conosce ancora le cifre dei loro morti e feriti. Le nuove autorità di Tripoli non rendono noti i numeri dei prigionieri. E quando la fanno sono spesso contradditori e impossibili da verificare. Di tanto in tanto si viene a conoscenza di ex abitanti di Tawargha arrestati nei campi profughi e nei quartieri poveri attorno a Tripoli. Le voci di violenze carnali contro le donne sono ricorrenti. Molti giovani sarebbero ora tra i combattenti irriducibili negli assedi di Sirte e a Bani Walid. Altri sarebbero riusciti ad unirsi ai Tuareg nel deserto verso Sabha. Sono motivati dalla consapevolezza che la «caccia al negro» non si ferma. Due giorni fa, durante gli scontri a Tripoli tra milizie della rivoluzione e sostenitori di Gheddafi, i primi ad essere arrestati erano i passanti di pelle nera. Lorenzo Cremonesi RIPRODUZIONE RISERVATA **** I «neri» La minoranza Presente da sempre in Libia, la popolazione nera è cresciuta nell' era Gheddafi con le migrazioni di migliaia di persone in cerca di lavoro dai vicini Stati subsahariani I mercenari Usati dal colonnello come soldati lealisti, sono oggi vittime delle ritorsioni dei ribelli
Cremonesi Lorenzo

Libia: Richiesta al Consiglio Transitorio Nazionale



Dal 22 marzo 2011, sono scomparsi nel nulla 335 adulti e dei bambini (di cui non sappiamo il numero esatto) di profughi eritrei, etiopi e somali. Le notizie iniziali li davano partenti dal porto di Zarzis o Tripoli, poi il nulla. Quindici giorni dopo, si sono avute notizie che parlavano del ritrovamento di cadaveri crivellati di colpi di arma dafuoco, poi di nuovo un silenzio lungo sei mesi. Ora vogliamo sapere la verità su che cosa è realmente successo a quelle persone, che sono state le prime a tentare di lasciare la Libia in rivolta contro il regime. Chiediamo a nome di tutti i famigliari la verità su quei fatti o tragedia che hanno fatto scomparire nel nulla quasi 400 persone. Le Autorità Libiche ci aiutino a fare piena luce su questa tragedia, che ha molti punti oscuri, i responsabili di quel viaggio in mezzo ai fuochi incrociati sono ancora in Libia liberi, mentre centinaia di famiglie ancora si disperano perché non sanno cosa abbia colpito il proprio figlio, marito, moglie e nipotini. 
Facciamo appello a tutti coloro che possano aiutare a chiarire questa vicenda, i media presenti in Libia se ci possono aiutare a raccogliere testimonianze di chi sa qualcosa su questa tragedia, tutti gli operatori umanitari presenti in territorio libico possono dare il loro contributo per arrivare ad una verità, sperando che le Autorità Libiche siano disposte a collaborare per fare piena luce su questa tragedia, che ha colpito centinaia di famiglie eritree e decine di famiglie etiopi e somale.
Le famiglie dei profughi scoparsi da sei mesi attendono una risposta, dove sono finite queste 335 persone con molti bambini a bordo? Cosa è loro capitato? Se è vero che hanno sparato loro, chi è responsabile di questo delitto? E perché? Vogliamo risposte vere e giustizia

Libya: Request to the National Transitional Council


 
From March 22, 2011, have disappeared into thin air 335 adults and children (we do not knowthe exact number) of displaced Eritreans, Ethiopians and Somalis. The initial reportsgave them departing from the port of Zarzis or Tripoli, then nothing. Fifteen days later, there were reports that spoke of the discovery of corpses riddled with bullets dafuoco, then againsix months a long silence. Now we want to knowthe truth about what really happened to those people who have been groped the first to leaveLibya in revolt against the regime. We ask on behalf of all the family the truth about facts or the tragedy that they did disappear into thin airalmost 400 people. The Libyan authorities to help us shed light on this tragedy, which has many obscure points, those responsible for that trip in the middle of the crossfire in Libya are still free, while hundreds of families still get frustrated because they do not know what hashit its son, husband, wife and grandchildren.
We appeal to anyone who can help to clarifythis matter, the media present in Libya if we canhelp gather evidence of someone who knowssomething about this tragedy, all aid workers inLibya can make their contribution to achieve atruth, hoping that the Libyan authorities are willing to work together to shed light on this tragedy that has affected hundreds of familiesand dozens of Eritrean Ethiopian and Somalifamilies.
The refugee families having sex for six monthswaiting for an answer, where are these 335 people with many children on board? What hashappened to them? While they shot them, who is responsible for this crime? And why? We want real answers and justice

sabato 15 ottobre 2011

Rome's homeless refugees at the heart of European law row - video

http://www.guardian.co.uk/world/video/2011/oct/07/rome-homeless-refugees-european-law-video
 and Noah Payne-Frank
Europe's refugees face a growing crisis – they cannot escape poor living conditions in Italy because European law doesn't allow them to leave their first country of entry. Britain's right to remove refugees and asylum seekers under the so-called 'Dublin regulations' is being challenged in the courts. Harriet Grant investigates

venerdì 14 ottobre 2011

The grave situation of Eritrean & Ethiopian refugees in Sinai, knows no end.


The grave situation of Eritrean refugees in Sinai, knows no end. In the last month have been tortured to death 4 people, 41 people are at risk including 7 women, one of them is pregnant. In another group there are 44 other people, including 11 women, 32 men and 3 of them are minors. The prisoners all their desperate cry on the phone, asking for help, they tell their segregation in underground facilities, the continuing harassment and torture with electric shocks, molten plastic on the skin of pain occurred, sexual abuse of women.There are hundreds of other refugees in similar conditions in the Sinai, we do not know how many people lost their lives at the hands of traffickers, because they have no money to pay the ransom demanded by the marauders. Many have told me they have already paid up to $ 15 000, about 17 people have already paid an average of $ 25 000, were released in the territories of the State of Israel. The inertia of the States is a godsend for criminals who get rich, a millionaire business around this traffic is forcing hundreds of families into debt for amounts that they will pay for decades, but in order to save the life of your son / daughter or husband sell everything, or as many end up in the hands of usurers. The cases of smugglers based in Israel, Dubai, Khartoum, Cairo, Asmara. Why the UN and the EU is not fully committed to nip this human trafficking? There are international agreements to combat trafficking in human beings. Are not the tools that are missing, but the political will of States.

http://www.retepariopportunita.it/Rete_Pari_Opportunita/UserFiles/news/consiglio_europa_convenzione_definitivo.pdf
http://www2.ohchr.org/english/law/cat.htmhttp://www2.ohchr.org/english/law/trafficpersons.htmFrom one year to denounce these crimes against humanity, because humanity more helpless fleeing their country, without which no state claims a violation of their rights. We're trying to give voice to these men and women deprived of their sacred right to live in peace, the right to find protection among the states where they came to seek asylum, and many are also deprived of the right to life at the hands of traffickers as the hands of the soldiers of the border, in the name of national security. The deployment of forces against piracy at sea, such as the recent raid of the British Navy that freed the hostages of the ship Monte Cristo, equally resolute commitment and desire we would also like to obtain the release of more than 500 refugees hostage in the Sinai. We appeal to all humanitarian organizations to all international institutions, which must make every effort to suppress this traffic, saving hundreds of lives are in constant danger for their lives.
 
Fr. Mussie Zerai Yosief

Emergenza: Eritrei - Etiopi sequestrati dai trafficanti nel Sinai



La gravissima situazione dei profughi eritrei nel Sinai, non conosce fine. Nel mese scorso sono stati torturati a morte 4 persone, sono a rischio 41 persone di cui 7 donne, una di queste ultime è in stato di gravidanza. In un altro gruppo ci sono altre 44 persone, di cui 11 donne, 32 uomini e di questi 3 sono minorenni. I prigionieri gridano tutta la loro disperazione al telefono, chiedono aiuto, raccontano la loro segregazione in strutture sotterranee, i continui maltrattamenti e torture con scariche elettriche, plastica fusa sulla pelle dei mal capitati, abusi sessuali sulle donne. Ci sono centinaia di altri profughi in simili condizioni nel Sinai; non sappiamo quante persone hanno perso la vita per mano dei trafficanti, poiché non hanno soldi per pagare il riscatto preteso dai predoni. Molti mi hanno riferito che hanno già pagato fino a 15 mila dollari, circa 17 persone hanno già versato una media di 25 mila dollari, sono stati rilasciati nei territori dello Stato di Israele. L'inerzia degli Stati fa la fortuna dei criminali che si arricchiscono, un giro di affari milionari questo traffico che sta costringendo centinaia di famiglie ad indebitarsi per somme che non potranno pagare per decenni, ma pur di salvare la vita al proprio figlio/figlia o marito vendono tutto, o come molti finiscono nelle mani degli usurai. Le casse dei trafficanti hanno base in Israele, Dubai, Khartoum, Il Cairo, Asmara. Perché l'ONU e l'UE non si impegnano a fondo per stroncare questo traffico di esseri umani? Ci sono le convenzioni internazionali per la lotta contro la tratta di esseri umani. Non sono gli strumenti che mancano, ma la volontà politica degli Stati.


Da un anno denunciamo questi crimini contro l'umanità, umanità più indifesa perché in fuga dal proprio Paese, senza che nessuno Stato reclami la violazione dei loro diritti. Noi stiamo tentando di dare voce a questi uomini e donne privati di ogni loro sacrosanto diritto di vivere in pace, il diritto di trovare protezione presso gli Stati dove sono venuti a chiedere asilo; molti vengono privati anche del diritto alla vita, per mano dei trafficanti, come per mano dei soldati di confine, in nome della sicurezza nazionale. Il dispiegamento di forze contro la pirateria in mare, come il recente blitz della Marina Inglese che ha liberato gli ostaggi della nave Monte Cristo, altrettanto impegno e volontà risolutiva ci vorrebbe anche per ottenere la liberazione di più di 500 profughi in ostaggio nel Sinai. Facciamo appello a tutte le Organizzazioni umanitarie, a tutte le Istituzioni internazionali, che facciano tutto lo sforzo necessario per stroncare questo traffico, salvare le centinaia di vite che sono in pericolo costante per la loro esistenza.
don Mussie Zerai 

mercoledì 12 ottobre 2011

I Castiglioni al Rotary per raccontare i "Pozzi parlanti"


angelo e alfredo castiglioni al rotary di varese
I famosi archeologi varesini Angelo e Alfredo sono stati in visita al Rotary Club Varese Verbano per presentare il loro documentario“ I pozzi cantanti di Etiopia. E per presentare la prossima avventura in Eritrea
Angelo e Alfredo Castiglioni, i famosi archeologi varesini,  lunedì sera 10 ottobre 2011 sono stati in visita al Rotary Club Varese Verbano per presentare il loro documentario“ I pozzi cantanti di Etiopia” e per anticipare la loro nuova campagna archeologica. Con le luci abbassate la platea è rimasta in silenzio ad osservare immagini che sono «Le straordinarie pagine di una storia umana scomparsa per sempre».
Nell’Etiopia meridionale nella terra dei pastori Borana, ci sono pozzi che sprofondano fino a trenta metri nel sottosuolo. Pozzi che risalgono al XVI secolo. Fino a pochi anni fa, uomini, donne e ragazzi scendevano, all’alba, nel buio dello scavo per raggiungere la falda acquifera scoperta seguendo le radici del sicomoro, l’albero della vita. Persone posizionate le une sulle altre in bilico su legni fradici o immersi nell’acqua fino oltre la cintola, portavano in superficie il prezioso “oro blu” necessario agli uomini ed agli armenti, grande ricchezza di questo popolo. Un canto scandiva il lavoro, ritmico e ripetitivo. Centoventi, centocinquanta litri d’acqua al minuto per ogni uomo. Cori antichi che uscivano dalla terra e che si udivano da lontano. “Pozzi Cantanti” che hanno scandito la vita di generazioni di pastori e che ormai hanno cessato di cantare a causa dell’avvento della “civilizzazione”.
I due fratelli si sono alternati nel racconto di storie e avventure, di viaggi impegnativi e difficili ed hanno anticipato anche alcune notizie sulla loro prossima campagna in EritreaPartiranno a fine dicembre, su invito del Presidente eritreo. E’ la loro seconda missione in questo Paese. Scopo principale sarà quello di approfondire gli scavi effettuati l’anno scorso per poter trovare evidenze egizie che conprovino la loro ipotesi che la città di Adulis, vecchio porto antico del periodo Tolemaico, non sia altro che la Terra di Punt: la favolosa e mitica terra che ha sempre affascinato studiosi e viaggiatori, una regione che ancora oggi non è stata chiaramente localizzata. Luogo da cui, secondo le fonti egizie, provenivano molte risorse quali oro, incenso, legni preziosi, avorio, ebano, pietre dure, penne di struzzo, aromi e altro. «Augurando un buon viaggio ad Alfredo ed Angelo, li prenotiamo per l’anno prossimo e li salutiamo in attesa del resoconto della loro nuova campagna di scavi» hanno commentato i membri del rotary varesino.

martedì 11 ottobre 2011

THE HUMAN PERSON AND HUMAN RIGHTS



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The Human Rights (Tigrigna)


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The Human Person

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80- †sï …mk lBX§ [mk sD÷ LykVgñ ·l§ ´} }[mk mkcDïDê Šmk ²š… X†[é ‘Ãï„ê }ŠF‡q ‰ï‘éÊ …§I´œ} …§©Íχ}& mkcDïDê }H©ö{q} [épÎ} …§—©öN}; mk[U q—kïq} ]]•}: [mk …mk ²š† [mk{oë: }²š† X†[é ¹V§ MI\mk}: }ŠF‡q [lq |§ MÃöd¹ ]M–ðq ›Œ{ sX„ï LykVgñ ·l§ ‰MsDÈ §´}smk; …mk ‘éa·ï lBX£ mksD÷ o‹†D÷ [mk {oñ O|§ ›Œ{ {²X ‰ïÊFº §‹†F †£; [lq †oñ …mk ‘éa·ï lBX¨M sD÷ O|§ {²X |§ MÏE¹ o‹†D÷ o·chñNM: ´mk‡M M]sïÊF·ê: ÊDïºM ©öL ‰ïÏÃöMÈ M] s†Dê: ŠF‡q‘é} ‰MsïÏÃöMÈ M]sï²mkT: ymkSo[nM mkHcñ ymkSo[mk ‰ïq]K q‹†F; |§ ²š† X†^M} |§ ŠF‡q} ¹eLð }MIE‘é kïD÷M †¨M [lq cgLð mk›Œ{ …²lmk ›†‰ké& ymkSo[mk mkMcüM ©öL sïki•ê; …mk –DM sDg LykS[lq mk²ï©„}: }xlVgñ ¹iM} }…²F´D÷q [mk} kïD}: …mk K}²÷„í} |§ MqIFE§}: MqImklX}: |§ so} X‹lq ‰ïʹV §´k„};
81- LykVgñ ·l§ ‘ªï[mk mkH© s§Œ{] mk›oÊED¢ KF‹— †£ sï´DÃö; ]Dsï xlXgñ ¹eLð }‹BDê: †sï mksêy{q LykVgñ I§‘q ‘ªï[mk (social pluralism) MilF} M—dké} ¢©öDï; LykVgñ mksêy{q M]›BDê xlVgñ ·iLð §ID÷; H© ymkSo[mk si‘éM ›oÊED¢ Mq†‹Šmk [lq: H©ö{q sDÈ: sï[LL— ymkSo[mk ‰ï‰‘é} …DÈ; …mk ‘éa·ï †sï –mk§ ymkSo[mk: {Ï]‘‰Ï Mq†‹Šmk [mk |§ ²š† X†[é K}{q} KDD§} ‰ï—emk} ‰òL—mkF} §‹†F; ²Dï„ê Mq†‹Šmk [mk ‰M ]©öVkòq: A²X: K}Ê\gñ LykX: Kk²[ï„ê LykVgñ ·l§ ‘ªï[mk ‰ï‰‘é} ‰D÷& ²Dï„ê Mq†‹Šmk [mk ´} Šmk ©öE§ [mk †£ sï{iF; <…mk ymkSo[mk o[pÏ{q M†}oñ ‰ïM—mkF Šmk ©öE§ [mk sïmk²] LykVq} qŠEq} }‹BFg Mqmkl— ¢©öDï; †s} LykVq †sï…o} mkA²Vgñ Œ{ …B²éVgñ ©S® ›fL ‰ïŒ| ‰Dg& —EK„} ©öL cë·lgñ: LykVgñ: lBEgñ: N¥gñ: ÔDoñŠgñ: ]ÔXpgñ ‘§ }Ks|´–ð ‰ï‰‘é} §‹†F; †sï –§{q LykV‘é{q kmk´FŠ ‰ïmkÄI }s§‰…F —ELpq: mkLykX o·X{ðÏŠ |§ M]VI lBX¥gñ ]M–ðq §²FÃö; †sï o´lXsï |§ ²D [mk |§ ok´^} HEÏ{q} o‹†D÷ ¢L—mkF: K[Dê }‰S³²Ãö ©öL §I´œ>50;