giovedì 2 dicembre 2010

Israele, nel neghev un carcere per migranti

Saranno rinchiusi in un centro detentivo speciale, costruito su misura nel deserto, gli oltre 10.000 africani, che ogni anno entrano in Isreale dal Sinai. DI BARBARA ANTONELLI Gerusalemme, 1 dicembre 2010, Nena News - Il Primo Ministro israeliano Netanyahu li ha definiti “una minaccia al carattere del paese e al futuro di Israele”. Basta passeggiare lungo i prati spelacchiati intorno alla stazione centrale dei bus di Tel Aviv, per vederli, in centinaia, accovacciati in terra: sudanesi, eritrei, in attesa di qualcuno che li avvicini per offrirgli un lavoro sottopagato, spesso nel settore edile o agricolo. Molti di loro saranno rinchiusi in un centro detentivo speciale, costruito su misura nel deserto del Neghev. Lo ha deciso la Knesset, il Parlamento israeliano, che ha approvato la scorsa domenica il piano di deportazione di migliaia di migranti che ogni anno entrano in Israele attraverso il Sinai, dall’Egitto. Cambia anche la legislatura per i cittadini israeliani che offrono lavoro ai migranti clandestini: chi viene scoperto, si vedrà recapitare ingenti multe. Immediate le reazioni del gruppo “Medici senza frontiere” e di altre associazioni israeliane che da anni seguono le sorti dei migranti. “Questa decisione vedrà imprigionati a tempo indefinito e senza la supervisione di un’autorità competente, migranti che fuggono da situazioni drammatiche, conflitti, stupri di massa, genocidi. E’ un provvedimento che va contro il diritto internazionale e i trattati che proteggono i rifugiati” ha dichiarato "Medici senza frontiere". Secondo il gruppo, il piano si rivelerà totalmente fallimentare: non fermerà infatti l’ondata di disperati che attraversano il Sinai in fuga verso Israele, ma anzi peggiorerà le condizioni di vita dei profughi, mettendo a serio rischio la loro salute e il loro stato psicologico. Critiche anche dalla “Hotline per i lavoratori migranti” e da ACRI (Associazione per i diritti civili in Israele) che in un comunicato stampa congiunto hanno criticato la decisione della Knesset, mettendo in luce come “i richiedenti asilo siano già costretti ad affrontare drammatiche condizioni nella prigione militare di Ketziot, e se Israele è intenzionato a costruire un centro detentivo ancora più grande, una catastrofe umanitaria sarà inevitabile”. Secondo i dati forniti dall’organizzazione “Physicians for Human Rights”, ci sono oggi 1800 immigrati rinchiusi a Ketziot. Le dichiarazioni del Primo Ministro, che ha annunciato che ad essere colpiti saranno solo “gli infiltrati”, gli illegali, e non i rifugiati e i richiedenti asilo, non rassicurano le associazioni a difesa dei diritti dei migranti che da anni chiedono una più attenta politica di tutela per i 35.000 immigrati che secondo i dati forniti da Eyal Gabai, direttore generale dell’ufficio di Netanyahu, sono entrati illegalmente in Israele negli ultimi anni. Delle politiche immigratorie si discute da anni in Israele; da una parte infatti lo Stato ebraico non può rimandare indietro rifugiati e richiedenti asilo, in virtù delle convenzioni internazionali di cui è firmatario. Dall’altro però, integrare decine di migliaia di rifugiati non-ebrei, costituisce fonte di preoccupazione per i vertici di Tel Aviv, perché mette a rischio “il carattere ebraico” del paese. Fermare gli immigrati è l’intento anche del progetto iniziato la scorsa settimana che prevede la costruzione di una barriera al confine con l’Egitto: un muro fisico ma anche un sofisticato sistema di sorveglianza lungo 140 dei 250 chilometri che costituiscono il confine con l’Egitto; un progetto che costerà 1,35 miliardi di shekel (circa 370 milioni di dollari) e che sarà terminato in un anno. Ma sul centro detentivo che sorgerà nel mezzo del deserto del Neghev nessun dato è stato aggiunto dalle autorità israeliane, né sul numero degli immigrati che saranno detenuti nel nuovo centro, né sul periodo durante il quale dovranno rimanere lì: per ora si sa soltanto che sorgerà nel luogo dove prima era operativa una prigione destinata ai palestinesi, “un centro all’aperto” lontano dai centri abitati. Secondo il Ministero della Giustizia, dall’inizio del 2010, sarebbero 10.000 i migranti entrati clandestinamente in Isreale, per lo più richiedenti asilo e profughi, anche se nel gergo della politica di Netanyahu vengono definiti “infiltrati”, una media di quasi 1000 al mese. Una stima che conta solo quelli che le autorità isrealiane riescono a “catturare”. In maggioranza sudanesi ed eritrei, che arrivano in Israele dopo aver subito un’odissea drammatica nel Sinai, tra violenze fisiche e torture. E’ di due giorni fa l’appello lanciato dall’associazione Habeshia, in seguito alla notizia di 80 eritrei prigionieri dei trafficanti nel deserto del Sinai, tenuti con mani e piedi in catene. Tre di loro sono stati uccisi a bastonate mentre tentavano di fuggire dai loro aguzzini, denuncia sempre Habeishia. Una situazione che è frutto della politica dei respingimenti adottata da molti paesi europei, e che non offre ai richiedenti asilo altra possibilità che non rotte pericolose e insicure. L’aumento dei morti alla frontiera tra Israele e Egitto indica infatti, anche un mutamento delle rotte della migrazione africana, dopo che la strada verso l’Europa si è fatta più difficile, anche a causa degli accordi tra Italia e Libia. "Bisogna fare pressione sul governo egiziano che intervenga a liberare i rifugiati dalle mani di questi trafficanti” ha ripetutamente chiesto il sacerdote eritreo Don Mussie Zerai in questi giorni. Se anche riescono a sfuggire ai trafficanti di uomini nel Sinai, gli africani devono poi affronatare il fuoco della guardia di frontiera egiziana: secondo dati ufficiali ma quasi certamente sottostimati, solo nel 2007-08 sul lato egiziano del confine sono stati uccisi circa 40 africani. Mentre tanti altri vengono feriti e arrestati. Nena News

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