sabato 13 giugno 2009
Grazie, Gheddy!
di Carlo Blangiforti
Sarà che crediamo veramente di essere brava gente, sarà che non ricordiamo bene il passato, sarà che siamo intimamente convinti di essere un popolo di santi, sarà che siamo distratti da veline e gossippari, ma noi italiani non ci rendiamo conto che qualche conto in sospeso con la storia ce lo abbiamo.
Ormai da tempo (da sempre) se si chiede all’uomo della strada o alla casalinga di Voghera quali siano stati i crimini commessi dal Fascismo, ci si sente rispondere: la partecipazione alla II Guerra Mondiale e le leggi razziali del 1938. Questi due fatti assolutamente esecrabili, vengono però affievoliti da distinguo e attenuanti varie: “Mussolini non si doveva mettere con quel pazzo di Hitler”, “non c’erano altre scelte, però grazie al Fascismo c’è la pensione di vecchiaia” ecc. Distinguo degni di un popolo affetto da infantilismo cronico: per chiarire bisogna ribadire che qualsiasi governo è libero di fare le sue scelte (il Portogallo del dittatore Salazar o la Spagna di Franco rimasero neutrali) e deve pagarne le conseguenze (l’Olanda, Il Belgio, la Norvegia ecc. furono invase dai tedeschi); bisogna ribadire che le politiche sociali in molti paesi sono state frutto di lotte sindacali e di civiltà (Francia, Inghilterra, Stati Uniti ecc.) e via discorrendo. Anche se bastano le leggi razziali antisemite per connotare indelebilmente la natura del Fascismo si tende ad omettere altre nefandezze commesse dal regime: la persecuzione degli oppositori politici (omicidi, esili, ergastoli e confini), il generale immiserimento spirituale della nazione, l’asservimento morale ad un’ideologia totalitaria e, last but not the least, i massacri commessi durante le occupazioni militari nel corso della Seconda Guerra Mondiale e delle guerre coloniali in Libia, Etiopia, Eritrea e Somalia.
Questo è il nodo. Si può pure parlare del sangue dei vinti, ed è giusto farlo, ma si deve parlare anche del sangue degli altri vinti, dei neri, degli slavi e dei greci vittime delle italiche guerre d’aggressione.
Per decenni quei soldati italiani che arrostivano al sole del deserto o che gelavano sui monti del Pindo o in Russia hanno avuto il volto simpatico di Alberto Sordi, di Totò o di Raffaele Pisu [1]. E a noi andava bene così. Gli italiani nelle colonie avevano «essenzialmente costruito strade, scuole, ferrovie, ponti ecc.» I cattivi erano gli altri, i tedeschi, i nazisti, i giapponesi, poi i russi violentatori o i terribili infoibatori di Tito, il resto è storia o cronaca. Si è preferito dimenticare che le spirali di violenza non sono responsabilità di una sola parte.
Poiché gli italiani (i repubblichini) erano buoni, tanto buoni da farsi traviare da quei bruti degli hitleriani, si è fatta opera epocale di rimozione, le carte si sono chiuse negli armadi e i criminali di guerra non hanno conosciuto una Norimberga italiana.
A questo riguardo la censura in Italia è stata ed è generalizzata. Gli storici queste cose le scrivono, ma chi ha voglia di prendere in mano un tomo da 600 pagine? All’estero non si è così indulgenti con i fascisti, spesso anche se si raffigura Mussolini come una macchietta violenta e scimmiesca, non si omette di denunciarne le brutalità in film e documentari. Dalle nostre parti invece si è assolutamente impermeabili all’argomento: “Chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato; scurdammose 'o passato...” La memoria italiana è corta, anzi cortissima.
In altri paesi la memoria la coltivano. Due generazioni di tedeschi hanno fatto i conti quotidianamente con i crimini commessi dai loro padri, i francesi cercano faticosamente di liberarsi degli spettri dei collaborazionisti e di riparare alle mostruosità commesse nelle colonie; i giapponesi hanno da 60 anni il fungo atomico impresso del loro immaginario. Non basta, chiaro. Non si cancellano coi sensi di colpa i crimini di guerra. Ma almeno quelli ci provano, da noi il nulla [2].
Si potrebbe dire che le recenti ammissioni di responsabilità profferite dal buon Berlusconi sono un passo nella giusta direzione [3]. Si potrebbe, ma non è possibile. I motivi sono legati unicamente alla Realpolitik e poco hanno a che fare con la riflessione dello storico. È paradossale che la maggior parte di quelli che subiscono le ultime leggi sui clandestini siano proprio eritrei, somali ed etiopi e che gli esecutori siano proprio libici. Una forma di neocolonialismo, si direbbe.
In momenti diversi si sono aperti dibattiti più o meno vivaci riguardo alle vendette dei “partigiani rossi” contro i fascisti nell’immediato dopoguerra. Panza docet. Episodi più o meno isolati, giustificabili dal caos del momento, ma non riconducibili (su questo nessuno mi pare dissenta) ad una regia politica: atti di individui contro individui e quindi materia di diritto penale. [4]
I crimini di stato durante il ventennio (contro gli ebrei, gli omosessuali, gli oppositori politici e i sudditi delle colonie) rispondevano invece ad una strategia politica ben precisa. La violenza del potere non si giudica solo nei tribunali, ma è la storia che deve dare un giudizio.
La storia dell’Italia coloniale è quella che è. Inizia con la torbida vicenda della Baia d’Assab in Eritrea [5], passa per la guerra di Libia e la repressione contro i senussi di Al-Mukhtar, giunge alle vergogne della guerra d’Etiopia. La scia di sangue prosegue fino alle vicende somale degli anni ‘80 e ‘90.
Sulle responsabilità coloniali dello stato italiano si è posato un velo d’oblio, de eso no se habla, e spesso è stata stesa una cortina di censura. L’ormai arcinoto caso del film Il leone del deserto è argomento di questi giorni [6], ma c’è il caso di documentari che non sono stati trasmessi o lo sono stati solo parzialmente. Nel 1989 la BBC produsse Fascism Legacy (L’eredità del Fascismo), nel documentario si trattavano le responsabilità italiane nei massacri di civili, nella distruzione di interi villaggi, nell’eliminazione delle élite intellettuali e politiche, nell’uso di armi chimiche, nella distruzione delle colture e del bestiame per ridurre alla fame la popolazione sia delle colonie (Eritrea, Etiopia, Somalia e Libia) che dei paesi occupati militarmente (Grecia, jugoslavia, Albania ecc.). Il documentario non è mai stato trasmesso integralmente. Dieci anni fa il regista etiope Hailé Gerima realizzo Adwa, un documentario sulla sconfitta italiana ad Adua nel 1896. La Rai non volle partecipare alla produzione. È purtroppo vero che gli italiani amano la retorica dei sentimenti, dei buoni sentimenti. Fino a pochi anni fa, quando eravamo emigranti, accusavamo gli altri di razzismo (la vicenda di Sacco e Vanzetti, del gangsterismo in America e a Marsiglia, la trama del film “Pane e Cioccolata”, le sofferenze dei connazionali detti macaronì, rital, Tschink, Spaghettifresser ecc.), oggi che la pressione dei nostri ex-sudditi si fa sempre più forte accusiamo gli altri di essere clandestini e per tenerli alla larga arruoliamo (5 miliardi di euro in 20 anni) chi ascari libici in una logica assolutamente coloniale: no, i conti con la storia non si fanno certo così.
Grazie a Gheddy oggi, e per qualche giorno, si parla dei crimini commessi da noi, brava gente. È triste che a ricordarcelo sia proprio un dittatore vestito, come Totò, da Pazzariello. Beh, meglio di niente, questo passa il convento.
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