giovedì 21 gennaio 2010
Immigrati: il sindacato vieta lo sciopero ai negri
di Vittorio Macioce
Invisibili. Li vedono solo da clandestini, quando stanno nelle piantagioni dei nuovi signori del latifondo, sotto la schiavitù della ’ndrangheta, della camorra, della mafia. Quando finiscono nel fuoco di certe piazze da far west, sui marciapiedi del sesso, da delinquenti, da rapinatori, da razziatori di ville. Quando lavorano no, non li vede nessuno. La normalità non paga. Invisibili. Invisibili soprattutto per il sindacato, che li ha lasciati alla deriva, che li vede come carne da macello, come questione politica, come un affare. Questo sindacato di pensionati ed ex tute blu, di funzionari in giacca e cravatta e aspettative non li riconosce. Questo sindacato che assomiglia sempre più a una società di servizi, con fini di lucro, specializzato in dichiarazione dei redditi, in corsi di formazione lavoro con i soldi Ue, in tutto quello che è affari e parcelle non riesce neppure a intercettarli. Stanno giù, troppo giù. Invisibili. E se per caso pensano di scioperare, per un solo maledetto giorno, la risposta di Cgil, Cisl e Uil è un no in piena faccia. Gli invisibili non scioperano.
C’è una domanda che da un po’ di tempo rimbalza su blog, social network, quotidiani, tazebao, bollettini vari, giornalini delle parrocchie: che cosa accade se quattro milioni di immigrati incrociano le braccia? È un ritornello che arriva dalla Francia, dove l’appuntamento è per il primo marzo. La giornata senza migranti è stata buttata lì, quasi per caso, da Emma Bonino. La guerriglia di Rosarno l’ha rilanciata, creando un tam tam nel sottobosco del web.
Lo scenario è quello di un’Italia dove chi fa i lavori più duri, quelli che nessuno vuole più fare, quelli che mandano avanti le fabbriche del Nord, i latifondi del Sud e le aziende del Nord-Est si ferma, sciopera, non lavora. È un modo per contarsi e per mandare un segnale: noi ci siamo e siamo utili. Molti operai, per la verità, questo sciopero non possono permetterselo. Non possono rinunciare a un giorno di salario. E questo la sa anche la Bonino. Ma, a quanto pare, l’ostacolo maggiore è un altro.
Quando la giornata senza migranti è arrivata nelle segreterie del sindacato più di qualcuno ha avuto una mezza sincope. Uno sciopero degli immigrati? Non scherziamo. La Cisl ha fatto sapere che il discorso è troppo vago, servono contenuti precisi, certe cose non s’improvvisano: «È inutile parlare alla pancia degli immigrati». La Uil ha risposto con un no secco: «Gli italiani non capirebbero questo tipo di sciopero». La Cgil ha preso atto, tergiversato, con generici vediamo. Cose del tipo: il primo marzo è troppo presto, meglio prima delle elezioni e poi non è che possono incrociare le braccia solo gli immigrati, qui serve una grande manifestazione nazionale, con italiani e stranieri in piazza, insieme. Hanno cominciato, insomma, a buttarla sulla politica. Imbarazzo.
I comitati «primo marzo» quasi non volevano crederci. Ma come, proprio i sindacati storici ci boicottano? Impossibile. Eppure è così. Kurosh Danesh, iraniano, dirigente Cgil dice: «Non esiste lo sciopero generale etnico. Esiste lo sciopero generale dei lavoratori. Semmai potremmo ragionare su uno sciopero con al centro il tema dell’immigrazione». Ed è tutta un’altra filosofia.
Il timore è che tutta questa storia sfugga di mano. Gli immigrati si sono avvicinati al sindacato solo negli ultimi anni. È un’onda che sta riportando le confederazioni a questioni antiche, quando non si riscrivevano le Finanziarie ma si lottava per il salario. Quando il sindacato non era un comitato di affari. I lavoratori extracomunitari sono il 6,1 per cento degli iscritti: 332.561 tesserati dalla Cisl, 297.591 dalla Cgil, 190.078 dalla Uil, 103mila la quota Ugl. Se fanno lo stesso lavoro di un italiano guadagnano, in media, 238 euro in meno al mese. In tempo di crisi sono i primi a perdere il lavoro. Questo è quello che raccontano i dati Istat.
Il sindacato da troppo tempo vive come un club di pensionati, che conosce tutti i segreti della concertazione, ma fatica a fare i conti con la generazione senza posto fisso, con il tramonto di tute blu e colletti bianchi, con chi viene da lontano. Non li rappresenta. Non sono il suo popolo. Forse è per questo che lo sciopero degli invisibili spaventa il sindacato. È qualcosa di nuovo, che viene dal basso, difficile da gestire, fuori dalle logiche di chi scende in piazza per far cadere i governi o per proteggere le roccheforti del Novecento. Gli invisibili non possono scioperare da soli. Il sindacato deve metterci sopra il suo marchio, certificarli. «Meglio un’ora di sciopero di tutti i lavoratori, italiani compresi».
È la vecchia ricetta, con la speranza di sposare i vecchi iscritti con quelli nuovi, i pensionati con i proletari o con quei 90mila «cafoni» ufficiali, e un’esercito di schiavi clandestini, che faticano nei latifondi. Ma l’80% ricerca Eures) dei lavoratori stranieri sogna un sindacato tutto loro. E questo per Cgil, Cisl e Uil è peggio di un terremoto. È il crollo di un nuovo muro, la fine di un’utopia, quella di un sindacato universale, capace di conciliare in una sola formula magica tutti gli interessi. Ecco allora l’ultima risposta: non contate gli invisibili.
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