lunedì 30 novembre 2009

Immigrati cinesi Un milione in Italia

Uno studio fa un’importante rivelazione: sarebbero un milione gli immigrati cinesi nel nostro Paese. A questa sorprendente conclusione è giunto il Rapporto dell'Osservatorio permanente per l'immigrazione afro-asiatica in Italia, un gruppo di studio della facoltà di giurisprudenza dell'Università del Molise, che viene presentato oggi Mazara del Vallo nel corso del convegno «Quale immigrazione, quale solidarietà». Al convegno prendono parte i professori Alessandro d'Avack, presidente del «Comitato nazionale per lo studio del principio di sussidiarietà, fraternità, solidarietà ed eguaglianza da Leone XIII alla Costituzione europea», Giuseppe Fabrizi in rappresentanza del Ministero dei Beni Culturali, Onorato Bucci, direttore dell'Osservatorio permanente, e il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, questi ultimi due in qualità di relatori. Interverranno, tra gli altri, anche l'assessore regionale Gaetano Armao, il presidente della provincia di Trapani, Girolamo Turano, e il sindaco di Mazara, Nicolò Cristaldi. La scelta di Mazara non è casuale: nell'anno 827 sbarcarono le armate musulmane, che conquistarono tutta la Sicilia e la dominarono per oltre due secoli, ma, attualmente, la città è anche il maggior porto peschereccio del Mediterraneo e ospita ben settemila lavoratori tunisini, circa il 12 per cento della popolazione totale. Il dato sull'ingresso dei cinesi prende in esame sia i regolari sia i clandestini. Secondo la relazione dell'Osservatorio, gli immigrati di origine afro-asiatica erano alla data del 31 dicembre dello scorso anno oltre 6 milioni e 700mila unità. Dopo i cinesi, che secondo lo studio sarebbero al primo posto (con un milione di unità, appunto), verrebbero gli immigrati provenienti dalla ex Jugoslavia (588mila) gli indiani (555mila), i romeni (305mila), i marocchini (302mila), i senegalesi (281mila), gli egiziani (252mila), i somali (242mila), i cittadini dello Sri Lanka (233mila), etiopici ed eritrei (205mila), gli indonesiani (197mila), i tunisini (195mila), i turchi (172mila, in maggioranza curdi), gli iracheni (164mila, dei quali più di un terzo profughi cristiani), i filippini (134mila) e i bengalesi (120mila). Dal calcolo sono esclusi gli immigrati dai paesi latino-americani. Ma il dato più singolare riguarda l'origine culturale degli immigrati afro-asiatici: infatti, i musulmani entrati nel nostro Paese sarebbero 3 milioni e 133mila, oltre il 45 per cento del totale. Di cultura «cristiana» sarebbero invece oltre 2 milioni di persone, quasi la metà delle quali cattolici. Rilevante sarebbe anche l'ingresso di persone di radice orientale, quali i confuciani (537mila), i buddisti (434mila) e gli induisti e sikh (388mila). Si presenta, dunque, un caleidoscopio di culture e religioni che, secondo Francesco Beer e Iolanda Palazzo - autori della ricerca - e il direttore dell'Osservatorio e del Dipartimento di scienze giuridiche e sociali dell'Università del Molise, Onorato Bucci - già docente di diritto canonico presso l'Università Lateranense di Roma - rappresenta soltanto un indicatore, non tanto di adesione a fedi e pratiche religiose, quanto di distinzione culturale: distinzione particolarmente significativa per regioni non europee, che, storicamente, non hanno conosciuto la scissione tra società civile e comunità religiosa. I dati raccolti derivano da un’elaborazione di quelli rilevati dal Ministero degli Interni, raffrontati con quelli della Caritas, del Censis e della Comunità di S. Egidio o pubblicati dall'Istat e riferiti a tutti gli immigrati afro-asiatici entrati nel nostro Paese in modo regolare o irregolare e comunque censiti alla frontiera, ma non riguardano le attuali presenze, in quanto non tengono conto di quanti sono usciti per recarsi in altri paesi sviluppati o per tornare in patria. I ricercatori ricordano poi che anche i clandestini sbarcati a Lampedusa - o a Otranto, per tutti gli anni '90 - o in altri luoghi delle coste meridionali oppure ancora fermati ai confini terrestri con la Slovenia vengono di norma schedati sulla base dei documenti in loro possesso, e sono fotografati e segnalati in appositi archivi prima di essere destinati nei luoghi di accoglienza. Nell'ultimo trentennio, i flussi migratori hanno avuto varie provenienze: dopo una prima ondata nella quale, per tutti gli anni '80 e '90, era predominante una presenza africana - quella est-europea è analizzata soltanto marginalmente dallo studio - nei primi otto anni del 2000 si è manifestata una prevalenza da paesi asiatici quali Bangladesh, Cina, Sri Lanka e India, mentre è proseguito l'afflusso dalle Filippine.

Casoria, bambolotto di colore infilzato intimidazione razzista al museo

Al Contemporary Art Museum sta per aprire una mostra di arte contemporanea africana Il direttore Manfredi: "E' stato uno shock, ma noi non ci scoraggiamo e andiamo avanti" di LAURA LARCAN Un bambolotto di colore, alto circa un metro, senza abiti, infilzato come un crocifisso sulle sbarre del cancello del Cam, il Contemporary Art Museum di Casoria. E' questo lo spettacolo inquietante che si sono trovati di fronte stasera il direttore del museo Antonio Manfredi e i suoi collaboratori, arrivati per gli ultimi ritocchi all'allestimento della grande mostra "AfriCam" dedicata all'arte contemporanea africana, che apre il 5 dicembre. Con loro c'erano anche due artisti arrivati per l'occasione per esporre i loro lavori, il ganese Narku Thompson Nii e l'egiziano Mohamed Alaa, che sono rimati impressionati. "E' stato un chiaro gesto intimidatorio ma certo noi non ci scoraggiamo e andiamo avanti - dice Manfredi, che è andato subito dai carabinieri - Non a caso oggi è uscito l'annuncio della mostra sul giornale locale di Casoria. E' stato un gesto di razzismo vero e proprio. E' stato comunque uno shock, perché è vero che noi siamo abituati come museo a Casoria a stare sempre in lotta per sopravvivere, ma nell'arte non ci aspetteremmo mai azioni di questo tipo che testimoniano una volontà razzista. Nell'arte non pensiamo mai alle ghettizzazioni, noi vogliamo stare al di sopra di queste diversità. L'obiettivo della mostra infatti è di mostrare che anche in situazioni di difficoltà la cultura vince, permane e dà la forza per andare avanti. Tutte le opere in mostra vogliono raccontare che l'Africa non è solo fatta di immigrati disperati, ma ci sono anche artisti e intellettuali. Che magari fanno sculture con la carta riciclata dalla spazzatura, o che lavorano in atelier-baracche. Ma portano colori straordinari in posti fatti di nulla e cenere. L'arte dell'Africa aiuta l'immagine dell'Africa". Dalla periferia del mondo alla periferia di Napoli. A dar fastidio, forse, la mobilitazione di associazioni e comunità di immigrati e rifugiati africani che il Cam ha attivato. Dall'associazione dei Rifugiati di Napoli, a Ltm Laici Terzo Mondo O.N.G. di cooperazione internazionale, l'Ufficio Diocesano Migrantes, la Comunità di S. Egidio, Medici senza Frontiere, l'Uffico Immigrati della Cgil, il Centro Sociale Autogestito "EX-Canapificio", l'associazione Terra Buona Onlus (con la quale gli artisti Narku Thompson Nii e Mohamed Alaa parteciperanno domani mattina a un laboratorio di pittura creativa e una tavola rotonda con gli studenti delle scuole del territorio dell'area a Nord di Napoli). "Tutte queste associazioni - sottolinea Manfredi - hanno portato il nostro messaggio agli africani con cui hanno contatto. Noi vogliamo che nella nostra mostra gli africani immigrati vedano l'arte del loro paese, che sentano l'appartenenza ad uno stesso continente attraverso le opere in mostra. Vorremmo che il Cam diventasse con la mostra un punto di contatto per una consapevolezza della loro identità. E per l'inaugurazione saranno presenti tutte le associazioni e tutti gli immigrati africani, dagli ambulanti ai responsabili degli uffici di rifugiati, dalle persone ai limite della società a quelle più inserite. Tutti devono venire e capire che appartengono ad una stessa identità e attraverso la cultura questo è possibile". Una mostra "impegnata", quella del Cam, costruita da Manfredi con un anno di viaggi in Africa tra Kenya, Ghana, Nigeria, Egitto, Burkina Faso, a tessere una rete di contatti con gli artisti più interessanti direttamente sul posto, anche i più remoti, dove non esistono intermediazioni di gallerie o collezionisti, per scoprire l'espressione più libera dell'arte africana svincolata da interventi economici di privati e da influenze occidentali che spesso condizionano l'originalità delle produzioni artistiche. Le difficoltà sono state enormi. In Kenya Manfredi è stato anche arrestato perché aveva fotografato un commissariato. "La paura degli attentati è fortissima lì - racconta - alle nove di sera scatta il coprifuoco, non si può più girare". Notizie utili - "AfriCam", dal 5 dicembre al 28 febbraio, CAM_Casoria Contemporary Art Museum, Via Duca D'Aosta 63/A Caloria (Napoli), Tel/Fax: +39 0817576167, martedì- mercoledì- giovedì- domenica 10.00/13.00; sabato 17.00/20.00. Informazioni: www.casoriacontemporaryartmuseum.com, info@casoriacontemporaryartmuseum.com

A Striscia la notizia le difficili condizioni dei rifugiati politici somali

Giovedì 26 novembre, Striscia la Notizia si è occupata delle difficili situazioni in cui vivono quaranta rifugiati politici somali a Bari all’interno del Ferrhotel, struttura nei pressi della stazione ferroviaria della città pugliese. Gli inviati Fabio e Mingo hanno documentato come l’accoglienza riservata ai rifugiati somali non sia assolutamente idonea. Lo stabile in cui i rifugiati di guerra sono costretti a vivere è privo di energia elettrica e le condizioni in cui versa sono precarie al punto che diversi profughi sono costretti a dormire fuori dalla struttura. Arrivati in Italia, a Bari, i rifugiati politici sono stati accolti presso un centro di accoglienza, il Cara (Centro Accoglienza Richiedenti Asilo), dove hanno potuto soggiornare per più mesi ( dai cinque ai sette mesi). I rifugiati, non essendo prevista in Italia una seconda accoglienza, sono stati costretti a occupare l’edificio del Ferrhotel, di proprietà di Grandi Stazioni. Striscia ha intervistato Fabio Losito, Assessore all’Accoglienza di Bari, che ha dichiarato che le istituzioni stanno lavorando per intervenire e sbloccare gli allacci dell’energia elettrica all’interno dell’edificio. Fabio Losito afferma che da giorni ha preso contatti con Grandi Stazioni per trovare un’intesa e ai microfoni di Striscia promette che in pochi giorni la situazione verrà risolta. Naturalmente Striscia tornerà sul posto a verificare.

domenica 29 novembre 2009

Esami? Facciamoli a tutti, compreso ai parlamentari

IMMIGRATI: GASPARRI, NON BASTA PERMANENZA IN ITALIA PER AVERE LA CITTADINANZA Cosenza, 29 nov. - (Adnkronos) - "L'ufficio di presidenza ha ribadito no al voto degli immigrati se non sono cittadini italiani e avviato una discussione sulla cittadinanza dove, anziche' ridurre il numero di anni di permanenza in Italia, si devono introdurre esami per chiedere loro se conoscono la lingua italiana e i principi fondamentali del diritto italiano". Cosi' il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri e' tornato sulla questione dell'immigrazione, parlando a Rende. "C'e' gente che ammazza la figlia che va a ballare la sera o tiene le mogli chiuse in casa perche' i precetti del fondamentalismo islamico questo impongono. Di questi immigrati -ha concluso Gasparri- non sapremmo che farcene". Noi Rispondiamo! Il ministro strumentalizza i pochi casi estremi per infangare tutti gli immigrati, dimenticando che fino a pochi anni fa nel meridione italiano succedevano casi simili. Per quanto riguarda la conoscenza del diritto proponiamo al ministro che la facciano tutti compresi parlamentari ed amministratori locali e molti cittadini italiani non saprebbero rispondere. Quindi il ministro non si nasconda dietro un dito cercando di mettere dei paletti per non dare la cittadinanza riducendo i tempi. Lo dica che contrario a dare cittadinanza a degli immigrati regolarmente residenti in Italia, di questo si tratta. Questione di civiltà giuridica, concedere cittadinanza a delle persone che producono un bene per la tua nazione. Per chi vive nel incertezza della propria identità culturale, religiosa trova come soluzione quello di dire no, perché incapace di confrontarsi, sa di essere italiano ma non sa cosa vuol dire essere italiano al di la dei nazionalismi, su piano culturale, religioso, tradizioni ect... Tropo tardi la globalizzazione di culture, di persone non solo delle merci e già in atto non si può arrestare, ma si governa con l'integrazione con l'arricchimento reciproco tra le culture. Cosi come sempre stato nei secoli. L'Italia di oggi e frutto di miticiato culturale di ieri Greci, Arabi ect... Sig. Ministro non tema cosi tanto i nuovi cittadini sono una ricchezza per questo paese, purché questa nazione sia capace a gestire meglio questa risorsa umana,culturale, religiosa ed economica di questi cittadini. Il dato di fatto che queste persone sono già cittadini, perché vivono qui, lavorano, pagano le tasse, usufruiscono di tanti servizi, riconoscerli cittadini italiani dovrebbe essere un atto di civiltà anche di gratitudine verso di loro, per il contributo che stano dando per lo sviluppo economico, demografico e culturale a questo paese.

Il peggio non e mai morto!

La Lega: ai lavoratori immigrati solo 6 mesi di cassa integrazione L’ultimo atto di uno scontro interminabile è il tetto alla cassa integrazione per lavoratori stranieri. Sei mesi non un giorno in più. Da ieri alle 18 è un emendamento in Finanziaria proposto dalla Lega. «Le risorse sono quelle che sono e prima dobbiamo guardare ai cittadini italiani» ha spiegato il deputato Maurizio Fugatti. La mossa ha il sapore del contrattacco. Fini programma per Natale la discussione alla Camera sulla cittadinanza facile (cinque anni per ottenere il diritto di voto) e la Lega reagisce. Ormai è scontro aperto. Quel binomio, Bossi-Fini, che firmò a quattro mani l’ultima norma sull’immigrazione, correggendo la Turco-Napolitano made in Prodi, oggi è in briciole. Fugatti parlerà pure a titolo personale, come ha specificato in tarda serata, ma il sasso nello stagno ha creato più di un distinguo. Hanno messo lingua un po’ tutti: Pezzotta («proposta indecente di cui dovrebbero vergognarsi»), il sindacalista Cisl Bonanni («iniziativa senza senso contro i lavoratori immigrati regolari»), l’ex ministro Giovanna Melandri («emendamento incivile e visione razzista»), il titolare del Welfare Sacconi («è un diritto dei lavoratori»), La Russa («è discriminatoria»), l’ex ministro del Lavoro Damiano («una follia»), l’idv Donadi («idea becera e razzista»). Insomma, apriti cielo. Unica a cogliere il senso della boutade, Mara Carfagna: «È una provocazione, il nostro Paese non tollera discriminazioni». Eppure era il 30 luglio di sette anni fa quando entrò in vigore la Bossi-Fini. Sembrava un matrimonio inscindibile ma la crisi del settimo anno ha colpito ancora. Allora c’era il governo Berlusconi, oggi pure. Allora Fini era vicepremier e Bossi ministro per le riforme istituzionali. Oggi il primo presiede Montecitorio, il secondo ha mantenuto la posizione (ministro per le riforme federalistiche, stavolta). E oggi, cioè ieri, ma anche domani resta l’immigrazione il terreno di scontro. Tempi più snelli per diventare cittadini italiani dicono i finiani: 5 anni. Resta come sta (cioè 10), contrattaccano i duri e puri, trincerati sulla Bossi-Fini, per l’appunto. C’è una via mediana (8 anni), targata Souad Sbai, ma non appassiona. Fini stende il programma-trappola ma il senatùr non ci casca. «Voteremo contro», confida laconico ai giornalisti. «Un’altra mina sul percorso del governo» l’ha definita la Padania. Tra Fini e Bossi, le acque sono in tempesta. Il Cavaliere ha dato l’input: chi non condivide si chiama fuori e Roberto Cota, che dei leghisti è il presidente dei deputati, ha preso una posizione netta: urge un vertice di maggioranza. «La nostra posizione è chiara. Siamo contrari alla cittadinanza facile. Non c’è bisogno di norme più estensive. Il ragionamento, semmai, andrebbe fatto su ipotesi più restrittive». Ma la partita è tutt’altro che chiusa: l’immigrazione è ormai il campo di battaglia. Bossi e Fini incrociano il fioretto su ciò che sette anni prima li aveva uniti. Non è un faccia a faccia, nella contesa entrano anche i soldati semplici. E prende corpo l’emendamento: un limite fisso per lavoratori stranieri verso la cassa integrazione. Sei mesi. «Se non c’è lavoro per gli italiani non ce n’è per nessuno» spiega Fugatti che in serata torna sui suoi passi e spiega che la sua è «un’iniziativa personale». Resta il problema, però. Sociale e politico: la crisi allenta la sua terribile morsa ma lascia dietro di sé la scia inquietante che conosciamo: inflazione e disoccupazione. È così da sempre, in ogni ciclo recessivo. «Se la crisi dovesse andare avanti potrebbe crearsi una contrapposizione tra disoccupati italiani e stranieri e questo vuol dire che sulle strade ci ritroviamo sia i nostri disoccupati, sia gli extracomunitari. E dobbiamo tutelare di più gli italiani». È la guerra, bellezza! Non certo quella civile, ma politica. «E, se il lavoro non c’è... Rimane qui chi il lavoro ce l’ha. Noi non licenziamo nessuno ma, senza un posto, si torna a casa», spiegano alla Lega. E paradossalmente deve fare il biglietto di ritorno in nome della Bossi-Fini.

IMMIGRATI: GOZI(PD), GRAVE PER ITALIA CONVOCAZIONE CORTE EUROPEA

(ASCA) - Roma, 27 nov - ''E' molto grave che il governo italiano sia stato chiamato a rispondere davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo sui respingimenti collettivi di migranti verso la Libia''. Lo dice Sandro Gozi, capogruppo del Pd nella commissione Politiche della Ue alla Camera, commentando la notizia resa nota dagli avvocati che rappresentano i 24 somali ed eritrei intercettati in mare aperto il 6 maggio scorso e respinti verso la Libia. ''Sono pochissimi i ricorsi che raggiungono il grado di valutazione della Corte, dunque e' stata riconosciuta la fondatezza delle argomentazioni. Ora il governo italiano ha circa tre mesi per rispondere: utilizzi questo lungo periodo di tempo per chiarire una volta per tutte le circostanze contestate -dice Gozi- e per dare spiegazioni sulle scelte fatte in materia di immigrazione soprattutto riguardo ai respingimenti e alla possibilita' per i migrati di veder riconosciuto il loro diritto d'asilo. Si tratta di questione aperte sulle quali restano troppe ombre, non tollerabili visto che in gioco ci sono i diritti umani''.

Immigrati, Papa: "I figli hanno diritto a scuola"

Roma - Ai figli degli immigrati "sia data la possibilità della frequenza scolastica e del successivo inserimento nel mondo del lavoro". Lo chiede il Papa nel messaggio per la Giornata del Migrante e del Rifugiato che si terrà il prossimo 17 gennaio 2010 ed avrà per tema "I migranti e i rifugiati minorenni". Per Benedetto XVI, inoltre, deve essere "facilitata l’integrazione sociale grazie a opportune strutture formative e sociali". "Un aspetto tipico della migrazione minorile - rileva - è costituito dalla situazione dei ragazzi nati nei paesi ospitanti oppure da quella dei figli che non vivono con i genitori emigrati dopo la loro nascita, ma li raggiungono successivamente. Questi adolescenti fanno parte di due culture con i vantaggi e le problematiche connesse alla loro duplice appartenenza, condizione questa che tuttavia può offrire l’opportunità di sperimentare la ricchezza dell’incontro tra differenti tradizioni culturali". "Non si dimentichi mai - afferma - che l’adolescenza rappresenta una tappa fondamentale per la formazione dell’essere umano". Rispettare sempre i diritti umani "Il migrante è una persona umana con diritti fondamentali inalienabili da rispettare sempre e da tutti". Lo riafferma Benedetto XVI che torna su questo aspetto trattao nell’enciclica "Caritas in veritate" per rilevare quanto il fenomeno "impressiona per il numero di persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale". "La celebrazione della Giornata del Migrante e del Rifugiato - che si terrà il prossimo 17 gennaio - mi offre nuovamente l’occasione di manifestare la costante sollecitudine che la Chiesa nutre verso coloro che vivono, in vari modi, l’esperienza dell’emigrazione", scrive il Pontefice annunciando il tema che ha scelto per la Giornata del 2010: "I migranti e i rifugiati minorenni". Si tratta, spiega il Pontefice, di "un aspetto che i cristiani valutano con grande attenzione, memori del monito di Cristo, il quale nel giudizio finale considererà riferito a Lui stesso tutto ciò che è stato fatto o negato a uno solo di questi più piccoli". "E - si chiede Papa Ratzinger - come non considerare tra i più piccoli anche i minori migranti e rifugiati? Gesù stesso - infatti - da bambino ha vissuto l’esperienza del migrante perchè, come narra il Vangelo, per sfuggire alle minacce di Erode dovette rifugiarsi in Egitto insieme a Giuseppe e Maria" No al rimpatrio dei minori Le norme internazionali stabiliscono che "un minore non accompagnato non può essere rimpatriato". Lo ricorda il presidente del Pontificio Consiglio per la pastorale dei migranti, mons. Antonio Maria Vegliò, che presentando il Messaggio del Papa sulla condizione dei bambini immigrati o rifugiati, denuncia che "purtroppo tale diritto, come molti altri, non è sempre rispettato". Il capodicastero sottolinea le "ragioni più specifiche" che condannano i minorenni alla clandestinità, "come per esempio nel caso di difficoltà, o impossibilità, di accedere al Paese di destinazione desiderato. Ciò spinge - spiega - i minorenni, o i loro genitori, a tentare l’immigrazione irregolare. In questi casi, i genitori, a volte l’intera famiglia, pongono tutte le loro speranze nella riuscita del minore che emigra, il che si trasforma in un forte peso psicologico per il ragazzo che non vuole deluderli. Perciò egli è pronto a subire ingiustizie, violenze e maltrattamenti pur di ottenere il permesso di soggiorno, forse una formazione scolastica, e soprattutto un lavoro per poter aiutare la famiglia di origine, che tanto ha ’investitò su di lui". Da parte sua, il segretario del dicastero, arcivescovo Agostino Marchetto, rileva che "i minori non accompagnati e quelli separati dalle loro famiglie molto spesso vivono ancora in ambienti a rischio di abusi e di sfruttamento, come per la tratta di esseri umani o il reclutamento per fini militari". E "con profonda pena" osserva che "i membri della società civile agiscono e reagiscono secondo stereotipi, preconcetti e pregiudizi all’arrivo dei rifugiati, mentre le politiche ufficiali guardano al miglior interesse del minorenne". "Questo comportamento di discriminazione, xenofobia e finanche razzismo va affrontato - suggerisce - con politiche atte a salvaguardare, rinforzare e proteggere i diritti dei rifugiati e delle persone sfollate all’interno del proprio paese".

venerdì 27 novembre 2009

Clima, l'ultimatum dell'Africa

Il premier etiope chiede un risarcimento di 45 miliardi di euro l'anno: il meteo qui è un bollettino di vita o di morte di RAFFAELE ORIANI - foto PAOLO WOODS «Non posso più fidarmi di mio padre» dice Gada Tukala, che ha poco più di vent’anni, alleva vacche da quando non andava all’asilo e decide per tutti da quando il clima non è più lo stesso. «I vecchi vorrebbero aspettare dieci giorni di pioggia prima di seminare il sorgo, io so che dopo quattro scrosci è meglio affrettarsi sperando che duri». Gada è un giunco nero in un cielo bianco di luce, vive in un villaggio che di moderno ha solo le ciabatte di plastica ai piedi, si accontenta di nulla e ha una sola paura: «Sai perché non piove più? Una volta si stava tutti insieme sotto il grande albero, si ammazzava la bestia più grassa, e si pregava tutta la notte per una buona semina. Oggi con le nuove religioni la natura ha smesso di volerci bene». Gada non lo sa ma il suo paese è cristiano da 1.700 anni. E musulmano da quasi altrettanti: «Dio è arrabbiato con me e la mia famiglia» ci dice Zein Leba, contadina sessantenne che ha un ettaro di terra, sette figli, e quando prega si rivolge alla Mecca. «Dipende tutto da lui, speriamo che passi». L’Etiopia di chiese e moschee, di campi di mais, sorgo e fagioli è rassegnata da sempre a una siccità ogni dieci anni, ma da qualche tempo rimane a secco quasi un anno su due. «Colpa del cielo» dice il tam tam degli altipiani. Eppure quando interverrà al vertice sul clima che si apre il prossimo 7 dicembre a Copenhagen, il primo ministro Meles Zenawi non invocherà né Allah né gli dei della pioggia. Dirà che il riscaldamento globale sta rovinando il suo paese. E chiederà all’Occidente una montagna di soldi per insegnare a Gada e a Leba a fare a meno dell’acqua. L’Unione africana ha scelto l’Etiopia per trattare a nome di tutti al summit che dovrebbe salvare il pianeta, ma molto probabilmente rimanderà il bel gesto a data da destinarsi. Peccato, perché la posta è alta e i numeri fin troppo eloquenti: se nel 2006 l’Italia ha immesso in atmosfera 474 milioni di tonnellate di anidride carbonica, l’Etiopia con un terzo degli abitanti in più si è fermata a poco più di un centesimo: sei milioni di tonnellate. Se il colosso cinese è responsabile del 21 per cento delle emissioni globali, e gli Stati Uniti seguono a ruota con il 20,2, l’Africa intera rincorre lo sviluppo producendo non più del 3,7 per cento dei danni. Il disequilibrio è enorme, ma diventa insostenibile se si pensa che l’impatto è inversamente proporzionale alle cause: in Italia (almeno per ora) il cambiamento climatico mette a repentaglio il week end, in Etiopia fa sparire la materia prima che tiene in vita l’80 per cento della popolazione. «Non è che piova meno» dice a Io donna Gabru Jember, ricercatore dell’Agenzia nazionale di meteorologia di Addis Abeba. «È che le precipitazioni sono diventate imprevedibili: da sempre in Etiopia abbiamo una stagione umida da marzo ad aprile, e una più lunga da inizio giugno a fine settembre. Ora il ritmo è saltato e può smettere di piovere a una settimana dalla semina, o magari riprendere quando già ci si preparava al raccolto». A quel punto cresce un po’ d’erba, il paesaggio si fa incantevole, ma il sorgo si alza mesto senza semi. È lo spettro della siccità verde che si aggiunge ai malanni tradizionali e, solo in Etiopia, nei prossimi mesi metterà a rischio la sopravvivenza di oltre sei milioni di contadini. E sì che alle spalle il paese degli altipiani ha anni di crescita a due cifre. Con i suoi tre milioni di abitanti, Addis Abeba ha preso a mimare le mosse della danza globale e a sostituire la terra battuta con grandi torri commerciali ad alto fatturato e nessun’altra pretesa. Ma l’Etiopia dei villaggi continua ad arrancare tra la sete e la fame: qui tutto viene e va con il raccolto, e ci si può ritrovare sul lastrico solo perché la pioggia cade nel momento sbagliato. «Otto anni fa avevo cento vacche e cento pecore» fantastica la quarantenne Momena Ali sotto il sole malato del distretto pastorale dell’Erer. «Allora l’erba era tanto alta che non vedevi le bestie. Poi la pioggia è sparita e l’erba è scesa prima a un braccio, poi a un palmo, poi a un dito di verde: io non ho più nulla, ma Allah saprà cosa fare dei miei dieci figli». Acqua, pascoli, sole e rovina. Nella regione agricola dell’Oromia 32 distretti su 387 da gennaio avranno bisogno dei sacchi di farina del governo: tra questi il Fadis, che ci accoglie con una distesa di cereali senza frutto, di bambini con i quaderni sottobraccio, e di uomini che ricordano un tempo in cui tutto sembrava più pieno e più semplice. «Eravamo ricchi» ci dicono nel villaggio di Koje. «I campi che oggi danno cinque quintali di sorgo fino a dieci anni fa ne producevano anche trenta». Mesfin Oly, giovane consulente agricolo dell’amministrazione regionale, fa notare che gli invasi dell’acqua piovana ancora nel 2002 davano da bere per sei mesi all’anno, mentre oggi arrivano a malapena a coprire due mesi di sete. Non che qualcuno si lamenti: qui tutti sembrano abituati a sopravvivere se si può, e a sopportare le angherie del cielo con la stessa pazienza con cui tollerano le mosche sul labbro per decine di snervanti minuti. Ma nessuno si fa illusioni: «Tra poco comincerà la carestia». Per fronteggiarla il piano d’emergenza di Addis Abeba garantirà 15 chili di farina al mese a 32mila dei 140mila abitanti del distretto. Rispetto alla grande carestia del 1984, nessuno dovrebbe morire per fame. Ma nelle capanne di fango in cui si mescolano vagiti di bimbi e muggiti di vacca, si fa fatica a pensare che per i villaggi il peggio sia ancora di là da venire. Sprofondiamo sempre più nell’Africa che cambia senza volere. A dieci chilometri dalla città di Harar, che rimane magicamente sospesa tra memorie coloniali e identità musulmana, il lago Haramaya è semplicemente sparito: «Dove si andava in barca ora brucano le capre» dice Million Gebrenes, ricercatore universitario che studia l’impatto del global warming sull’economia rurale. «È successo tutto in pochissimi anni, perché i contadini hanno abusato dell’acqua, la deforestazione ha aumentato il sedimento e il riscaldamento ha seccato le sorgenti». Qui come altrove, la vita si fa dura appena si scende dai duemila metri dei grandi altipiani. Nel centro del paese, a cento chilometri dalla capitale, è il lago Abjata a ritrarsi di quasi un chilometro all’anno. «Ci sono rimasti solo i fenicotteri» sospira il pastore Tene Babsa, che ha sessant’anni e due gambe sottili come il bastone che usa per evocare i ricordi lontani. Racconta di quando invece delle distese di sale c’era uno specchio d’acqua pescoso, e al posto della terra smagrita si stendevano chilometri di pascoli da venti mucche a famiglia: «Ora ne ho quattro che danno un litro di latte al giorno, dieci anni fa ne avevo decine e riempivo i secchi anche senza mungerle». L’avvocato Dessalegn Mesfin, che ha guidato il team dei negoziatori africani verso il summit di Copenhagen, dice che per fronteggiare quest’emergenza «le priorità sono due: un accordo sulla riduzione dei gas serra, e un piano di finanziamenti per aiutare i paesi più colpiti ad adattarsi alle nuove condizioni climatiche». Con il programma Meret, le Nazioni Unite hanno dimostrato che bastano investimenti modesti per arrivare a una gestione del terreno che resista alle bizze del nuovo millennio. Nel bacino di Dabe, a pochi chilometri dalla città di Nazreth, 202mila euro sono stati sufficienti per piantare una foresta, alimentare le sorgenti e mettere in sicurezza trecento famiglie di contadini. Pochi o tanti, oltre che di emissioni è quindi questione di soldi. Il primo ministro Meles Zenawi lo sa, e va a Copenhagen per battere cassa presso i grandi produttori e i grandi inquinatori del Nord del mondo. Si parte da una richiesta di 45 miliardi di euro all’anno. L’Africa intera fa sapere che saranno difficilmente trattabili.

Berlin: ZWEI VORBEREITUNGSTREFFEN zum KARAWANE - FESTIVAL 2010

Berlin: ZWEI VORBEREITUNGSTREFFEN zum KARAWANE- FESTIVAL 2010 *09. Dezember 2009 | Berlin - 16 – 18 Uhr *@NIGERIA HOUSE* *Oranienstr. 159 - 19- 21 Uhr* *@RAUCHAUS + VOKÜ* *Mariannen platz 1A, 10997 Kreuzberg * Unterstützung erwünscht! Beteiligt euch an der Vorbereitung des KARAWANE-Festivals afrikanischer MaskenTanz - Konzerts und Makseradenparade in Jena vom 4. Bis 6. Juni 2010 Aufruf für ein KARAWANE-Festival – für die Rechte der Flüchtlinge und MigrantInnen in Europa Afrika ist nicht weit von uns – Vereinigt gegen koloniales Unrecht: http://thevoiceforum.org/node/1285 Rettet Leben: Widerstand gegen die Brutalität und Tod der Flüchtlinge und MigrantInnen durch die EU – Frontex und die barbarische Politik der Festung Europa Eine politische “Begräbnisfeier” in Gedenken an all die Flüchtlinge und MigrantInnen gestorben in Mittelmeer und an den Außengrenzen Europas, in Gedenken an all die durch die Polizei und die Politik der festung Europa Verfolgten, Kriminalisierten, Abgeschobenen und Mißhandelten: Die Opfer der nationalen und internationalen Ungerechtigkeit in Deutschland und innerhalb der Festung Europa. Wir dulden es nicht, dass die Opfer sterben und keine Spuren hinterlassen. In Erinnerung an all die Gräuel, die unsere Familien ertragen und im Bewußtsein dessen, dass noch mehr sterben werden, werden wir während des Festivals in Jena für all die Opfer von Frontex und der barbarischen Politik der Festung Europa ein “Denkmal” enthüllen. Während des Festivals werden Blocks afrikanischer Maskeradentänze und Musikparaden geplant. Afrikanische MaskenTanz sind weissagende Künste und Vorführungen zu bestimmten traditionellen Festivitäten. In West- und Zentralafrika werden sie auch gefeiert um Schutz und Solidarität in Katastrophenzeiten zu demonstrieren. Stoppt das Töten und die Verfolgung von Flüchtlingen und MigrantInnen in Deutschland und Europa. Das Ziel des Festivals ist es, uns an alle Opfer der Festung Europa zu erinnern: - Auch die Probleme von Ländern außerhalb Afrikas und die Opfer des Krieges dürfen nicht vergessen werden. - Europäische Teilnehmer sollten auf dem Festival zeigen, dass sie die Verantwortung Europas für das koloniale Unrecht anerkennen und gegen die Ungerechtigkeit kämpfen - "Wir sind hier, weil ihr unsere Länder zerstört“ – die KarawanE für die Rechte der Flüchtlinge und MigrantInnen in Deutschland *Discussionen mit: *Osaren Igbinoba, The VOICE Refugee Forum Jena * Therese Koppe – Mitglied des Vorbereitungskreises zum Karawane-Festival 2010 in Jena Freiburg: 18.12.2009 um 20.00Uhr Aktion Bleiberecht Freiburg in KTS - Basler Straße 103 Am kommenden Wochenende - Bundesweiten Karawane-Treffen in Halle: 28/29.November 2009 Für mehr Information: E-mail: daskarawanefest-jena2010@gmx.de "Thema Koloniales Unrecht in Deutschland": English + Französisch + Deutsch + Türkce + Farsi + Espagnol ( http://thevoiceforum.org/node/1422 ) Deutsh: The VOICE Netzwerk zum Thema Koloniales Unrecht in Deutschland >>( http://thecaravan.org/files/caravan/TheVoiceReader.pdf ) Graphic Layout of Festival Preparatary Meeting Announcement: ( http://thecaravan.org/taxonomy/term/54); ( http://de.sevenload.com/im/ZfFrjJe/450x450) -- Unterstützen Sie unsere Projekte durch eine Spende: You can support our activities by donations: Förderverein The VOICE e. V., Göttingen Bank: Sparkasse Göttingen Bank Account: 127 829; Bank Code: 260 500 01 IBAN: DE97 2605 0001 000 1278 29, BIC: NOLADE21GOE The VOICE Refugee Forum Jena Adresse: Schillergässchen 5, 07745 Jena Tel. Handy 0049(0) 17624568988, Fax: 03641 / 42 02 70, E-Mail: thevoiceforum@emdash.org, Internet: http://www.thevoiceforum.org Gegründet: 1994, Arbeitsweise: Kampagnen,Aktionen, Vernetzung. Publikationen: E-Newsletter

giovedì 26 novembre 2009

Francia, immigrati in sciopero."24 ore senza di noi"

di Ella Baffoni La scadenza è lontana, il 1 marzo 2010. Un comitato di immigrati ha lanciato la prima giornata di astensione dal lavoro e dal consumo, «24 ore senza di noi». Obiettivo, far prendere coscienza del peso dell’immigrazione nella vita della Francia. Preoccupati per le recenti dichiarazioni razziste del ministro dell’interno Brice Hortefeux, per il dibattito sull’identità nazionale, per l’intolleranza montante, gli immigrati intendono dimostrare che «senza di noi la Francia non funziona». Cosa che potrebbe cambiare la percezione dei vecchi cittadini francesi sui nuovi cittadini francesi. Chi ha un lavoro non si presenti - «chi non perderebbe una giornata di lavoro per difendere la sua dignità?», dice il comitato - chi è disoccupato, o casalinga o studente, si astenga da qualsiasi acquisto: un boicottaggio economico che, fosse accolto da tutti, potrebbe pesare davvero molto. "L’immigrazione è un’opportunità - dice Nadia Lamarkabi, presidente del comitato - denigrare sistematicamente gli immigrati è un attentato ai valori repubblicani». «La parola immigrato è diventata quasi un insulto - dice il portavoce Nadir Dendoune - ma basta prendere la prima corsa mattutina della metropolitana per vedere chi si sveglia presto a Parigi. La maggioranza dei francesi sa che il paese è cambiato; è l’elite, i politici, che parlano solo alla Francia bianca e cattolica». Il tempo c’è, ora bisogna preparare l’iniziativa perché sia davvero un successo. I membri del comitato pensano di pubblicizzarla nei mercati rionali, davanti alle fabbriche e alle fermate di metro e Rer e sperano di riuscire a costruire un rapporto con i sindacati. Intanto una dozzina di comitati di sostegno sono gemmati in tutta la Francia. Il manifesto già c’è: in una folla di omini bianchi, alcuni «diversi» per colore, gialli, rossi, neri. E lo slogan «24h sans nous». «Ventiquattro ore senza di noi», appunto.

Welcome, a nuoto verso l'amore: film sbanca-botteghino sugli immigrati

inviato Gloria Satta PARIGI (26 novembre) - Un uomo solo e deluso dalla vita, un giovanissimo immigrato curdo, i clandestini che sfidano le leggi e la morte stessa. E una grande storia di volontà, amicizia, paternità, amore contrastato, consapevolezza, dolore, tenerezza. Con questi ingredienti, e con l’interpretazione di un Vincent Lindon in stato di grazia, candidato a tutti i possibili premi, Welcome ha sbancato i botteghini francesi. L’11 dicembre il film verrà distribuito in Italia dalla Teodora Film. Diretto da Philippe Loiret, musicato da Nicola Piovani, ha vinto il premio del pubblico a Berlino. In patria è stato applaudito da dieci milioni di spettatori e ha scatenato una violenta polemica che ha visto scendere in campo il ministro dell’identità nazionale Eric Besson: il regista aveva paragonato le attuali leggi sull’immigrazione alle persecuzioni anti-ebraiche del ’43. «Ma io non intendevo tirare in ballo la Shoah, mi riferivo ai meccanismi repressivi di oggi che stranamente somigliano a quelli di ieri», ha spiegato Lioret. Cinema e immigrazione, un binomio sempre più fecondo: sceneggiatori e registi non possono più ignorare la realtà fatta di disperazione e ingiustizia che la globalizzazione ha ormai diffuso in tutto l’Occidente. Ambientato a Calais, passaggio obbligato per le moltitudini del sud del mondo che, per raggiungere l’Inghilterra, hanno percorso l’Europa a piedi, Welcome racconta l’amicizia tra un insegnante di nuoto (Lindon) e un clandestino diciassettenne curdo (l’intenso esordiente Firat Ayverdi). Il ragazzo vuole attraversare a nuoto la Manica: a Londra c’è la fidanzatina, promessa però dalla famiglia a un cugino. Sullo sfondo, ecco il popolo ”invisibile” dei clandestini che ogni giorno sfidano la morte per raggiungere la “terra promessa”, i volontari che li assistono, la polizia che li insegue, i francesi che fanno la spia. «Il film», osserva Lioret, «è piaciuto tanto perché non vuole essere una denuncia politica ma una grande storia di umanità e sentimenti. Ha permesso alla gente di scoprire una realtà poco conosciuta, o addirittura ignorata, attraverso le vicende dei protagonisti. Truffaut diceva che dietro ogni film c’è un documentario, cioè un pezzo di realtà. Ma, a differenza delle inchieste televisive, la finzione cinematografica permette l’identificazione e la storia arriva direttamente al cuore». Spiega il regista che lo spunto del film gli è stato fornito dall’incontro con un ragazzino curdo, clandestino, che a Calais si allenava in piscina con una sola idea in testa: raggiungere il suo amore in Inghilterra. «Poi, intorno a lui, sono nati gli altri protagonisti: il maestro di nuoto, la moglie volontaria che ha deciso di abbandonarlo, gli immigrati. Sono i personaggi che mi hanno dettato la storia e io mi sono sforzato di essere il più sincero possibile». Nel film, i vicini di casa denunciano il maestro di nuoto che ospita gli immigrati: i francesi sono delatori? «Non bisogna generalizzare», risponde il regista. «Molti riconoscono solo quello che è permesso e quello che è proibito. Obbediscono alle autorità senza riflettere sulle conseguenze umane delle loro azioni». Aggiunge che, dopo il successo del film e la polemica che è seguita, le cose non sono migliorate: «La repressione nei confronti degli immigrati si è semmai inasprita. Il governo di Sarkozy è impegnato in una campagna elettorale perenne e, dopo aver fatto sparire l’estrema destra di Le Pen, deve mantenere il punto». Ma c’è poco da reprimere, osserva Loiret: «Gli immigrati verranno lo stesso, nel 2050 saranno un miliardo: un nuovo big bang! Non è cacciandoli via che risolveremo il problema, impariamo semmai ad accoglierli. Mentre noi abbiamo la preoccupazione di comprare un nuovo televisore o ci danniamo per dimagrire, milioni di persone sfidano la morte e il carcere perché non hanno niente da mangiare». Il tema dei clandestini ha sempre attratto Lioret che nel ’94 diresse Tombés du ciel: il protagonista, interpretato da Jean Rochefort, era quell’iraniano che, avendo smarrito il passaporto, passò settimane all’aeroporto Charles De Gaulle in attesa di un documento d’identità. Della storia si innamorò poi Steven Spielberg, che girò Terminal. «Gli amici mi spingevano ad attaccarlo, ma io non li ho ascoltati. Avrei dovuto mettere in mezzo gli avvocati per fare eventualmente un po’ di soldi? Non è per questo che giro film».

L'Onu all'Italia: non divulgare identità dei richiedenti asilo

'L'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati esprime preoccupazione per la diffusione alla stampa delle identita' di richiedenti asilo'. Lo dice il responsabile protezione dell'Unhcr, Paolo Artini, che ha visitato il centro di prima accoglienza di Pozzallo (Ragusa), dove si trovano un centinaio di eritrei approdati in Sicilia venerdi' notte. Artini si riferisce in particolare alla pubblicazione delle foto di cinque eritrei, arrestati dopo un tentativo di fuga dalla polizia con l'accusa di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale e danneggiamento. 'Avere diffuso i loro nomi e le loro identita' - spiega - significa mettere a repentaglio la loro sicurezza e quella dei loro familiari che risiedono ancora nel paese d'origine. Una decisione che contrasta con un principio di riservatezza per i richiedenti asilo e che puo' avere gravi conseguenze'. Il funzionario dell'Unhcr, che si trova adesso nel centro di Pian del Lago (Caltanissetta) per incontrare i cinque eritrei scarcerati oggi, sottolinea inoltre che 'l'immagine fornita ai mass media contrasta con quanto ho potuto constatare oggi: gli eritrei ospiti del Centro sono assolutamente pacifici e tranquilli, e non vedono l'ora di cominciare una nuova vita'.

Riflessioni di un giovane Italiano di origine Eritreo

Caro Mussie, non ti nascondo che la prima volta che discutemmo, a casa mia, scornandoci sul Vaticano, non capii a sufficienza che quello che dicevi, l’impegno che professavi, non era la tipica e diffusa ipocrisia cattolico-borghese che porta la stragrande maggioranza a recitare l’amore domenicale per poi fregarsene durante la settimana. Ho apprezzato molto l’intervento che hai fatto al dibattito seguito alla presentazione dell’audio documentario sulle carceri libiche, mi spiace che poi sono scappato ma non mi sentivo bene, tanto che poi mi è venuta la febbre. A mio modo di vedere la destra di oggi cavalca il principio liberale per cui se a qualcuno gli è stata data la possibilità di sviluppare se stesso, ma lui non ne ha fatto un uso adeguato riducendosi in povertà (non gli andava di studiare, di lavorare, etc.), allora la colpa è sua, e gli altri (lo Stato) non sono tenuti a far nulla per alleviare la sua condizione. Un liberale di sinistra di un paese occidentale, d’altra parte, potrebbe benissimo abbracciare la politica dei diritti umani affermando che molte delle persone che bussano alle porte del proprio paese non hanno avuto la possibilità di scegliere la loro condizione, e che quindi, non essendo colpa loro, il proprio stato dovrebbe aiutarle. Pur tuttavia questo aiuto non può assumere le caratteristiche di un imperativo vincente, poiché non è stato lo stato occidentale a limitare la libertà di tali bisognosi, ma un’entità terza (i dittatori del terzo mondo): pertanto verrebbe pienamente rispettato il principio individualistico-liberale per cui gli unici doveri sono quelli di non danneggiare gli altri (in questo caso gli altri sono stati danneggiati da un terzo, quindi lo stato occidentale non deve sobbarcarsi delle conseguenze prodotte dagli altri). Infine, l’ultima e rara forma di liberalismo, che di individualistico ha il punto di partenza ma non certo quello di arrivo: rappresentata da chi parte dal valore dell’individuo (ciascuno si realizza coltivando i propri bisogni) e finisce mettendo a rischio i propri bisogni per curare la possibilità che altri individui abbiano le stesse libertà e possibilità: Hegel lo chiamerebbe un individualismo che si universalizza, che parte da sé e scopre il suo opposto, l’universale, in cui la libertà di ciascuno non finisce dove inizia quella dell’altra, bensì trova la sua più piena manifestazione nella sfera dell’altro. Le caratteristiche contraddittorie di questo liberalismo spiegano perché è difficile pensare a un individualista (che sia veramente tale) che si sacrifica per gli altri. Secondo la mia lettura l’oppressione non finirà perché gli uomini sacrificheranno i propri interessi per quelli degli altri. Un comportamento non più individualistico tra gli uomini potrà realizzarsi solo sotto la spinta di una società che non si riproduce più cibandosi di individualismo. Sono la società, il mondo sociale, le persone con cui cresco che determinano le mie caratteristiche (e quindi il mio non essere individualista); Marx la metteva così: “non è la coscienza degli uomini a determinare il loro essere sociale, ma il loro essere sociale a determinare la loro coscienza”. L’oppressione, a mio avviso, finirà semmai quando gli uomini si conquisteranno la consapevolezza che i propri interessi si salvaguardano solo curando anche quelli degli altri, nell’unità tra i poveri. Gli interessi degli altri, degli ultimi del mondo, non è vero che non sfiorano quelli degli occidentali, la miseria degli ‘altri’ non è causata da terzi, bensì dall’elite dell’occidente, dagli stessi uomini che causano il disagio della maggioranza degli occidentali. Solo quando la rabbia dell’occidente non sarà più contro l’immigrato, quando quella dei poveri non sarà più contro gli ‘infedeli’ e non esisteranno più capri espiatori, solo allora sarà possibile individuare l’unica causa comune. Questo è vero proprio per quello che dicevi te nell’intervento fatto al Cinema L’Aquila quando ci siamo incontrati durante la proiezione dell’audio documentario sulle carceri libiche, cioè che i governi occidentali hanno tutto l’interesse affinché i dittatori dei paesi poveri rimangano lì visto che gli garantiscono accordi vantaggiosi (le varie collaborazioni tra il governo Berlusconi e Afwerki). Più in generale, ciò è causato dalle regole stesse del capitalismo: se io popolazione eritrea lavoro 8 ore al giorno con dei mezzi di produzione antiquati (perché sono povero), allora produco in una giornata quello che nei paesi ricchi si produce in mezza giornata, per cui i prezzi delle mie merci verranno dimezzati (lo stesso paio di scarpe un occidentale lo produce in un’ora, io africano invece ci metto 2 ore: il prezzo che detterà legge sul mercato sarà quello più competitivo, e quindi io africano venderò sul mercato una cosa che ci ha messo due ore a farla, ma ad un prezzo corrispondente ad un’ora di lavoro). I profitti che così farò saranno minori di quelli dei paesi ricchi (loro vendono il doppio di me) e quindi gli investimenti che farò per migliorare i miei macchinari saranno inutili perché i paesi ricchi avranno ancora più soldi per migliorare i loro macchinari. Il risultato sarà che i macchinari dei più poveri saranno sempre più antiquati rispetto ai macchinari dei più ricchi. In verità, una analisi del genere non ha un’utilità diretta nel momento in cui decido di attivarmi per cambiare la situazione dei profughi, però ti consente di comprendere meglio il terreno su cui ci si muove, di capire il tipo di ostacoli che ci si trova di fronte e la loro reale entità, in modo da non fare l’errore di pretendere cose impossibili da realizzare peccando di estremismo. Come avrai capito, tutti questi studi compiuti a partire dagli anni universitari, li ho portati avanti non solo per un interesse teoretico-scientifico, ma soprattutto perché ho sempre sentito e voluto ridare dignità alla parte africana di me. L’esser i miei genitori immigrati eritrei, l’aver da loro, e dalla comunità eritrea che ho fin da piccolo frequentato, preso buona parte di quello che sono, ha costituito l’originaria spinta che mi ha portato allo studio dell’antropologia nei primi tre anni di università, così come quello della filosofia e del marxismo che ho coltivato nella parte restante. Un saluto sentito, Alessio

L'Italia degli immigrati a Milano

Seconda edizione degli Stati Generali Al via la seconda edizione degli Stati Generali “Se vuoi arrivare primo, corri da solo. Se vuoi andare lontano, cammina insieme”. E’ il proverbio africano che fa da slogan alla seconda edizione degli Stati generali degli immigrati, l’autoconvocazione dei cittadini stranieri in programma sabato 28 novembre al teatro Dal Verme di Milano dalle 9 alle 14.30. Immigrazione e integrazione sono i temi al centro del dibattito dell’iniziativa che, dopo l’esperienza del 2006, avrà come filo conduttore il cammino degli immigrati nella nuova Italia. "Si tratta di una vera e propria autoconvocazione che nasce dalla presa di coscienza di quanto ci sta accadendo intorno – spiega Otto Bitjoka, presidente della Fondazione Ethnoland, che organizza l’evento –. Questa nuova consapevolezza non appartiene più al singolo individuo ma all’intero corpo immigrato. Oggi sappiamo che o si diventa protagonisti subito o mai più". Agli Stati Generali parteciperà anche quest’anno un pubblico variegato comprendente cittadini di molteplici etnìe, rappresentanti delle istituzioni come la vice presidente del Senato Emma Bonino, il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, il presidente del Tribunale della città meneghina Livia Pomodoro, esperti e associazioni di immigrati, provenienti da tutto il territorio nazionale. Secondo l’ultimo rapporto del Dossier Statistico Caritas Migrantes, gli immigrati in Italia hanno ormai raggiunto la soglia dei quattro milioni e mezzo e attualmente producono, stima Unioncamere, il 9,5% del Prodotto Interno Lordo nazionale. "Se tre anni fa, lanciando gli Stati Generali sotto lo slogan ‘Ci siamo’, abbiamo voluto marcare la nostra presenza che stava diventando sempre più forte, oggi vogliamo che le nostre ‘legittime aspettative’ siano ascoltate – sottolinea Bitjoka –. Non possiamo più aspettare che le cose cambino da sole. È arrivato il momento di farci avanti per far sentire le nostre ragioni".

mercoledì 25 novembre 2009

Jus Soli in un paese Civile, ma in Italia NO.

Immigrati/Da Cie a carceri,odissea di 28enne 'senza cittadinanza' Garante detenuti Lazio: Emblema delle difficoltà delle leggi Roma, 25 nov. (Apcom) - Non è cittadino italiano perché nato in Italia da genitori rom di origine bosniaca, ma non è neppure cittadino bosniaco, perché l'ambasciata di quel Paese rifiuta di riconoscerlo essendo nato fuori dai confini nazionali. E così un giovane di 28 anni è costretto a passare un anno fra Centri di identificazione e espulsione (Cie) e carceri perché 'impossibilitato' a dare seguito all'ordine di espulsione dall'Italia. La vicenda è stata denunciata dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. N.G., protagonista della vicenda, nasce ad Aversa, dove i genitori rom di origine bosniaca sono arrivati dopo lo scoppio della guerra nella ex Jugoslavia. Arrestato per furto, il giovane viene condannato a 8 mesi di detenzione. Scontata la pena viene trasferito nel Cie di Ponte Galeria, a Roma, dove in sei mesi di trattenimento non si riesce ad espellerlo perché l'ambasciata della Bosnia non lo riconosce come cittadino. Il giovane lascia quindi il Cie con un foglio di via e l'invito a lasciare il territorio italiano entro 5 giorni, ma non può farlo perché non saprebbe dove andare visto che la Bosnia non lo considera suo cittadino. Fermato dalla polizia dopo pochi giorni per "mancata ottemperanza al decreto di espulsione", viene condannato e riportato in carcere e da qui, presumibilmente, a fine pena di nuovo in un Cie dove, dopo altri sei mesi, riceverà un nuovo foglio di via¿ Il tutto senza soluzione di continuità. "Quello che denunciamo non è un caso limite - commenta Marroni - ma l'emblema delle difficoltà pratiche che esistono nell'applicare le normative di contrasto all'immigrazione irregolare e clandestina. Magari le leggi, per essere efficaci, dovrebbero essere seguite da intese e trattati con i Paesi esteri maggiormente interessati per evitare, ancora una volta, di risolvere un fenomeno di rilevanza sociale ed economica come l'immigrazione facendo ricorso al carcere". http://www.apcom.net/newscronaca/20091125_212301_52e1a0e_77097.html

COMUNICATO STAMPA

Roma 24 novembre 2009 Italia: allarme protezione rifugiati In pochi giorni si sono susseguiti 3 fatti diversi, ma ugualmente gravi, che hanno messo a rischio la protezione dei rifugiati in Italia. 1. La Questura di Ragusa in data 23 novembre ha diffuso alla stampa i nominativi e le foto di 8 eritrei arrivati a Pozzallo in uno sbarco di circa 200 persone la scorsa fine settimana, mettendo in grave rischio le persone stesse, ma ancor più i loro familiari rimasti nel paese d’origine. Peraltro non c’era alcuna necessità investigativa di diffondere i dati e le foto perché le persone sono tutte in arresto nel carcere di Modica. 2. Una delegazione di autorità turche in data 17 novembre ha visitato il Centro per Richiedenti Asilo di Castelnuovo di Porto nella Provincia di Roma nonostante al suo interno fossero ospitati circa 30 richiedenti asilo turco-curdi. 3. Sono giunti ieri mattina a Al Zuwara, Libia, i circa 79 migranti e rifugiati provenienti da Eritrea,Nigeria e altre nazionalità tra di loro anche quattro donne incinte e una bambina di due anni riportati da due motovedette libiche che li hanno intercettati nel fine settimana a circa 50 miglia a Sud di Lampedusa, dopo una segnalazione da parte delle autorita' italiane. Le persone a rischio di naufragio dopo 6 giorni in mare avevano infatti richiesto aiuto alle forze italiane. “Se viene confermato che l’intercettazione è stato resa possibile grazie ad una segnalazione delle autorità italiane sarebbe la prima volta che la politica dei respingimenti viene “delegata” alle forze navali libiche e fatta operativa in acque non di loro competenza, molto lontano dalle loro acque territoriali e dalla loro zona SAR- Search and Rescue” dichiara Christopher Hein. “Siamo estremamente preoccupati che in queste varie misure la sicurezza di persone che cercano rifugio in Italia sia messa gravemente in pericolo. Chiediamo al governo di dare istruzioni affinché in ogni caso la riservatezza della procedura d’asilo sia garantita e ribadiamo la nostra contrarietà a questa nuova forma di respingimento in mare che espone rifugiati ad una situazione dove non esiste alcuna garanzia alla loro protezione ” conclude Hein. Per ulteriori informazioni: UFFICIO STAMPA CIR - Valeria Carlini tel. 06 69200114 int. 216 tel. 320 81 87 167 E-mail: cirstampa@cir-onlus.org; carlini@cir-onlus.org Sito www.cir-onlus.org

Criteri di valutazione per concedere la cittadinanza italiana

Secondo Sacconi, infatti, che aveva gia' parlato di cittadinanza a punti, a valutare il diritto di cittadinanza di una persona, e quindi a determinare un maggiore e minore punteggio nella valutazione da parte dello Stato di accoglienza, potranno essere alcuni criteri come "la conoscenza della lingua italiana, la conoscenza della Costituzione e anche la capacita' autoimprenditoriale" Chiediamo al Ministro questo criterio vale anche per i figli di immigrati nati in Italia? se fosse cosi anche tutti bambini che nascono in Italia dovrebbero sostenere questi esami di conoscenza della lingua, costituzione, e capacita auto imprenditoriale. In Italia quanti sarebbero queste persone che rispondo a questi criteri di valutazione? Spero che i figli di stranieri nati sul suolo italiano siano trattati ugualmente ai figli di italiani nati in Italia. Questi elementi discriminanti che si vuole introdurre quando gli stessi cittadini italiani non risponderebbero nella loro totalità ai criteri sopra menzionati, allora perché si pretende che i nuovi cittadini di origine straniera devono essere dei super con delle conoscenze al disopra della media. Forse si vuole creare nuovi cittadini di nicchia, una elite di cittadini imprenditori di origine straniera? Finché si chiede la conoscenza della lingua va pure bene, ma la pretesa di conoscere la costituzione addirittura imprenditori, chi non ha questa capacita imprenditoriale, ma lavora onestamente e pagale le tasse, non ha diritto alla cittadinanza? Se uno non ha violato la legge, e legalmente residente, lavora onestamente e paga le tasse allo stato, questi sono già criteri sufficienti per valutare.

Sacconi: "Per cittadinanza criterio qualitativo non cronologico"

Roma, 25 novembre 2009 - La cittadinanza italiana dovrebbe essere concessa in base a "un criterio qualitativo e valutativo e non cronologico quantitativo come avviene oggi". A rilanciare il tema della cittadinanza, in materia di immigrazione, è stato il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, durante una conferenza stampa successiva al bilaterale con il ministro spagnolo al Lavoro e all'Immigrazione Celestino Gorbacho, presso il ministero del Lavoro a via Veneto. Secondo Sacconi, infatti, che aveva gia' parlato di cittadinanza a punti, a valutare il diritto di cittadinanza di una persona, e quindi a determinare un maggiore e minore punteggio nella valutazione da parte dello Stato di accoglienza, potranno essere alcuni criteri come "la conoscenza della lingua italiana, la conoscenza della Costituzione e anche la capacita' autoimprenditoriale". "Ho ipotizzato che la cittadinanza - ha spiegato Sacconi - sia un punto di arrivo, una conquista per una persona che abbia una determinazione e una coerenza nel desiderare di appartenere alla nostra comunita' nazionale". Il ministro ha sottolineato che per ora si tratta di una "ipotesi di lavoro aperta la quale non ha incontrato opposizioni pregiudiziali ma anche adesioni, e questo mi fa piacere", ha sottolineato.

Immigrati. Fini ai giovani stranieri: "Chi dice che siete diversi è uno stronzo"

21 Novembre 2009 I disegni attaccati alle pareti, i cartelloni colorati con le lettere dell'alfabeto, i collage con i pupazzi dei cartoni animati. Una scuola come tante a vederla, il centro "La semina" a Tor Pignattara a Roma. Sono i piccoli ospiti ad essere "particolari". Sono tutti figli di immigrati. Molti nati in Italia, qualcuno nei paesi d'origine della famiglia: Bangladesh, Eritrea, Cina, Marocco, Filippine. Pochi conservano tracce di una lingua straniera, i più parlano italiano, anzi romanesco, senza incertezze. Stamattina a far visita al centro, nel quartiere dell'ormai ex-periferia romana, è andato il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Ai piccoli dagli occhi scuri che stentavano a star fermi sulla sedia, Fini ha risparmiato il solito copione da cerimoniale. Nessun discorso. Si è piazzato, microfono in mano, tra i ragazzi e li ha intervistati. "Sulla cittadinanza di parole ne ho dette tantissime, forse troppe. Sono qui per ascoltare voi, perché la politica deve saper ascoltare anche quello che i cittadini hanno nel cuore", ha spiegato il presidente della Camera che pure qualche parola l'ha voluta dire indirizzandola a chi ha pregiudizi sugli immigrati. "Voglio sapere da dove venite, se c'è qualcuno che vi fa pesare il fatto che i vostri genitori non sono italiani, se c'è qualche stronzo che vi dice qualche parola di troppo", ha scandito tra le risate dei ragazzi. "Anche il presidente della Camera qualche volta dice parolacce e se qualcuno vi dice che siete diversi, la parolaccia se la merita. Voi pensatela e io la dico", ha assicurato Fini. L'intervista di Fini ai ragazzi è andata avanti quasi due ore in un clima di informalità crescente man mano che gli studenti superavano la timidezza. Tra i primi si è fatto avanti un bimbo marocchino di 12 anni, occhi nerissimi e furbi, marcato accento romanesco. "Tu mi sa che sei un bel paraculo", lo ha apostrofato Fini. Poi è stato il turno di una ragazza del Bangladesh di diciotto anni e musulmana. Il presidente della Camera le ha chiesto se obbedirebbe a suo padre se le imponesse, come autorizza una certa interpretazione del Corano, un marito. "Sarei parecchio contrariata", ha risposto la ragazza e Fini: "Bene, direi che sei perfettamente integrata". Il presidente della Camera ha spiegato ai ragazzi che il senso delle sue domande era quello di capire quanto siano ormai "italiani" a tutti gli effetti, né più né meno dei loro coetanei figli di italiani. Insomma, una dimostrazione sul campo di quanto il presidente della Camera va dicendo da tempo, ovvero la necessità di abbrevviare i tempi per la cittadinanza per bambini come quelli del centro di Tor Pignattara. Belle parole ma, ha chiesto un ragazzino, "come farà a convincere di tutte queste cose quelli di destra?". Alla domanda, Fini è scoppiato a ridere: "Belle domanda questa!", poi ha argomentato: "Si convinceranno, si convinceranno. Certo bisogna discutere e bisogna convincere quelli di destra ma anche qualcuno a sinistra. Ma se parlano di voi da un bel salotto, non si convinceranno mai. Se non vengono qui e non parlano con voi , non potranno mai capire. Ma saranno loro in torto e non di certo voi". Fini è voluto andare appunto a parlare con i ragazzi per avere un riscontro reale su un tema come la cittadinanza. "Se ne può parlare in astratto come principio, ma venire qui a sentire quello che dicono questi bambini e trovi la conferma di tante cose. Io - ha detto poi ai cronisti il presidente della Camera - ho avuto la conferma che non c'è nessuna differenza tra un bimbo che nasce in un quartiere di periferia a Milano da genitori lombardi e ragazzi come questi che sono nati in una periferia romana e sono figli di genitori stranieri. Questi ragazzini sono già italiani". Fini ha poi "bacchettato" la stampa per "i riferimenti etnici" usati nei titoli quando si parla di reati, cosa che può portare "all'equazione: straniero uguale delinquente. È un modo superficiale di informare. Se un romeno o un eritreo scippa una signora italiana il titolo è 'Romeno scippa...'. È un modo superficiale di informare: ci sono stranieri delinquenti così come ci sono italiani delinquenti, ma gli uomini sono tutti uguali e devono essere trattati nello stesso modo dalla legge, dalla stampa e dalla politica". Infine, un accenno alla Bossi-Fini. "Quella legge ha funzionato e il suo spirito era giusto. Oggi farei un paio di modifiche". Innanzitutto sui tempi per trovare lavoro: "C'è la crisi economica e sei mesi di tempo per trovare un altro lavoro quando si resta disoccupati è troppo poco. Allungherei i tempi almeno fino ad un anno perché in sei mesi è francamente complicato trovare lavoro di questi tempi". Inoltre, per Fini è necessario "rendere più veloce un adempimento burocratico" come quello del rinnovo del permesso di soggiorno. Dopo la richiesta di autografi e le foto con i telefonini dei ragazzi, prima di andarsene Fini ha dovuto anche ascoltare le ragioni di un'altra generazione. Dopo i piccoli stranieri, gli anziani romani. Hanno protestato con il presidente della Camera perché "sfrattati" dal loro centro per ospitare la scuola per i bimbi immigrati. "I bambini restino pure - dice un'anziana di 83 anni - ma ci diano un posto pure a noi vecchi". Fini ha promesso che darà una mano. http://www.loccidentale.it/articolo/immigrati.+fini+ai+giovani+stranieri:+%22chi+dice+che+siete+diversi+%C3%A8+uno+stronzo%22.0082089

Volontariato: medici calabresi in missione

Si è conclusa, la settima missione operativa in Eritrea del Direttivo Asmev, la prima da quando, lo scorso 2 ottobre, è divenuta Asmev-Calabria. I medici Roberto Pititto, Gianni Amendola e il tecnico Francesco Zappone, è scritto in una nota, hanno presentato al ministro della Salute eritreo, Amna Nurhussein, il piano dei costi e degli interventi, per il centro di emodialisi, istituito nell'ospedale Orotta di Asmara, già in funzione dal gennaio 2008. In questo periodo, pur ancora a regime ridotto, il Centro dialisi "Calabria", che è in fase di potenziamento con nuovi reni artificiali e relativa tecnologia medica, ha già praticato oltre 450 interventi su pazienti in crisi renale acuta, grazie al precedente addestramento del personale medico e paramedico eritreo. Il piano triennale sanitario concordato con il Ministro eritreo prevede la somministrazione di almeno mille terapici all'anno, la cui spesa complessiva si aggirerà intorno ai 450 mila euro. Il 30% di questa spesa, sarà sostenuta dal Governo eritreo e il rimanente 70%, sarà invece sostenuto da Asmvev-Calabria. Il direttivo Asmev-Calabria è stato ricevuto anche dal dott. Ghermay, direttore del neo-Ufficio coordinamento sanitario Internazionale, una istituzione che prelude una nuova e più distesa apertura operativa, sul piano della cooperazione internazionale tra l'Occidente e l'Eritrea. Dal dirigente, hanno appreso che il Governo eritreo, pur con un risicatissimo pil nazionale, intende investire, per prevenire patologie degenerative, quale appunto è l'insufficienza renale. Infatti, ha commentato Roberto Pititto, "la scelta eritrea è lungimirante, perché il rene, tra gli organi funzionali del corpo umano, è quello destinato ad una maggiore degradazione. Più la popolazione invecchia in modo longevo, più saranno le insufficienze renali. Tra qualche decennio, anche in Africa, con un allungamento della vita, le insufficienze renali, rispetto ad oggi, si moltiplicheranno, con un aumento spaventoso di vite umane stroncate e anche di altissimi costi economici". Non è dunque un caso che Asmev-Calabria, oltre ad allestire il primo Centro Dialisi esistente in tutta l'area del Corno d'Africa, abbia deciso di dedicare molte risorse alla formazione specialistica in nefrologia dei medici eritrei, con un corso universitario di 40 ore di lezione, per prevenire meglio le patologie degenerative di questo importante e vitale organo. Anche l'Ambasciatore italiano, Gaetano Martinez Tagliavia, durante una colazione di lavoro, insieme ai componenti del direttivo Asmev-Calabria, ha espresso il suo personale compiacimento, per il progetto e l'opera svolta fino ad ora, da questa piccola associazione di volontari.

SANITA': ROMA; S.GIOVANNI CAPOFILA PER ASSISTENZA RIFUGIATI

(ANSA) - ROMA, 24 NOV - L'azienda ospedaliera San Giovanni - Addolorata di Roma sara' il centro di riferimento nazionale del ''Network italiano per i richiedenti asilo e i sopravvissuti alla tortura'' (Nirast). Il progetto sara' presentato durante il corso nazionale di formazione ''Identificazione certificazione e cura dei richiedenti asilo e rifugiati sopravvissuti a tortura e violenza estrema'', che si svolgera' dal 25 al 27 novembre a Roma nella sede dell'Arciconfraternita di S.Omobono. Con il progetto Nirast, l'azienda San Giovanni si propone come guida per il trattamento dei traumi e violenze estreme per i richiedenti asilo. L'iniziativa riunira' 10 centri nazionali medico-psicologici del servizio sanitario nazionale, istituiti nelle varie regioni italiane, e - ha spiegato il direttore generale del San Giovanni - Addolorata, Luigi D'Elia - ''ha grande valore non solo sanitario e sociale, ma anche umanitario''. ''Il dottor Massimo Germani a cui e' stata affidata dall'Azienda l'Unita' operativa che svolge anche l'attivita' di identificazione e certificazione per i rifugiati sopravvissuti a torture - ha concluso D'Elia - e' stato nominato coordinatore a livello nazionale dei 10 centri facenti parte del Progetto Nirast''.(ANSA).

Immigrati, la Puglia approva Ddl

BARI – E' stato approvato stamane dal Consiglio regionale pugliese un disegno di legge "per l'accoglienza, la convivenza civile e l’integrazione degli immigrati in Puglia". Il provvedimento, che comprende una serie di iniziative in favore degli immigrati è stato approvato con il voto favorevole della maggioranza di centrosinistra e quello contrario del centrodestra. Secondo i dati forniti in aula, gli immigrati residenti nella regione, al 31 dicembre 2006, ammontano a 51.242 unità, rispetto alle 35.092 del 2002. Il testo prevede l’istituzione della Consulta regionale per l’integrazione degli immigrati, l'istituzione dell’Osservatorio regionale per l’immigrazione, la disciplina dei servizi di mediazione culturale e interculturale, norme in materia di assistenza sanitaria, di istruzione e formazione professionale, di inserimento lavorativo, interventi abitativi, di assistenza per le vittime di tratta, violenza e schiavitù. Una specificità è quella dell’adozione degli standard degli "alberghi diffusi" per gli immigrati, in via di sperimentazione in provincia di Foggia (utilizzati soprattutto dagli immigrati impiegati nei campi agricoli). Per quanto riguarda il diritto alla salute dei cittadini stranieri, è stabilito che in Puglia «le aziende sanitarie sono tenute a rendere concretamente fruibili per i cittadini stranieri non iscritti al servizio sanitario regionale, anche con opportuni progetti di informazione, di educazione alla salute e utilizzando i mediatori culturali, tutte le prestazioni previste». Destinatari del provvedimento sono i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea e gli apolidi in regola con le disposizioni sull'ingresso ed il soggiorno nel territorio nazionale. Interventi specifici sono previsti anche in favore di cittadini stranieri comunque dimoranti sul territorio regionale, dei cittadini stranieri titolari di permesso di soggiorno per richiesta di asilo, 'status' di rifugiato, protezione sussidiaria o ragioni umanitarie e dei cittadini neocomunitari, quando non destinatari di forme di tutela più favorevoli. http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_dallapuglia_NOTIZIA_01.php?IDNotizia=287311&IDCategoria=11

lunedì 23 novembre 2009

IMMIGRATI: MIGRANTES, MINORI STRANIERI SONO SPERANZA PER FUTURO SOCIETA'

(ASCA) - Roma, 23 nov - ''Non c'e' dubbio che il minorenne straniero e' una grande risorsa umana e speranza per il futuro della societa' e della Chiesa''. E' quanto scrive mons.Piergiorgio Saviola, direttore generale della Fondazione Migrantes, in un messaggio per la prossima Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato, che si celebrera' il prossimo 17 gennaio. Il messaggio del Papa per la Giornata, sul tema ''I migranti ed i rifugiati minorenni'', sara' presentato venerdi' prossimo, 27 novembre, con una conferenza stampa a cui parteciperanno mons. Antonio Maria Veglio' e mons. Agostino Marchetto, rispettivamente presidente e segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti. Nel nostro Paese i minori stranieri superano le 800mila unita': di questi molti sono nati in Italia da ambedue i genitori stranieri. ''Non vanno dimenticati - aggiunge mons. Saviola - gli adolescenti che si sono avventurati da soli nell'emigrare ed altri che hanno a che fare con la giustizia''. Mons. Saviola cita anche i ''notevoli vantaggi derivanti dalla presenza dei minori'', che sono ''il segno piu' chiaro e la spinta piu' forte per la stabilita' del progetto migratorio e il progressivo inserimento della famiglia nella nostra societa'; essi stessi molto spesso fungono entro le pareti domestiche da mediatori linguistici e culturali e, data la loro eta' e innocuita', molto concorrono a stemperare animosita', pregiudizi e riserve sul conto degli stranieri''.

IMMIGRATI:CALDEROLI, NON CHIEDONO NE' VOTO NE' CITTADINANZA

Questa affermazione non corrisponde al vero, in quanto tante associazioni di immigrati chiediamo ormai da anni un inclusione sociale nella vita della società. Quindi anche il diritto di voto, il diritto di cittadinanza ai nostri figli nati sul suolo italiano, e la cittadinanza a noi immigrati regolarmente residenti in Italia, riducendo gli anni di residenza dai attuali 10 anni richiesti dalla legge a 5 anni di residenza. Questo lo chiediamo oggi come ieri. Mosè

Cittadinanza a punti? No grazie!

La proposta del ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, che annuncia l'arrivo entro fine anno di un 'Piano nazionale per l'integrazione nella sicurezza degli immigrati in Italia' che prevederà la possibilità di acquisire la cittadinanza con una sorta di meccanismo 'a punti', con riconoscimenti graduali legati non tanto al tempo quanto al livello individuale di inserimento di integrazione del singolo straniero nella realtà italiana. Chi lo decide e chi da i punti? Questa procedura sarà fonte di un clientlismo e corruzione spaventoso. L'ennesima procedura a discrezione di qualche funzionario di questure o altri uffici, come al solito ci saranno svariate forme di discriminazioni per cui non si da la cittadinanza. Noi vogliamo tempi certi e criteri chiari per la cittadinanza. La proposta di On. Sacconi vuole ridure gli immigrarti a chiedere elemosina per ottenere la cittadinanza, come avviene oggi per il permesso di soggiorno, devi andare continuamente nei sportelli a chiedere per favore, sperando che i tempi biblici che ci mettono per rinnovare si accorcino. Tutto perché non ce nessuno che applica la legge. Tempi certi entro i quali bisogna dare risposta alle persone interessate, oltre il quale deve scattare la sanzione da parte di un tribunale che diffende i diritti della persona. Tutto questo in Italia non accade, migliaia di immigrati vivono in condizioni precari, si ammalano, sofrono. Bisogna migliorare non regredire, la proposta del ministro e una regressione. Mosè

domenica 22 novembre 2009

200 migranti a Pozzallo in un barcone da 12 metri

Tra loro 47 donne, una delle quali in avanzato stato di gravidanza, e 4 bimbi, tra i quali un neonato. Sono arrivati questa notte, dopo le 23.30, nel porto di Pozzallo i 198 immigrati di nazionalita' eritrea intercettati nel Canale di Sicilia da mezzi della Capitaneria di porto e della Guardia di finanza. Tra loro 47 donne, una delle quali in avanzato stato di gravidanza, e 4 bimbi, tra i quali un neonato sottoposto alle cure di un medico, fatto giungere urgentemente sul posto con un pattugliatore della Finanza. Il barcone di circa 12 metri, stipato fino all'inverosimile, intorno alle 15 era stato avvistato da un elicottero delle Fiamme gialle a circa 50 miglia a sudest di Capo Passero. Subito dopo le operazioni di soccorso conclusesi stanotte. Sono scattate le operazioni di identificazione degli scafisti responsabili del reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Le indagini sono seguite dalla procura di Modica.

Fini usa parolaccia contro chi pensa che immigrati siano diversi

Il presidente della Camera Gianfranco Fini, autore in passato di una legge restrittiva sugli immigrati che porta anche la firma del leader della Lega Nord Umberto Bossi, ha detto oggi a un gruppo di ragazzi che chi pensa che gli stranieri siano diversi è "uno stronzo". "Qualche volta c'è qualche stronzo che dice qualche parola di troppo?", ha detto l'ex leader di An questa mattina durante un incontro, ripreso dalle telecamere, con un gruppo di bambini e giovani immigrati in un centro diurno in quartiere popolare di Roma. "Il presidente della Camera... parla anche lui come voi, quindi anche se ha detto una parolaccia l'importante è non offendere nessuno. Ma se qualcuno vi dice che siete diversi per il colore della pelle o perché venite da un altro paese, la parolaccia la merita. Voi la pensate, gliela dico io, così siamo pari", ha detto ancora Fini. La terza carica dello Stato ha detto di ritenere giusta la legge sull'immigrazione che porta anche il suo nome oltre a quello del ministro e leader leghista Bossi, pur aggiungendo che farebbe "un paio di modifiche". Fini ha proposto, provocando le reazioni polemiche di una parte del suo stesso partito, il Pdl, e della Lega, di dare il voto amministrativo agli immigrati residenti da alcuni anni e di modificare la legge sulla cittadinanza per favorire i figli di stranieri nati in Italia. Il presidente della Camera se l'è anche presa con i media che usano "riferimenti etnici" nelle notizie che potrebbero indurre i cittadini a pensare che gli immigrati sono delinquenti.

martedì 17 novembre 2009

Fini “Riforme il più possibile condivise”

Ma un gruppo di leghisti contesta il presidente della Camera sul voto agli immigrati di Giovanna Albertin Da Prato, dove è intervenuto in una seduta straordinaria del Consiglio comunale per i 720 anni della sala consiliare, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, esorta le forze politiche ad impegnarsi al massimo per riforme che siano “quanto più possibile condivise”. E pur ricordando che la nostra Costituzione consente di riformare la Carta procedendo “a maggioranza ordinaria”, Fini suggerisce di trarre insegnamento dalla “esperienza recente”, elargendo poi nuove indicazioni ad uso e consumo dei colleghi del Pdl. “Riscrivere le regole - dice Fini - deve necessariamente comportare l’impegno per una riscrittura che sia quanto più possibile condivisa, perché le regole riguardano tutti” e le istituzioni “sono le istituzioni di ogni italiano”, spiega il presidente della Camera. Dunque, “non ci si deve stancare di cercare il confronto”. “Sarebbe certamente un momento difficile per il nostro Paese quello in cui dovesse affermarsi il principio che, in una democrazia dell’alternanza, ogni maggioranza modifica a proprio piacimento quelle che sono le regole del vivere civile”, ma “è certamente possibile - ricorda Fini - farlo avvalendosi di maggioranze ordinarie”. In questo caso le riforme sono sottoposte al vaglio del popolo sovrano, tramite referendum confermativo, ma “l’esperienza recente deve insegnare a tutti - avverte Fini - che, se vogliamo riforme condivise in grado di gettare solide basi di credibilità delle istituzioni per il prossimo futuro, non ci si deve stancare di cercare il confronto ed evidenziare positivamente quello che può unire, mettendo in disparte o in secondo piano tutto ciò che può dividere”, il nostro Paese “non può continuare a dilaniarsi come in una perenne campagna elettorale”. Il presidente della Camera ha poi affrontato il tema dell’immigrazione, sottolineando che “non ci può essere integrazione senza legalità”. “Ci si integra solo se si è disposti a vivere in condizioni di rispetto della legalità. Se è doveroso da parte dell’Italia rispettare la cultura d’origine e le identità delle donne e degli uomini che vengono a partecipare con il loro lavoro alla crescita della nostra società, dobbiamo anche chiedere loro di rispettare le nostre leggi, parlare la nostra lingua, mandare i figli nelle nostre scuole, far proprio il valore della dignità della persona che è alla base della nostra cultura. Non si possono reclamare solo diritti senza essere pronti ad adempiere ad altrettanti precisi doveri”. Questo mentre davanti al Comune un piccolo gruppo di leghisti si preparava ad attendere all’uscita il presidente della Camera con indosso magliette nere con la scritta “No al voto agli immigrati” e “Ora di Islam a scuola, no grazie”. Visto il gruppo, Fini si è fermato brevemente per uno scambio di battute con i manifestanti affermando che “sul tema la pensiamo in maniera diversa”. La contestazione, pacifica, si è conclusa poco dopo.

Fame,Gheddafi: basta allo spoglio di terre agricole in Africa

ROMA (Reuters) - Il leader libico Muammar Gheddafi, che partecipa al Vertice Mondiale sull'Alimentazione, ha chiesto oggi di porre fine all'acquisto di terreni agricoli in Africa da parte delle nazioni che importano generi alimentari, e ha descritto il fenomeno come un "nuovo feudalismo" che potrebbe diffondersi anche in America Latina. "I paesi ricchi stanno comprando la terra in Africa. Stanno privando il popolo africano dei suoi diritti. Questo sta per succedere anche in America Latina..." ha detto Gheddafi al vertice, a cui partecipano soprattutto leader africani e sudamericani. "I piccoli agricoltori vengono spogliati delle loro stesse terre grazie ai nuovi poteri feudali che vengono dall'esterno dell'Africa e che stanno comprando la terra a un prezzo molto basso". "Dovremmo combattere contro questo nuovo feudalismo, dovremmo mettere fine a questa sottrazione di terra nei paesi africani", ha detto ancora il leader libico. La fiammata dei prezzi alimentari che ha provocato rivolte in tutto il mondo e il timore di mancanza di cibo nel 2008 ha spinto paesi come l'Arabia Saudita, la Cina e la Corea del Sud a comprare terreni agricoli all'estero. La Fao punta a varare delle linee guida per cercare di salvaguardare gli interessi talvolta configgenti degli agricoltori locali e degli investitori sul governo del suolo e delle altre risorse naturali e sta consultando aziende, agricoltori ed esperti indipendenti. Nei mesi scorsi, l'International Food Policy Research Institute, un think-tank che ha sede negli Usa, ha reso noto che dal 2006 15-20 milioni di ettari di terreno nei paesi poveri sono stati venduti o sono oggetto di negoziato per la vendita ad acquirenti esteri. I sostenitori di tali accordi affermano che essi forniscono nuove sementi, tecnologie e finanze per l'agricoltura in paesi che da decenni soffrono per la mancanza di investimenti. Il direttore generale della Fao Jacques Diouf ha detto oggi, nel corso del vertice, che "l'investimento privato dovrebbe essere incoraggiato", sia interno che estero, ma servono regole "preferibilmente nello spirito di un codice di condotta sull'investimento agricolo nei paesi in via di sviluppo".

Immigrazione: salvarono 44 naufraghi, pescatori tunisini rischiano carcere

Questa politica che vuole usare l'omissione di soccorso come strumento di contrasto all'immigrazione irregolare, con l'introduzione del reato del immigrazione "clandestina", quindi chi salva queste persone viene accusato di favoreggiamento all'immigrazione "clandestina". Questa politica spinge le persone oneste e civili che vedono delle persone in pericolo di vita a non salvarli per paura di essere poi arrestati e multati. Un imbarbarimento della civiltà del diritto alla vita, contro tutti gli sforzi fatti a livello planetario di rendere civili le leggi del mare. Queste leggi che impediscono il salvataggio dei naufraghi sono la fonte del crimine contro l'Umanità. Le statistiche ci dicono migliaia di morti nel mediterraneo, persone lasciate vagare per giorni senza soccorso, come gli 73 eritrei morti questo estate. Questi Tunisini che hanno salvato 44 migranti meritano di ricevere una medaglia al valor civile, non trascinati nei tribunali per essere condannati perché hanno salvato vite umane. Se fossero venuti che hanno salvato qualche delfino o tartarughe marine gli veniva fatto chi sa quale cerimonia, quanti applausi, per una società che ha perso la bussola la vita di un uomo vale poco, per ciò assistiamo a questo imbarbarimento delle civiltà. Mosè "Salvarono 44 migranti naufragati al largo di Lampedusa ed ora rischiano tre anni di carcere e 440 mila euro di multa. I protagonisti sono sette pescatori tunisini: l’accusa è favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. I fatti risalgono all’8 agosto del 2007, e la sentenza sarà emessa oggi dalla Corte del Tribunale di Agrigento. Lo rende noto l'agenzia giornalistica "Redattore sociale". Il caso mette in evidenza le stridenti contraddizioni tra il diritto internazionale che, con la Convenzione SAR del 1979, impone sempre e comunque il soccorso in mare e l’accompagnamento dei naufraghi in un luogo sicuro, e il Testo unico sull’immigrazione che prevede il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per chiunque porti in Italia dei migranti senza un visto d’ingresso. Al momento dello sbarco in Italia, dopo il salvataggio, i sette pescatori tunisini vennero arrestati e rimessi in libertà soltanto dopo un mese, con una sentenza del Tribunale del Riesame che arrivava dopo una manifestazione congiunta a Agrigento, Tunisi e Parigi, e dopo una petizione firmata da 106 euro-deputati. Ora la sentenza che dovrà decidere se sono o meno colpevoli del reato di favoreggiamento."

venerdì 13 novembre 2009

Allarme fame in 29 Paesi del mondo

La Repubblica Democratica del Congo o il Burundi, hanno assistito a un vero e proprio tracollo del loro stato di sicurezza alimentare. E' quanto indica il rapporto sull'Indice Globale della Fame 2009, presentato dalla rete di Ong Link 2007 e curato dall'International Food Policy Resarch Institute di Washington. Per ventinove Paesi nel mondo e' allarme fame. E alcuni di questi, come la Repubblica Democratica del Congo o il Burundi, hanno assistito a un vero e proprio tracollo del loro stato di sicurezza alimentare. E' quanto indica il rapporto sull'Indice Globale della Fame 2009, presentato dalla rete di Ong Link 2007 e curato dall'International Food Policy Resarch Institute di Washington. Rispetto al 1990, l'Indice Globale della Fame - che tiene conto della percentuale di popolazione malnutrita, della percentuale di bambini sottopeso di eta' inferiore ai 5 anni e della mortalita' infantile - e' complessivamente diminuito: dai 20 punti di quindici anni fa ai 15,2 attuali. Tuttavia, solo un terzo dei Paesi del globo ha ridotto la denutrizione. E nessuno Stato africano ha compiuto progressi significativi. Attualmente, il Paese con il piu' alto livello di malnutrizione e' la Repubblica Democratica del Congo (con un indice pari a 39,1), seguito dai Burundi, dall'Eritrea e dalla Sierra Leone. I dieci Paesi in cui l'indice e' cresciuto di piu' si trovano tutti, tranne la Corea del Nord, nell'Africa sub-sahariana. Per quanto riguarda la percentuale di popolazione sottonutrita, la maglia era spetta ancora alla Repubblica Democratica del Congo (76%) e all'Eritrea (68%). Mentre la Sierra Leone ha il piu' alto tasso di mortalita' infantile. Secondo il rapporto, conflitti, instabilita', diseguaglianza sociale e alta diffusione dell'Aids sono tra i principali fattori di crescita della fame. E proprio sulla stretta relazione tra indice di disparita' di genere e malnutrizione punta il rapporto, che pone esempi come lo Yemen, peggior Paese al mondo per divario di genere e tra gli ultimi per indice della fame, benche' si trovi in una regione - la penisola arabica - con bassi valori di denutrizione. Infine, l'Indice Globale mette in risalto anche l'altra faccia dell'allarme fame: Paesi come il Kuwait, lo Sri Lanka o il Botswana che, grazie a politiche forti, ad una rapida diffusione dell'istruzione e a specifici programmi alimentari, sono riusciti ad allontanarsi in pochi anni dalle posizioni piu' preoccupanti.

Il Fondo monetario promuove l'Eritrea: Guiderà la ripresa in Africa

Carlo Zappatori La delegazione del Fondo monetario Internazionale (Imf), nella sua missione in Eritrea dal 14 al 29 settembre 2009, ha svolto importanti consultazioni, in base all'Articolo IV, facendo seguito a quelle precedenti svolte nel mese di aprile 2008. La delegazione Imf si è incontrata con il ministro dell'Energia e delle Miniere, Ali, con il Governatore della Banca di Eritrea, Woldemariam, con il direttore generale del Tesoro, Woldeghiorghis, con il Direttore generale del bilancio ( presso il Ministero delle Finanze),Tessfaldet, e con alti funzionari e rappresentanti della comunità internazionale e della società civile. Il capo della delegazione Imf in Eritrea, Mario de Zamaróczy, ringraziando le autorità eritree per la calorosa ospitalità ricevuta e per i proficui colloqui, ha evidenziato, al termine dei lavori, che la missione del Fondo Monetario Internazionale ha avuto modo di esaminare, in maniera approfondita, tutti gli sviluppi economici successivi all'ultima consultazione e discusso con le autorità eritree le politiche macroeconomiche adottate a fronte della grave siccità del 2008, la crisi internazionale dei prezzi degli alimenti e del petrolio e la recessione globale. La crescita economica Eritrea, a causa di questi gravi avvenimenti, è risultata indebolita, con una crescita meno forte del preventivato, mentre l'inflazione è in aumento ed il progresso nel risanamento del bilancio si è, al momento, arrestato. La missione ha rilevato, però, un certo numero di settori in cui sono stati compiuti significativi progressi, correlati ai continui ed importanti investimenti nelle aziende agricole, nei progetti di irrigazione per allontanare progressivamente l'agricoltura del paese dalla dipendenza dalle precipitazioni irregolari e significativi avanzamenti nel settore industriale. La delegazione ha espresso grande apprezzamento per i validi programmi di investimenti pubblici in diversi settori settori quali l'istruzione, la salute, le attività minerarie, le infrastrutture, la produzione del cemento, il turismo, l'energia verde e la pesca. La delegazione osserva che questi importanti investimenti dovrebbero contribuire a una ripresa della crescita economica eritrea già nel medio termine. L'economia di questo piccolo, ma molto laborioso Paese del Corno d'Africa, potrà contare, per il prossimo futuro, su altri importanti fattori di crescita, come quello delle prossime estrazioni minerarie e di aumento della produzione interna di cemento, anche se vi potrebbero essere rischi al ribasso, collegati alle difficoltà di bilancio, ai disavanzi delle partite correnti, ai livelli del debito estero e interno, ed ad una inflazione in crescita. La crescita economica, anche con i positivi risvolti dei massicci investimenti effettuati, potrebbe, però, rimanere ancora, nel breve termine, al di sotto del livello necessario per conseguire una più importante riduzione della povertà. Sono state analizzate, perciò, nel corso degli incontri tra Fmi ed autorità economiche eritree, una serie di possibili misure di politica economica per incrementare la crescita complessiva e sviluppare le attività economiche del settore privato. Nel breve termine ci si dovrebbe concentrare sul ripristino del bilancio macroeconomico e finanziario, attraverso il consolidamento fiscale, sulla riduzione del finanziamento del deficit di bilancio del settore bancario, sulla riduzione dei controlli sull'importazione, per rilanciare le importazioni di beni di base e intermedi. Si è convenuto che quando cesserà la pressione internazionale, causata dalla gravissima economica mondiale in atto, sarà il momento per riportare l'inflazione sotto controllo, con graduali politiche fiscali e monetarie, per non rallentare il processo di sviluppo economico futuro, innescato dai massicci investimenti pubblici in atto in tutti i settori economici. Saranno individuate priorità di spesa da parte governo eritreo, per aumentare l'efficacia della spesa pubblica in un ambiente con risorse finanziarie ancora troppo limitate. Il Fondo monetario suggerisce, inoltre, l'adozione, a medio termine, di misure che promuovano la competitività esterna, la liberalizzazione del settore finanziario, l'eliminazione delle strozzature amministrative e l'incentivazione di investimenti privati nei settori produttivi. Il Fondo monetario conclude il suo rapporto affermando che, con corrette politiche di riforma, con lo sviluppo delle ricchezze umane e con il potenziale delle risorse minerarie, l'Eritrea potrebbe essere in buona posizione per la ripresa dopo la fine della recessione mondiale. Questo rapporto conferma la bontà della nuova politica del Governo Berlusconi di apertura al continente africano, ed all'Eritrea, in particolare, il cui sforzo gigantesco di puntare all'eliminazione completa della povertà ed allo sviluppo economico per portare benessere alla propria gente, deve essere sostenuto dall'Italia. Il nostro Paese rimarrà, così, il partner economico e commerciale di riferimento di un popolo molto laborioso e a noi così legato da forti vincoli storico e culturali, che vanno, però, rinsaldati e meglio valorizzati.

giovedì 12 novembre 2009

VATICANO - Concluso il VI Congresso mondiale della pastorale per i migranti:

“non possiamo tacere di fronte a chi specula sulle vite dei migranti e dei rifugiati”; sollecitata l’adozione e la ratifica delle normative internazionali che tutelano e promuovono la persona umana Città del Vaticano (Agenzia Fides) – Si sono conclusi questa mattina i lavori del VI Congresso Mondiale della Pastorale per i Migranti e i Rifugiati, con l’approvazione del Documento Finale che sarà reso pubblico quanto prima. L’Arcivescovo Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti e degli Itineranti, nel suo intervento conclusivo ha ricordato che il Congresso si era aperto “nel giorno anniversario della Beatificazione del Vescovo Giovanni Battista Scalabrini, che il Servo di Dio Giovanni Paolo II definì “Padre dei Migranti””, quindi ha rivolto un ringraziamento al Santo Padre Benedetto XVI, per l’udienza concessa e per aver ribadito che “la Chiesa invita i fedeli ad aprire il cuore ai migranti e alle loro famiglie, sapendo che essi non sono solo un ‘problema’, ma costituiscono una ‘risorsa’ da saper valorizzare opportunamente per il cammino dell’umanità e per il suo autentico sviluppo”. “Il Senatore Renato Giuseppe Schifani, poi, tenendo in considerazione le questioni etiche e culturali connesse al fenomeno migratorio – ha proseguito Mons. Vegliò -, ha detto in quest’aula che nel migrante e nel rifugiato siamo interpellati a riconoscere ‘non un viandante, ma un compagno di viaggio, al quale si deve una parola sincera e di verità’. In effetti, noi vi abbiamo aggiunto, nei nostri lavori del Congresso, una particolare attenzione alla dimensione ampia e articolata della nostra sollecitudine per i migranti e i rifugiati, intendendo così ribadire la prioritaria importanza della centralità della persona umana, tutelandone sempre la dignità, a prescindere dal suo status giuridico – nella regolarità o nella irregolarità –, e promuovendo il suo sviluppo integrale. La persona, orientata a valori trascendenti, vale più di tutte le strutture e le istituzioni”. “Così, non possiamo tacere di fronte a chi specula sulle vite dei migranti e dei rifugiati, soprattutto alimentando il deplorevole traffico degli esseri umani, la tratta e il sequestro di chi si trova, suo malgrado, in condizioni di vulnerabilità. Questa nostra assise – ha concluso l’Arcivescovo Vegliò - presta la sua voce, con coraggio e determinazione, a chi non ha la possibilità di farsi sentire, affinché gli Stati e i loro Governanti, le istituzioni civili, sociali e formative, in stretta collaborazione con le comunità cristiane e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, siano sensibili ai fenomeni delle migrazioni e del rifugio, anche sollecitando l’adozione e la ratifica delle normative internazionali che tutelano e promuovono la persona umana, creata ad immagine di Dio e redenta dal sangue di Gesù Cristo”. (SL) (Agenzia Fides 12/11/2009)

NOTIZIE. La prima pagina de L'Arena del 23-24 novembre 1896. Erano un lunedì e un martedì. La testata era ancora senza l'articolo

Il Regno d'Italia è in piena guerra d'Eritrea, primo conflitto coloniale dell'Italia che in seguito andrà a impegnarsi nella guerra di Libia (1911-1912) e nella guerra d'Etiopia (1935-1936). Il conflitto iniziò nel febbraio del 1885 quando il Regno d'Italia occupò il porto di Massaua senza incontrare alcuna ostilità da parte dell'Egitto, che controllava il porto della città. L'impresa italiana subì una battuta d'arresto nel 1887 quando gli uomini del ras Aula fecero un massacro di soldati italiani. Nel 1888 l'Italia avanzò all'interno dell'Etiopia controllando quasi tutto il paese, mentre operazioni diplomatiche condotte presso il Negus miravano ad espandere il dominio sull'Impero d'Etiopia. Nel 1890 l'Eritrea fu dichiarata colonia italiana.

IMMIGRATI: FARNESINA, ITALIA HA ACCOLTO 67 RIFUGIATI ERITREI DALLA LIBIA

L'Italia potrebbe fare molto di più e meglio per gli eritrei, affronte del suo debbito storico e morale verso il popolo eritreo. Questo debbito non solo per il fatto coloniale, ma sopratutto gli Italia deve molto a quelli uomini eritrei che hanno versato il loro sangue e dato la loro vita per la bandiera italiana 1885 - 1945. Per noi eritrei l'Italia e la nostra seconda patria, quindi veniamo qui penssando di stare a casa nostra, nel 1890 l'eritrea fù dichiarata provincia d'Italia oltre mare, viene da se che i cittadini nativi di questa provincia sono cittadini italiani. Quindi 136 rifugiati "italiani" accolti dall'Italia con il progetto di reinsediamento, sono meglio di niente, ma sono pocchissimi. "(ASCA) - Roma, 12 nov - L'Italia, su richiesta dell'Unhcr (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), ha accolto 67 rifugiati eritrei provenienti dalla Libia. Lo ha annunciato, nel corso di un briefing con i giornalisti, il Capo Servizio Stampa della Farnesina Maurizio Massari. ''In tutto sono 136 i rifugiati'' eritrei ''provenienti dalla Libia'' e accolti in Italia negli ultimi tre anni, ha detto Massari sottolineando che si tratta di gran lunga del numero piu' alto di rifugiati ospitati in un Paese occidentale."

mercoledì 11 novembre 2009

Rifugiati, più di tremila senza un tetto

Le presenze sono oltre 6mila, soprattutto da Afghanistan, Iraq, Corno d'Africa. Almeno un migliaio vivono in case occupate. Liste d'attesa lunghissime per i centri gestiti dal Comune: i posti sono 1.300 di Chiara Righetti Non immigrati, ma rifugiati. Persone in fuga da guerre e persecuzioni, che chiedono (e ottengono) protezione dall'Italia. Ricevono un permesso di soggiorno per asilo politico o protezione umanitaria. E il giorno dopo si ritrovano in strada. «Il Comune di Roma finanzia 22 centri di accoglienza, per un totale di circa 1.300 posti letto - spiega Maurizio Saggion, responsabile di Programma Integra, il servizio del Campidoglio per migranti e rifugiati - . Ma ad oggi abbiamo 3.426 rifugiati in lista d'attesa. Senza contare le occupazioni di Collatino e della Romanina, dove vivono almeno mille persone, e casi particolari come gli afghani di Ostiense. A Roma ci sono almeno 6-7mila persone che hanno ottenuto protezione, ma la maggior parte è senza una casa». L'anno scorso, nei 22 centri capitolini sono stati accolti 1.435 stranieri. Le nazionalità più presenti, dopo l'Afghanistan, erano Eritrea, Guinea, Costa d'Avorio, Iraq, Etiopia, Nigeria. Ai posti comunali si sommano quelli nelle strutture statali: i 150 dello "Sprar" (il Sistema nazionale di protezione), i 400 del centro Enea alla Bufalotta, più altri 880 fra Castelnuovo di Porto e via Alimena, aperti nell'estate 2008 per far fronte al boom degli sbarchi. La spesa annua del Campidoglio per richiedenti asilo e rifugiati è di circa 8 milioni, 17 euro al giorno a persona. «Ma i posti disponibili sono gravemente insufficienti - spiega Saggion - malgrado i notevoli sforzi del Comune: basti pensare che in tutta Italia la rete di accoglienza ne conta poco più di 3mila. La Francia, con un volume di arrivi simile al nostro, ha invece 30mila posti letto». La vera sfida però, secondo Saggion, è puntare sulla "seconda accoglienza": «Corsi d'italiano, progetti per il riconoscimento dei titoli di studio, per la casa, l'inserimento lavorativo. Altrimenti dopo un anno le persone tornano in strada e la lista d'attesa non fa che ingrossarsi. Molti di quanti si rivolgono al nostro sportello (in via Assisi 39/a) ci chiedono solo aiuto per camminare da soli». Ogni anno ottengono protezione dall'Italia circa 10mila persone: perché solo a Roma sono più di 6mila? «Siamo la seconda terra di sbarco dopo la Sicilia - spiega Saggion - . Molti arrivano direttamente qui. Altri, ottenuti i documenti a Caltanissetta o Crotone, si spostano a Roma per varie ragioni: perché ci sono le ambasciate. Per raggiungere i connazionali. Per continuare il viaggio». Anche secondo Berardino Guarino, responsabile della Fondazione Centro Astalli, ogni anno passano da Roma almeno 7-8mila rifugiati: «La riforma introdotta nel 2005 - spiega - ha ridotto l'attesa per ricevere i documenti. Ma paradossalmente ha creato un problema in più: una persona che ha lasciato il suo Paese senza portare nulla con sé, dopo un viaggio di anni, con ferite, traumi, lutti, quando sbarca in Italia passa un mese in un centro chiuso. Dopodiché si ritrova per strada. In mano ha un pezzo di carta che l'autorizza a restare, ma non ha soldi, casa, lavoro. Non sa dove andare. È completamente sola».