martedì 8 dicembre 2009
Sull'immigrazione integrata stesse preoccupazioni del papa
Benedetto XVI in riferimento alla Giornata del migrante e del rifugiato
di Gennaro De Vivo «Il migrante è una persona umana con diritti fondamentali inalienabili da rispettare sempre e da tutti». È quanto ha affermato Papa Benedetto XVI, intervenendo in riferimento alla Giornata del migrante e del rifugiato prevista per il 17 gennaio prossimo ed il cui tema sarà: I migranti e i rifugiati minorenni. Il pontefice ha sottolineato l’importanza di prendersi cura dei migranti e dei rifugiati minorenni, ricordando che «Gesù stesso, da bambino, ha vissuto l’esperienza del migrante perché, come narra il Vangelo, per sfuggire alle minacce di Erode dovette rifugiarsi in Egitto insieme a Giuseppe e Maria». Anche per questo, ha proseguito Benedetto XVI, «ai figli degli immigrati deve essere offerta la possibilità di frequentare la scuola e inserirsi nel mondo del lavoro». Per Benedetto XVI, inoltre, deve essere «facilitata l'integrazione sociale grazie a opportune strutture formative e sociali».
Le parole del Pontefice non possono essere decontestualizzate dalle risultanze del XIX rapporto sull'immigrazione della Caritas/Migrantes 2009, presentato lo scorso 28 ottobre, secondo il quale gli immigrati regolari in Italia sono oltre 4 milioni e mezzo: i “nuovi” cittadini italiani, nel solo 2008, sono stati 39.484. Neppure la rigidità della nostra normativa ha costituito un freno al dinamismo dell'integrazione e, ormai, in 4 casi su 10 l'acquisizione della cittadinanza viene concessa a seguito della residenza previamente maturata. Nonostante tutto l'Italia resta nettamente distanziata dagli altri paesi europei per numero di concessioni, proprio in conseguenza di un impianto normativo restrittivo.
L’immigrazione è un processo non solo inevitabile, ma necessario, in quanto è lo stesso mercato del lavoro che lo impone in un paese a declino demografico come l’Italia, dove un numero crescente di occupazioni vengono rifiutate dalla forza lavoro locale - anche in periodi di crisi come l’attuale - e dove gli immigrati non rubano il posto a nessuno. In tale contesto un corretto approccio alle tematiche legate all’immigrazione non può prescindere da due pilastri fondamentali, ovvero quello della legalità e quello dell’integrazione. Occorre, in pratica, integrare le giuste misure di contrasto all’immigrazione clandestina selvaggia con procedure di integrazione visibili e di tutela del diritto d’asilo nel segno di una cultura dell’accoglienza che, nel nostro paese, ha sempre avuto un significato profondo. Anche il presidente Fini, nel corso del seminario sul Futuro della democrazia organizzato dalle fondazioni Farefuturo e Konrad Adenauer ha affermato che il tema dell’integrazione non può prescindere da un programma di estensione della cittadinanza sociale e di quella politica. Occorre che «l’idea di appartenenza alla nazione non discenda solo da un retroterra etnico, ma sia anche il prodotto di una scelta individuale, di un atto volontario di amore verso il paese che si è scelto come la propria patria».
Come non leggere nelle parole di Fini le stesse preoccupazioni espresse dal pontefice laddove rileva che «un aspetto tipico della migrazione minorile è costituito dalla situazione dei ragazzi nati nei paesi ospitanti oppure da quella dei figli che non vivono con i genitori emigrati dopo la loro nascita, ma li raggiungono successivamente»? Questi adolescenti fanno parte di due culture con i vantaggi e le problematiche connesse alla loro duplice appartenenza, condizione questa che può offrire l'opportunità di sperimentare la ricchezza dell'incontro tra differenti tradizioni culturali. Per Ratzinger, «si tratta di un fenomeno da valutare con attenzione e da affrontare con azioni coordinate, con misure di prevenzione, di protezione e di accoglienza adatte, secondo quanto prevede anche la stessa Convenzione dei diritti del bambino».
Perché, allora, non riconoscere il diritto di cittadinanza a chi nasce in Italia o ci arriva piccolissimo e frequenta un intero ciclo scolastico? Lungimiranti politiche di coesione e di integrazione sociale - senza paraocchi confessionali e senza cedimenti alle logiche conformiste del secolarismo fanatizzato - devono distinguere fra caso e caso, evitando una criminalizzazione generalizzata e premiando quegli immigrati che, risiedendo regolarmente nel nostro paese, abbiano dimostrato di aver acquisito un’identità culturale fondata su una serie di valori condivisi e su regole e principi fondamentali: solo così potrà evitarsi quella condizione di estraneità che può portare alla separazione e all'antagonismo.
Basta osservare quanto è avvenuto nella struttura sociale dei paesi che, prima di noi, hanno affrontato il problema dell’immigrazione per rendersi conto che l’Italia è destinata a divenire sempre più un paese multietnico, multirazziale e, perciò, multiculturale: si tratta di processi difficili che la politica deve gestire governando con rigore, fermezza e razionalità.
7 dicembre 2009
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