venerdì 15 gennaio 2010
Somalia, guerra senza tregua
di Enrico Piovesana - 15 gennaio 2010
Sette bambini e altri civili uccisi dall'esercito governativo a Mogadiscio. Decine di morti e migliaia di sfollati nella battaglia in corso per il controllo della strategica città di Beledweyne. Mogadiscio, quartiere di Wardhigley, mercoledì pomeriggio.
Dopo la fine delle lezioni, alcuni bambini rimangono a giocare a pallone nel cortile della loro scuola elementare. D'un tratto un'esplosione: quella di un proiettile di mortaio sparato dall'esercito governativo o dal contingente di pace dell'Unione Africana. Quando il fumo si dirada, a terra giacciono i corpi dilaniati di sette piccoli somali. Altri colpi, intanto, esplodono in altre parti del quartiere, uccidendo almeno altri tre civili.
Forze governative all'attacco. Da Wardhigley, uno dei quartieri della capitale somala in mano alle milizie ribelli di Al Shabaab, poco prima erano stati sparati alcuni colpi di mortaio contro la caserma dove sono acquartierate le truppe governative e quelle dell'Ua. I sette bambini hanno pagato il prezzo della rappresaglia. Come accade ogni giorno a tanti altri civili innocenti, dall'una e dall'altra parte dell'invisibile fronte di guerra che taglia in due Mogadiscio. Una guerra riesplosa in tutta la sua violenza dopo la fine della stagione delle piogge e, forse, anche a causa del rinnovato impegno dell'Occidente a sostegno del fragilissimo governo transitorio del presidente Sharif Ahmed (il '‘presidente dell'aeroporto', come viene ironicamente soprannominato per la sua inesistente autorità sul paese).
La battaglia di Beledweyne. Anche se Mogadiscio rimane il fronte più simbolico di questa nuova fase dell'eterna guerra civile somala (che dal febbraio 2009 ha causato, solo in città, circa duemila morti - in gran parte civili - e cinquemila feriti), quello più strategico e 'caldo' è attualmente nella città di Beledweyne, 300 chilometri a nord della capitale ma vicinissima al confine con l'Etiopia, principale alleato militare del governo. Beledweyne, roccaforte dei ribelli islamici integralisti dell'Hizbul Islam (alleati di Al Shabaab), è la prima grande città che si incontra sulla strada che dall'Etiopia entra in Somalia, per poi puntare dritta a sud verso Mogadiscio, quindi la principale via d'accesso delle truppe etiopi nel paese. Ma anche l'avamposto più settentrionale del territorio in mano ai ribelli, che ormai controllano tutta la Somalia centromeridionale (a eccezione di Mogadiscio).
Decine di morti e migliaia di profughi. Lunedì scorso le milizie filogovernative di Ahlu Sunna, che controllano le regioni centrali della Somalia, hanno lanciato una massiccia offensiva per riconquistare Beledweyne e gli altri villaggi della regione di Galgadud in mano ai due gruppi ribelli. Secondo il governatore locale Shuriye Farah Sabriye, esponente dell'Hizbul Islam, i combattimenti di questi giorni sono i più feroci che la città abbia mai visto. Gli scontri più duri, con incessanti scambi di artiglieria pesante, sono in corso alla periferia della città e nei villaggi di Wabho e Warhole. Ogni giorno si contano decine di morti, tutti combattenti delle opposte fazioni: gli abitanti di Beledweyne sono infatti fuggiti da tempo, mentre quelli dei villaggi vicini - migliaia di persone - sono scappati la scorsa settimana.
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