giovedì 31 dicembre 2009

Onu: sanzioni contro l'Eritrea

Le Nazioni Unite hanno deciso di imporrre un embargo sulle armi contro l'Eritrea, accusata di sostenere i miliziani islamisti in Somalia. Merci provenienti e destinate al paese potranno essere ispezionate. Sanzioni sono state imposte anche contro i gerarchi del regime eritreo. Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha approvato la scorsa settimana una serie di sanzioni contro l'Eritrea, accusata di destabilizzare il governo federale di transizione in Somalia e di avere un atteggiamento ostile nei confronti del vicino Gibuti, che ospita basi militari francesi e statunitensi. La risoluzione, presentata dall'Uganda è stata approvata da 13 dei 15 membri del Consiglio. Tutti meno due: la Cina, membro permanente con potere di veto, si è astenuta e la Libia, che ha la presidenza dell'Unione africana ed è l'unico membro arabo del Consiglio, ha invece, come previsto, votato contro. Il testo chiede che l'Eritrea, indipendente dall'Etiopia dal 1993, metta fine alla sua campagna destinata, secondo quanto si legge dalla risoluzione, «a destabilizzare o rovesciare il governo federale di transizione della Somalia». Inoltre, si chiede a tutti i paesi membri delle Nazioni Unite di ispezionare tutte le merci destinate alla Somalia e in partenza o in viaggio dall'Eritrea, dato il sospetto fondato che i carichi possano contenere armi destinate ai miliziani islamisti somali di al Shabab. Un embargo, di fatto, che potrebbe alimentare non poche tensioni nel Mar Rosso, vista l'altissima concentrazione di navi da guerra, impegnate nella lotta alla pirateria, e le segnalazioni di recenti attività della marina militare iraniana nei porti eritrei. Il progetto di risoluzione chiede anche ad Asmara di ritirare le sue truppe da una contestata zona di confine con Gibuti, come già chiesto, peraltro, da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza lo scorso gennaio, risoluzione in cui si chiede di avviare un dialogo che porti ad un accordo «accettabile» tra i due paesi. Infine, si chiede al segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon, di riferire sull'applicazione di questa risoluzione entro sei mesi. Oltre all'embargo sulla vendita di armi, le sanzioni prevedono anche il congelamento dei beni dell'establishment politica e militare eritrea e restrizioni nella concessione di visti per l'ingresso in altri paesi. Naturalmente la decisione del Consiglio di sicurezza non è piaciuta ai vertici ad Asmara. L'ambasciatore eritreo presso le Nazioni Unite, Araya Desta, ha parlato di una «risoluzione vergognosa impostata su bugie architettate dal regime etiope e dall'amministrazione degli Stati Uniti». Stati Uniti che accusano regolarmente l'Eritrea di fornire supporto logistico ai ribelli in Somalia. Più morbido il commento del vice ambasciatore libico all'Onu, Ibrahim Dabbashi, che ha precisato che «le sanzioni non sono il modo migliore per risolvere i problemi e che rischiano anzi di aggravare la crisi umanitaria nel Corno d'Africa». Sia l'Unione africana, che l'Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo (Igad), avevano chiesto, l'estate scorsa, al Consiglio di sicurezza di punire l'Eritrea per il suo sostegno agli islamisti radicali in Somalia. Dell' Igad fanno parte Gibuti, Etiopia, Kenya, Somalia, Sudan e Uganda.

RIFUGIATI: UNHCR A GOVERNO LAOS, RAGGIUNGERE LAO HMONG DEPORTATI

(ASCA) - Roma, 29 dic - L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per I Rifugiati (UNHCR) ha formalmente contattato oggi il governo della Repubblica Popolare Democratica del Laos per cercare di raggiungere i Lao Hmong deportati lunedi' dalla Tailandia (fra le persone rinviate in patria ci sono individui riconosciuti dall'UNHCR come bisognosi di protezione internazionale). E' quanto si legge in un comunicato. L'UNHCR chiede inoltre al governo tailandese di fornire dettagli sulle rassicurazioni ricevute dal governo della Repubblica Popolare Democratica del Laos nel quadro di un accordo bilaterale fra i due governi riguardante il trattamento dei Lao Hmong rimpatriati. L'UNHCR ha chiesto di essere informato sulle azioni intraprese dal governo della Tailandia per assicurare che gli impegni presi nell'ambito dell'accordo quadro vengano effettivamente rispettati. La Tailandia ha una lunga tradizione di asilo. Cio' nonostante, lunedi' scorso ha deportato 4000 Lao Hmong da due campi, uno nella provincia settentrionale di Petchabun e l'altro a Nong Khai, nel nord-est del paese. L'UNHCR non ha mai potuto raggiungere gli ospiti del primo campo mentre quelli del secondo erano stati tutti riconosciuti rifugiati(l'UNHCR non e' formalmente presente in Laos).

IMMIGRATI: FOCSIV, CI UNIAMO A RICONOSCIMENTO A LAURA BOLDRINI

(ASCA) - Roma, 30 dic - ''Un riconoscimento a cui ci uniamo e che sosteniamo con convinzione e' quello che Famiglia Cristiana ha assegnato a Laura Boldrini. Un riconoscimento dato a chi, da anni e senza indugi, come dimostrato anche quest'anno nelle precise posizioni adottate di fronte alla vergogna dei respingimenti, con dedizione e coraggio si adopera per l'accoglienza, il riconoscimento, i diritti di coloro che si trovano in una condizione di senza terra, senza diritti, senza sicurezza.'' Questa la dichiarazione di Sergio Marelli, Segretario Generale della FOCSIV. ''Una causa importante a favore dei migranti e dei rifugiati riconosciuti innanzitutto per il loro essere persone umane con diritti fondamentali, inalienabili da rispettare sempre e da tutti, come ricorda quest'anno il Papa scegliendo quale tema del Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante 2010 proprio I migranti e i rifugiati minorenni''. Per Marelli ''Laura Boldrini, con il suo impegno e' un esempio da seguire e da indicare ai giovani, di come le istituzioni, in questo caso quelle sovranazionali, possono fare molto a vantaggio degli ultimi, di come lo ''stile'' del proprio impegno possa fare la differenza.'' Continua, il Segretario Generale della FOCSIV sottolineando l'importanza di tale iniziativa ''un grazie a Famiglia Cristiana per l'istituzione di questo riconoscimento, nella convinzione che questa- come il premio del Volontariato assegnato ogni anno dalla FOCSIV a volontari che stanno prestando la loro opera nei sud del mondo- sia una importante strada per dare notizia di persone e di storie di impegno vere, concrete, spesso lontane dai riflettori ma che esistono, che sono quotidiane e che devono fare notizia per poter essere testimonianza ai giovani che ancora oggi nella vita c'e' chi vive il proprio impegno con valore, dedizione, determinazione non avendo paura di essere la voce fuori dal coro''.

lunedì 21 dicembre 2009

Tutto il mondo in piazza Rosmini

LA FESTA - Il freddo ha frenato la presenza nel mercatino ma non l'assalto a centri commerciali e negozi Tutto il mondo in piazza Rosmini Gli stranieri residenti in città hanno fatto gli auguri nella loro lingua ROVERETO. Il sindaco ha fatto un augurio natalizio da nonno. Si è rivolto agli adulti, nel gelido siberiano della piazza Rosmini, ed ha chiesto un impegno comune per garantire accoglienza e un futuro alle giovani generazioni. Poco prima dei piccoli albanesi residenti in città si erano esibiti in un breve spettacolo dedicato a Rovereto, con canzoni e una filastrocca. La festa di ieri pomeriggio è stata rovinata dal freddo intenso. Sono stati pochi coloro che hanno resistito attorno alla fontana di piazza Rosmini trasformata in palcoscenico, ma un centinaio di persone hanno seguito il momento che più incarna il Natale dei popoli: i rappresentanti delle diverse nazionalità che vivono a Rovereto si sono rivolti ai loro connazionali, ma anche ai roveretani. Tema comune è stato il ringraziamento per l'accoglienza ottenuta e l'augurio di un Natale di pace. Thailandesi, algerini, etiopi, rumeni, albanesi: gli stranieri a Rovereto rappresentano ormai l'11 per cento della popolazione e costituiscono una realtà che diventa sempre più dinamica all'interno della società. La seconda generazione degli emigrati è già realtà e l'integrazione sta proseguendo su nuovi parametri e pure su nuovi problemi. Gli stessi che hanno vissuto e in buona parte superato i trentini che emigrarono a fine ottocento. In piazza, quasi per coincidenza, c'era anche un gruppo di giovani brasiliani, figli o nipoti dei lagarini che nell'ultimo quarto dell'800 si trasferirono a Bento Goncalves. Anche loro, con la loro presenza, hanno partecipato in questo modo al Natale dei popoli. In centro animazione e casette della solidarietà, ma ieri ha imperato su tutti il freddo. Il traffico in strada è stato quello delle giornate migliori, per la verità, ma la gente ha preferito, alla passeggiata sul corso per ammirare il mercatini, l'affollamento di grandi magazzini e centri commerciali. E così le casupole, pur visitate e frequentate, hanno dovuto fare i conti con un lieve calo di pubblico: le rinomate salsicce, per esempio, sono state distribuite con più parsimonia. Da una media di 500 o 600 nelle giornate migliori, ieri si era precipitati a 300. Era dura convincere i passanti a mangiare un panino al freddo. Funziona bene, anche perché al caldo delle sale della Fondazione Caritro, la mostra dei presepi natalini, vere e proprie opere d'arte sul tema della natività che ieri hanno visto un consistente via vai di spettatori, affascinati dagli incredibili dettagli disegnati su volti, tavole imbandite e capanne degni della migliore tradizione partenopea. Ora arrivano le giornate clou e scatta anche il conto alla rovescia per il mercatino che alla vigilia chiuderà i battenti. Da martedì a giovedì è garantita l'animazione pomeridiana. http://espresso.repubblica.it/dettaglio-local/tutto-il-mondo-in-piazza-rosmini/2117759

Prosperini l’africano e le navi eritree.

La stecca da 230mila euro pagata sul conto in Svizzera dell’assessore al turismo della Regione Lombardia, Piergianni Prosperini, da Raimondo Lagostena, patron di Odeon TV, in cambio di un appalto da 7,2 milioni in spot promozionali del turismo lombardo non è l’unico affaire dell’istrione ‘lumbard’. Non solo interminabili spazi con le invettive contro zingari, neri, omosessuali e comunisti, ma anche affari, che andavano oltre quegli spot negoziati con Lagostena per farsi pagare dalla regione (quindi dai cittadini) le sue sparate televisive. Alla Procura della Repubblica di Milano il procuratore aggiunto Alfredo Robledo ed il sostituto Paolo Storari hanno già individuato dell’altro. Una tangente del 5% sulla vendita di otto pescherecci dei cantieri navali Vittoria al governo eritreo. Dalla Cantieri navali Vittoria sarebbe parito 1 milione di euro versato ad una società off-shore intestata a Domenico Scarfò, fiduciario svizzero e prestanome di Prosperini. Per ora la procura ha in mano questi elementi che dovrebbero portare a formulare altre accuse più pesanti nei confronti dell’assessore al turismo della Regione Lombardia. Si configura così, accanto alle accuse di turbativa d’asta, corruzione e truffa, nell’ambito dell’affaire Odeon TV, anche il reato di ‘corruzione internazionale’. La Russa passa poi alla difesa di Prosperini, così’ anche Formigoni, che dichiara “Prosperini è innocente come Alberto Stasi”. Insomma, non sappiamo se sia innocente. Ad avvalorare la pista seguita da Robledo e Storari un testimone, responsabile dei cantieri Vittoria, che non solo racconta i aver pagato l’assessore, ma di aver visto l’ufficio di Prosperini al Pirellone diventare un via vai di funzionari eritrei dove si negoziavano percentuali e tangenti. Un vero e proprio ‘Suk’, come lo definisce Gianni Barbacetto su Il Fatto Quotidiano. Allo stesso tempo non si può dimenticare come il dittatore eritro Afewerky sia stato accolto sia da Silvio Berlusconi in Sardegna sia più volte presso il Pirellone dal governatore della regione Lombardia Roberto Formigoni. La gara al più amato dai dittatori insomma, in questo caso, parlando di Afewerky con un mediatore crociato: Piergianni Prosperini, il quale parrebbe coinvolto, ma su questo versante si attendono conferme, anche nella vendita di 380 camion compratti all’Eritrea dietro un finanziamento del governo italiano di 36milioni di euro. Motivazione ufficiale: sviluppo del paese, qualcuno vicino agli ambienti invece pensa siano finiti all’esercito. Luca Rinaldi

Kenya, dodici calciatori eritrei non vogliono ritornare in patria

Dodici ragazzi della nazionale di calcio eritrea hanno chiesto lo status di rifugiato allo Stato keniota. I giocatori, dopo aver disputato un torneo di calcio fuori dai confini nazionali, hanno reclamato all’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) di non tornare a casa insieme al resto della loro squadra e di poter chiedere il riconoscimento giuridico in quanto rifugiati. Così, il 12 dicembre scorso, un aereo è atterrato ad Asmara con soltanto tredici giocatori, l’allenatore e un team ufficiale. Inizialmente, il governo eritreo – spesso accusato di dure repressioni – ha negato che i giocatori non fossero tornati, ma il segretario generale dell’Associazione dei giocatori africani, Nicola Musone, ha confermato le prime indiscrezioni. Ha dichiarato alla stampa locale che i giocatori non erano a bordo dell’aereo con il resto dei 25 convocati. “Hanno disertato” ha concluso Musonye. Un funzionario dell’Agenzia per i rifugiati del Kenya, che fornisce gratuitamente assistenza legale e di rappresentanza a richiedenti asilo e rifugiati, ha spiegato che i dodici calciatori avevano chiesto il loro aiuto già da qualche tempo. Le associazioni dei giocatori africani hanno spiegato che i richiedenti asilo sono entrati in Kenya in modo regolare. Sono in possesso dei visti che gli autorizzano a restare in questo Stato africano per tre mesi quindi, secondo la legge, non potrebbero essere arrestati o deportati. I giocatori possono quindi vivere liberamente in Kenya, ma dovranno completare la procedura per avere lo Status di rifugiato entro tre mesi. Con questa è la terza volta che i giocatori della nazionale di calcio sono scappati dopo aver giocato in campo estero. Secondo le autorità eritree, ciò diventerebbe molto dannoso per questo sport in Eritrea “perché il governo non può accettare di lasciare partecipare il team a tornei futuri, al di fuori del Paese” ha aggiunto Musone. Le forze governative hanno spiegato che, nonostante la crisi mondiale, si è fatto molto per migliorare le prestazioni calcistiche all’interno della nazione. “La federazione eritrea ha fatto del meglio per portare la squadra al torneo. Purtroppo, questi ragazzi avevano altre idee” ha dichiarato il governo. Forse i miglioramenti nel campo calcistico sono avvenuti, ma sono molti i calciatori eritrei che fuggono dalle proprie origini perché probabilmente i problemi sono molto più profondi di una sfera rotonda da migliorare. Le organizzazioni internazionali più volte hanno dichiarato che ogni mese dall’Eritrea fuggono centinaia persone. Numerosi attivisti hanno più volte puntato il dito contro la repressione del governo e contro la povertà. Onori Andrea

ITALIA - Reggio Calabria, festa dell'accoglienza a Riace

Tra il 23 novembre ed il 16 dicembre scorsi a Riace, nella Locride, sono giunti ben 125 rifugiati palestinesi; tra loro tantissimi bambini. Vanno ad aggiungersi ai tanti immigrati di varie etnie che da anni si sono perfettamente integrati nel "paese dell'accoglienza" nel quale hanno trovato quella solidarieta' non solo predicata ma anche concretamente praticata. Testimonial d'eccezione un maestro del cinema internazionale, Wim Wenders che a Riace e' tornato per completare le riprese de "Il Volo", un cortometraggio sul tema dell'accoglienza. A pochi giorni dal Natale il sindaco di Riace, Domenico Lucano, ha organizzato, in onore dei nuovi ospiti, la serata dell'accoglienza durante la quale "i fratelli palestinesi" hanno ballato e cantato alzando al cielo la loro bandiera. Per l'occasione hanno offerto ai presenti alcuni piatti tipici della loro terra. Stamane, invece, il presidente della Regione Calabria, Agazio Loiero, e' tornato nella Locride, proprio a Riace, per incontrare sul set Wim Wenders, il regista al cui nome sono legati capolavori come "Il cielo sopra Berlino" e "La lettera scarlatta". Il cortometraggio che sta realizzando nella Locride verra' distribuito il tutto il mondo. Dopo avere incontrato Wenders, Loiero ha manifestato la vicinanza della Regione e formulato gli auguri di buon Natale ai rifugiati palestinesi che il Comune ha accolto nell'ambito di un progetto di reinsediamento, unico in Italia, promosso dal Ministero dell'Interno e coadiuvato dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Al progetto hanno aderito anche i vicini Comuni di Caulonia e di Stignano. Presso Palazzo Pinnaro', alla presenza del sindaco, Domenico Lucano e del suo collega di Caulonia, Ilario Ammendolia, Loiero ha incontrato una delegazione di ospiti palestinesi i quali per bocca del loro portavoce, Said Jawad Said, hanno ricordato gli anni di dolore e di persecuzione vissuti nella loro terra ed hanno ringraziato l'Europa, l'Italia e la Calabria, per l'accoglienza e l'amore manifestati. L'incontro si e' concluso con l'offerta di alcuni doni da parte della delegazione palestinese.

Giovani immigrati nel servizio civile Il Pd presenta una proposta di legge

Il testo, firmato da Livia Turco, si richiama all'esperienza triennale del comune di Torino L'obiettivo è creare un percorso di integrazione, una "scuola di cittadinanza" ROMA - Bruna, Suad, Karima e Marouane sono stati i pionieri. A loro il comune di Torino ha già aperto le porte del servizio civile volontario, insieme ad altri venti giovani di undici nazionalità diverse. Ora la loro esperienza potrebbe estendersi a tutti gli immigrati di seconda generazione, grazie a una proposta di legge (targata Pd) "per la promozione della partecipazione dei giovani immigrati al servizio civile nazionale": dodici mesi impegnati nel sociale, con un piccolo salario (433,8 euro al mese) e il rinnovo garantito del permesso di soggiorno. La proposta di legge, a firma Livia Turco (presidente del Forum immigrazione e politiche sociali del Partito Democratico), si richiama all'esperienza ormai triennale promossa dall'assessorato alle politiche per l'integrazione del comune di Torino e verrà presentata oggi alla Camera. L'obiettivo? "Consentire anche ai giovani stranieri regolarmente soggiornanti nel nostro Paese di partecipare ai progetti del servizio civile". Il testo (in due articoli) interviene sulla legge 2001/64, che in otto anni ha avviato al servizio civile 224.492 ragazzi italiani tra i diciotto e i ventotto anni. http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/cronaca/immigrati-13/proposta-serviziocivile/proposta-serviziocivile.html?rss?ref=rephpnews

WELFARE: SACCONI, DUE PATTI, PER LA FORMAZIONE E GLI IMMIGRATI

(ASCA) - Vicenza, 21 dic - Due patti, uno sulla formazione, l'altro sull'immigrazione. Li ha annunciato il ministro del welfare, Maruzio Sacconi, oggi a Vicenza. Entro il prossimo meese gennaio il governo concludera' con Regioni e parti sociali un accordo su un approccio nuovo con la formazione. Il finanziamento sara' di 2,5 miliardi di euro. ''Punteremo sull'occupabilita' delle persone ora costrette alla inattivita' dalla crisi e dai processi di trasformazione. Dobbiamo garantire loro quantomeno un'opportunita' di apprendimento se non di lavoro'', ha sottolineato il ministro. Un secondo patto riguardera' l'integrazione degli immigrati. ''Lo stiamo redigendo insieme con Maroni - ha annunciato Sacconi - e' un atto congiunto che realizza il patto con il quale l'immigrato sta nel nostro Paese assumendone doveri e diritti''.

Il suk del Pirellone

Gli affari dell’assessore Prosperini: tangenti non solo per le tv ma anche per la vendita di navi all’Eritrea Nelle tv locali faceva le sue interminabili teleprediche contro gli immigrati, da rimandare a casa loro “cunt el camel”, con il cammello. Nel suo ufficio di assessore al turismo della giunta Formigoni, invece, aveva aperto un suk africano dove contrattava tangenti insieme ai funzionari del governo eritreo (che tra i loro progetti avevano anche un investimento a Massawa di Paolo Berlusconi). Pier Gianni Prosperini ora è in cella, accusato di corruzione, turbativa d’asta e truffa alla Regione Lombardia: per una stecca di 230 mila euro pagata sul suo conto in Svizzera da Raimondo Lagostena, patron di Odeon tv, in cambio di un appalto da 7,2 milioni in spot promozionali del turismo lombardo; e per aver fatto pagare alla Regione altri 200 mila euro per suoi spot e programmi elettorali su Telelombardia e Telecity. Ma i maneggi del pittoresco personaggio passato dalla Lega ad An non si limitavano alle tv locali, dove era uno dei volti più presenti, con le sue interminabili tirate contro neri, zingari, omosessuali e comunisti. No, le tresche con le principali reti televisive del nord Italia erano solo trucchi per far pagare alla Regione (cioè ai cittadini) le sue debordanti presenze in video. Gli affari veri erano altri. Uno è già stato individuato dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dal sostituto Paolo Storari: una tangente del 5% sulla vendita di otto pescherecci dei Cantieri navali Vittoria al governo eritreo. Dall’azienda italiana è partito 1 milione di euro versato a una società offshore intestata al fiduciario svizzero Domenico Scarfò, che faceva da intermediario e prestanome di Prosperini. È l’unico affare di Prosperini l’Africano? È quanto stanno cercando di verificare i magistrati milanesi, che ipotizzano per lui "e altri" il reato di corruzione internazionale. Intanto il centrodestra milanese fa quadrato attorno a Pier Gianni. Vigorosa la difesa di Ignazio La Russa, diventato il riferimento politico di Prosperini e della sua Nordestra, la sigla che si era inventato dopo la sua rumorosa uscita dalla Lega. Quanto al presidente della Regione Roberto Formigoni, è riuscito a dire che "Prosperini è innocente come Alberto Stasi", il fidanzato di Chiara Poggi appena assolto per l’omicidio di Garlasco. Lo si vedrà nei prossimi mesi. Intanto però un testimone (il responsabile dei Cantieri Vittoria) racconta non solo di aver pagato l’assessore, ma anche di aver visto con i suoi occhi che il Crociato, il difensore dell’Occidente, il Castigaimmigrati aveva trasformato il suo ufficio al Pirellone in un suk popolato di funzionari eritrei dove si mercanteggiavano percentuali e tangenti. In anticamera, intanto, altri imprenditori italiani facevano la fila per altri affari. Come la vendita di 380 camion comprati dall’Eritrea grazie a un prestito del governo italiano: 36 milioni di dollari a basso tasso d’interesse e a lungo termine. I camion avrebbero dovuto servire per progetti di sviluppo del paese, ma c’è chi è convinto che siano invece finiti all’esercito. Prosperini era diventato un personaggio chiave per i rapporti tra Italia ed Eritrea, uno dei paesi più poveri dell’Africa, ma anche uno dei meno liberi. Isayas Afewerki, dopo aver capeggiato la guerra di liberazione degli eritrei contro l’Etiopia del dittatore Mengistu, si è a sua volta trasformato in un dittatore feroce. Nel settembre 2001 ha fatto letteralmente sparire in una notte undici ministri e dirigenti, accusati di tramare contro di lui. L’ambasciatore italiano Antonio Bandini, in rappresentanza anche dell’Unione europea, si permise di presentare una lettera di protesta contro quegli arresti arbitrari e contro la chiusura dei giornali indipendenti. Fu espulso dal paese, senza alcuna reazione da parte della Farnesina. Del resto, il comunista Isayas piace molto a Silvio Berlusconi, che lo ha ospitato nella sua villa in Sardegna. Piace anche a Roberto Formigoni, che lo ha più volte ricevuto al Pirellone. In questa nobile gara a chi è più amico del dittatore, Prosperini è diventato una sorta di ambasciatore non ufficiale dell’Italia in Eritrea, grande mediatore di tanti affari. A proposito degli undici fatti sparire dal regime, ha dichiarato: "Sono dei traditori dell’Eritrea. È meglio che non si sappia dove sono, altrimenti, se li dovessero giudicare, li dovrebbero fucilare". Il più grosso dei progetti italiani in Eritrea coinvolge Paolo Berlusconi, il fratello del presidente del Consiglio. La sua Italcantieri spa aveva ideato la costruzione di un intero quartiere di ville a Massawa, sulla costa da cui si parte per le incontaminate isole Dahlak. È stato abbattuto il vecchio quartiere e sbancato un tratto delle banchine, con un danno urbanistico irreparabile. Nella capitale eritrea, Asmara, le autorità diplomatiche italiane erano già state allertate per l’arrivo dei connazionali che avrebbero dovuto sovrintendere il progetto e dirigere i cantieri. Poi l’operazione si è arenata, forse in attesa di tempi migliori. Ora l’arresto di Prosperini ha riacceso i riflettori anche su quell’operazione quasi dimenticata. Da Il Fatto Quotidiano del 20 dicembre

domenica 20 dicembre 2009

Udc di Terlizzi: "Anche gli immigrati meritano dignità e rispetto"

Lettera aperta del segrretario cittadino Armando D'Elia La vicenda delle condizioni invivibili in cui versano alcuni extracomunitari alla periferia di Terlizzi ha scosso il mondo politico e l'opinione pubblica cittadina. Dopo il botta e risposta tra Pdl e il Sindaco, Vincenzo Di Tria, scende in campo anche l'Udc. In una lettera aperta alla città, il partito di Pieferdinando Casini cerca di offrire un diverso approccio al problema. Nel rispetto delle leggi, ma soprattutto delle persone. La lettera è firmata dal coordinatore cittadino Armando D'Elia. Di seguito il testo integrale. «L’Udc di Terlizzi è vicino agli immigrati, alle persone meno abbienti, alle famiglie bisognose, a tutti coloro che vivono nella nostra società in piena povertà. L’ Udc coglie con sensibilità la condizione degli immigrati che provengono da tutte le parti del mondo, ma questo non solo da parte della sezione territoriale ma, anche da tutti i vertici di partito a livello locale e nazionale. Questo non riguarda solo gli immigrati che vivono in pochi metri quadrati a ridosso del nostro paese, senza un giaciglio per riposare adeguatamente e senza un fuoco che possa riscaldarli nelle giornate invernali, ma anche per le condizioni disumane che, giorno dopo giorno, vivono. Noi dell’Udc non vogliamo fare una critica politica-amministrativa di nessun tipo, ma incitiamo i nostri rappresentanti a prendere in esame e con la giusta considerazione il fatto che queste persone abbiano una vita più dignitosa ed umana. Noi siamo vicini alle forze politiche che con umiltà, moderazione e democrazia hanno il coraggio di dare una giusta dignità alla vita dei più disagiati. Non dimentichiamo che i nostri avi hanno vissuto la loro stessa situazione negli anni del dopoguerra con l’immigrazione di massa nei vari paesi europei e del nord America. I tempi sono passati e anche la gestione della politica sull’immigrazione deve cambiare. Oggi siamo nel ventunesimo secolo e dobbiamo essere protagonisti nel dare valore e dignità umana a tutti coloro che hanno lasciato il proprio paese e i propri cari sperando di trovare nell’Italia una nazione che dia loro nuove opportunità di vita. L’Udc ribadisce che oltre al rispetto della dignità degli immigrati, non dobbiamo dimenticare il rispetto della vita ,della famiglia, e di tutte le persone che, nel nostro paese, vivono nella povertà più assoluta. Diamo loro un seconda opportunità". http://www.terlizzilive.it/News/news.aspx?idnews=4182

sabato 19 dicembre 2009

Le accuse dei pm: «Tangenti in Eritrea per case-ospedale»

Enrico Lagattolla Milano«Risponderò alle domande e mi difenderò», fa sapere l’assessore Pier Gianni Prosperini dal carcere di Voghera, dove è stato rinchiuso per evitargli l’impatto col melting pot di San Vittore. L’esponente del Pdl verrà sentito oggi dal giudice preliminare Andrea Ghinetti che gli contesterà le accuse di corruzione e truffa legate agli appalti per gli spazi informativi sulle tv locali (ieri i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Milano gli hanno sequestrato cinque conti correnti del valore di circa 230mila euro e cinque cassette di sicurezza), e che hanno portato al suo arresto in diretta tv nella serata di mercoledì. Ma ormai è chiaro che le accuse per gli spazi tv sono solo la parte emersa di una intensa attività investigativa a carico di Prosperini. E dalle carte depositate a corredo dell’ordinanza di custodia emerge - secondo quanto risulta al Giornale - un’altra indagine che ha preso corpo a carico dell’assessore, iniziata dalla Procura di Verbania e trasmessa per competenza a Milano: una storia di tangenti sull’appalto per la progettazione di un quartiere residenziale all’Asmara, in Eritrea. Il cantiere modello doveva chiamarsi «Villaggio Genio» perché sarebbe dovuto sorgere sull’area - a ridosso del centro della capitale - su cui il Genio militare italiano aveva creato i suoi insediamenti negli anni Trenta. Si trattava, nel progetto originario, di una operazione ad alto contenuto sociale, con tutti gli appartamenti a piano terra privi di barriere architettoniche per ospitare i mutilati della guerra che ha insanguinato il Paese. Committente, il governo eritreo attraverso la Housing and commercial bank. Ma nell’affare, secondo il capo d’accusa, si sarebbe inserito Prosperini, approfittando del suo status di colonnello ad honorem dell’esercito eritreo e oliando la corruzione di chi doveva assegnare l’appalto. Per questo ora Prosperini è indagato per il reato 322 bis, corruzione internazionale, in concorso con due dirigenti dell’azienda - oggi fallita - che doveva conquistare l’affare: «In concorso tra loro e Prosperini con il ruolo di intermediario, corrispondevano ad agenti pubblici eritrei allo stato non identificati una somma pari a 130mila euro al fine di far ottenere alla ditta l’appalto, sottoscritto in data 5.12.03, relativo alla progettazione del cosiddetto Villaggio Genio del valore di 3.300.000». Non è l’unica operazione illecita che Prosperini è sospettato di avere realizzato grazie ai suoi buoni rapporti con le autorità eritree. Nei giorni scorsi si era parlato di una vicenda legata alla compravendita di alcuni pescherecci. E a questo riguardo nelle carte dell’indagine si legge che in concorso con Fabio Duò (figlio del presidente del Cantiere Navale Vittoria di Adria, in provincia di Rovigo) «Prosperini quale intermediario corrispondeva ad agenti pubblici eritrei allo stato non identificati una somma di circa 749mila euro (pari al 5% della fornitura, di ammontare complessivo pari a 14.281.712,72) al fine di far ottenere alla Cantiere Navale Vittoria un contratto di fornitura di pescherecci alla Eritrean Marine Product. In data 12.11.03 Cantiere Navale Vittoria e Eritrean Marine Product stipulano un contratto per la fornitura di pescherecci. A fronte di tali forniture Duò pagava la somma di 749mila euro che perveniva sul conto nr.665837 acceso presso Ubs di Lugano, nella disponibilità di Prosperini e poi monetizzata». Negli atti dell’indagine viene ricostruito nei dettagli come la somma perviene sul conto di Prosperini all’Ubs, in tre tranche tra il luglio 2005 e il novembre 2007, a fronte di tre fatture emesse a carico della Cantiere Vittoria dalla società viennese Htk, che ora la Procura sostiene essere una società ombra dello stesso Prosperini. Mentre dalle carte depositate non si capisce quali elementi portino gli inquirenti ad affermare che la somma sia stata poi girata da Prosperini a «agenti pubblici eritrei» non identificati per oliare la pratica. Ma la Procura ritiene accertato il passaggio, tanto che oltre a indagare Prosperini e Duò ha messo sotto inchiesta anche la Cantiere Vittoria in base alla legge 231 sulla responsabilità penale della società. Allo stesso modo, è stata indagata anche l’altra società per la vicenda del «Villaggio Genio» di Asmara.

venerdì 18 dicembre 2009

Prosperini, le tangenti eritree e il suk al Pirellone

di Paolo Biondani Ecco la confessione dell'imprenditore che ha pagato un milione di euro all'assessore lombardo per vendere otto pescherecci al regime africano: tangenti del 5 per cento finite sul conto svizzero del politico del Pdl. L'accordo con gli eritrei siglato nell'ufficio di Prosperini al Pirellone in un clima da suk L'assessorato regionale trasformato in suk eritreo. Con i rappresentanti di un feroce regime dittatoriale africano che trattano affari milionari dentro l'ufficio del leader lombardo della corrente 'Nordestra', che intanto cavalca il razzismo facendo incetta di spot elettorali e interviste anti-immigrati nelle tv locali foraggiate dal suo assessorato. E fuori dalla porta, una fila di imprenditori italiani che sperano di guadagnare appalti d'oro in Eritrea, uno degli Stati più poveri del mondo, grazie alle raccomandazioni a pagamento del politico lombardo, ora in carcere per altre tangenti. Le accuse di corruzione che mercoledì notte hanno portato in cella Pier Gianni Prosperini (tra cui spiccano la presunta tangente di 230 mila euro pagatagli estero su estero dall'imprenditore televisivo Raimondo Lagostena Bassi e i 200 mila euro di fondi pubblici dirottati alle tv amiche per pagarsi decine di comparsate elettorali) sono soltanto il primo capitolo di un'inchiesta molto più ampia. Motivando le 'esigenze cautelari' che impongono di tenere in carcere l'assessore al Turismo, sicurezza, sport e giovani della giunta Formigoni, il gip Andrea Ghinetti scrive, tra l'altro, che negli ultimi mesi la procura ha avviato altre indagini, delicatissime, per il reato di "corruzione di funzionari di Stati esteri". Il giudice si limita a precisare che per queste tangenti internazionali sono indagati "Prosperini ed altri" e che il pm Paolo Storari e il procuratore aggiunto Alfredo Robledo hanno già interrogato diversi "testimoni e coindagati". Tra le deposizioni richiamate nell'ordinanza d'arresto, la più importante è la sofferta confessione di un industriale italiano, l'amministratore della "Cantieri Navali Vittoria", un'azienda affermata che fabbrica navi di ogni tipo e dimensione. Quando l'imprenditore viene interrogato, i magistrati milanesi hanno già scoperto che la sua azienda ha pagato fatture per almeno 800 mila euro a una società-schermo: la classica off-shore intestata a un fiduciario svizzero, Domenico Scarfò. Che davanti ai magistrati elvetici ha già ammesso di essere stato usato come intermediario-prestanome per far arrivare i soldi sul conto svizzero dell'assessore lombardo. Lo stesso deposito all'Ubs di Lugano dove nel 2008 erano finiti i 230 mila euro versati da Lagostena sempre dalla Svizzera, attraverso una triangolazione con una off-shore chiamata "Kenana". E' la stessa Ubs, nella propria documentazione anti-riciclaggio, a indicare formalmente Pier Gianni Prosperini come «beneficiario economico» del conto svizzero di destinazione finale. All'inizio dell'interrogatorio, l'industriale nautico, comprensibilmente restio ad ammettere di aver pagato un politico italiano, cerca di difendersi parlando di una regolare "mediazione internazionale" per vendere 8 modernissimi pescherecci al regime eritreo. Quindi i magistrati e i finanzieri del nucleo di polizia tributaria gli mostrano i documenti che dimostrano il passaggio dei suoi soldi da un'off-shore all'altra (Htk, Finley Service, Chamonix, Willow Overseas): altre quattro società-paravento, intestate al solito fiduciario, che si limitano a far girare i soldi delle fatture, fino all'accredito finale sul conto svizzero di Prosperini. Quando si sente comunicare che Scarfò ha già ammesso di aver prestato anche quelle off-shore a Prosperini per mascherare la provenienza dei soldi, l'industriale vuota il sacco. E racconta di aver dovuto versare, in totale, circa un milione di euro, tra il 2004 e l 2008, su richiesta dello stesso Prosperini, che aveva preteso di intascare "esattamente il 5 per cento" del valore complessivo dell'affare. Lo stesso imprenditore racconta che Prosperini si era presentato personalmente nel suo cantiere nautico, nel 2004, accompagnato da un codazzo di funzionari eritrei. Il suo discorso era stato molto chiaro: se l'imprenditore voleva vendere quegli otto pescherecci all'Eritrea, doveva pagare la "mediazione" a Prosperini. In nero, naturalmente, attraverso le false fatture intestate alle off-shore indicate dallo stesso politico lombardo. Per formalizzare l'accordo, nel 2005 l'imprenditore è stato convocato a Milano, nell'ufficio di Prosperini al Pirellone. Qui, con sua grande sorpresa, ha scoperto che nella stanza dell'assessore erano letteralmente accampati i rappresentanti del governo eritreo. Siglati i contratti in un clima da suk, l'industriale ha salutato con un certo imbarazzo il politico anti-immigrati e i suoi amici africani. E quando è uscito dall'ufficio, ha visto che, fuori dalla porta, c'erano in attesa un grossista di camion e una mezza dozzina di altri imprenditori italiani. Tutti in coda per fare affari in Eritrea grazie al mediatore Prosperini.

Aumentano del 34% i rifugiati accolti dagli enti locali

di Claudio Tucci Cresce il numero di rifugiati che trova accoglienza nei centri gestiti dagli enti locali. Nel 2008, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) ha accolto 8.412 persone, il 34% in più rispetto all'anno precedente. Si tratta soprattutto di persone di sesso maschile (quasi i 2/3), mentre i minori sono 1.091, il 13% del totale. A essere rappresentati sono, principalmente, i Paesi del continente africano, Eritrea, Somalia, Nigeria, Etiopia e Costa d'Avorio, ma non sono mancati, anche, iracheni e afghani. È questo, in sintesi, il bilancio dell'annuale rapporto del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati 2008/2009, presentato, a Roma, dall'Anci, assieme prefetto Mario Morcone, capo dipartimento per le Libertà civili e l'immigrazione del ministero dell'Interno. I risultati positivi sono stati ottenuti grazie a una rete di 4.388 posti di accoglienza, distribuiti in 114 progetti diffusi su tutto il territorio nazionale, con il coinvolgimento di 101 enti locali e oltre 100 realtà del terzo settore. «La gestione dell'immigrazione - ha dichiarato il presidente nazionale dell'Anci, Sergio Chiamparino - passa necessariamente per la valorizzazione del ruolo delle realtà locali, dei comuni, che si sono già distinti con una serie di pratiche grazie alle quali oggi possiamo affrontare il problema dell'immigrazione in modo non emergenziale». Chiamparino ha sottolineto, poi, l'importanza di una stabilizzazione finanziaria dello Sprar e di politiche di cooperazione internazionale nel settore dell'asilo. Sotto questo punto di vista, ha aggiunto, un passo importante sarà «la prossima costituzione dell'Agenzia europea dell'asilo, fortemente voluta dall'Italia, con la speranza che l'Anci possa esserne parte attiva, assieme alle reti delle municipalità degli altri Paesi europei». Dal rapporto è emerso, poi, come, nel 2008, per far fronte al sensibile aumento degli arrivi via mare, ai 2.541 posti inizialmente finanziati dal fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo (Fnpsa), ne sono stati aggiunti ulteriori 1.847. Questi ultimi attivati con risorse straordinarie del ministero dell'Interno, sia come ampliamento di progetti già finanziati, che di progetti ammessi ex novo alla rete. Il buon funzionamento del sistema è stato garantito, anche, dall'apporto di altri soggetti attuatori che, con la quota di co-finanziamento, partecipano con risorse proprie al 34,65% del costo complessivo (pari a oltre 31,3 milioni di euro) dell'intera rete di accoglienza gestita dagli enti locali. Nel 2009, invece, i progetti territoriali finanziati dal Fnpsa sono cresciuti del 20%, passando da 114 a 138, di cui 31 a favore di categorie vulnerabili. Allo stesso modo, sono aumentati sia i posti complessivi pari a 3mila (+18% rispetto al 2008), sia la rete territoriale, che coinvolge 123 enti locali distribuiti in 69 province e 19 regioni italiane.

I rifugiati occupano il Socrate

Un centinaio di immigrati senza fissa dimora da stanotte è nell’immobile abbandonato di via Fanelli di Silvia Dipinto Ore 19: All’ex- liceo Socrate arriva l’Assessore alla Pace e all’Accoglienza del Comune di Bari Fabio Losito, accompagnato da un delegato dell’ACNUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati): l’Assessore Losito riporta la proposta ufficiale da parte del Comune di spostare gli occupanti presso la tendopoli che si sta allestendo tra la Fiera del Levante e lo Stadio della Vittoria. L’Assessore avrebbe assicurato che la tendopoli sarà pronta già da domani e che, quindi, eritrei ed etiopi saranno chiamati a prendere una decisione sul da farsi, lasciando intendere che il Comune non accetterà senza repliche un rifiuto rispetto all’intervento previsto. Gli occupanti si riuniscono in assemblea per stabilire quale posizione assumere nei confronti di un eventuale spostamento (spontaneo o forzato) nella tendopoli. Ore 16. Sono 138 gli eritrei e gli etiopi (tutti rifugiati politici) che anche stanotte dormiranno nei locali dell’ex-Socrate di via Fanelli. In queste ore si sta procedendo all’assegnazione delle stanze e si prova a risolvere le questioni logistiche più urgenti. I rifugiati e la Rete Antirazzista lanciano un appello alla cittadinanza affinchè si raccolgano coperte e cuscini per la notte, di cui non tutti gli occupanti sono muniti. Altrettanto importante è reperire al più presto scope, detersivi e tutto l’occorrente per ripulire lo stabile e mantenere sotto controllo le condizioni igienico-sanitarie delle due comunità. Presenti nel pomeriggio nuclei familiari con bambini, che pare, però, non trascorreranno la notte nel vecchio liceo. Un centinaio di immigrati africani, per lo più eritrei, etiopi, sudanesi, presumibilmente tutti richiedenti asilo o rifugiati politici, hanno occupato da stanotte l’immobile abbandonato di via Fanelli che ospitava un plesso del Liceo Classico Socrate, struttura dismessa da tempo. Si è immediatamente attivata la catena di solidarietà della Rete Antirazzista, che ha cercato di raccogliere coperte, cuscini e tutto l’occorrente per far trascorrere la notte nelle migliori condizioni possibili (l’edificio è completamente vuoto, non c’è acqua né luce) . L’occupazione dell’ex-Socrate è la seconda a Bari negli ultimi due mesi: Barilive ha seguito puntualmente le vicende legate all’occupazione dell’ex-Ferrhotel avvenuta il 19 ottobre scorso da parte di cinquanta somali. Da lunedì pomeriggio altri cinquanta rifugiati politici hanno presidiato l’ingresso del Comune di Bari (www.barilive.it/news/news.aspx?idnews=15658) e ieri mattina sono stati ricevuti in Prefettura (www.barilive.it/news/news.aspx?idnews=15668), sede in cui hanno esposto le loro rivendicazioni e hanno chiesto urgentemente una soluzione alla questione abitativa per tutti gli immigrati che attualmente vivono e dormono per strada. Le temperature bassissime registrate questa notte hanno costituito un ulteriore incentivo a cercare un tetto stabile e un posto riparato in cui rifugiarsi, nell’attesa che le istituzioni mettano in atto gli interventi promessi.

TORINO: RADICALI SCRIVONO 'LETTERINA DI NATALE' PER I RIFUGIATI

Torino, 17 dic. - (Adnkronos) - Una 'letterina di Natale' un po' particolare indirizzata non a Babbo Natale ma ai rappresentanti delle istituzioni e non per chiedere giochi o dolciumi ma solidarieta' e diritti. E' quella che hanno scritto al sindaco di Torino Sergio Chiamparino, all'assessore comunale alle politiche sociali Marco Borgione e al prefetto Paolo Padoin, dai Radicali che chiedono ''impegni concreti relativamente alla situazione dei rifugiati politici a Torino e in particolare di quelli che vivono nella caserma occupata di via Bologna''. Nello specifico il segretario e il membro della segreteria dell'Associazione radicale Adelaide Aglietta, Igor Boni e Domenico Massano, e Nathalie Pisano del comitato nazionale Radicali Italiani, chiedono ''un intervento sull'allacciamento elettrico per permettere l'utilizzo di stufe elettriche e boiler, il rinnovo, con un necessario adeguamento, degli stanziamenti che scadranno a gennaio, di 4 euro pro capite a settimana, per l'acquisto di generi alimentari e il pieno coinvolgimento delle associazioni che stanno seguendo i rifugiati. ''Chiediamo, inoltre - proseguono gli esponenti Radicali - per garantire soluzioni a lungo termine ed evitando la dispersione di risorse economiche e la frammentazione degli interventi, la definizione di una soluzione strutturale per l'accoglienza dei rifugiati in citta' e l'avviamento di una seria verifica del numero effettivo e delle attuali condizioni dei rifugiati politici presenti a Torino, la strutturazione e il coordinamento delle diverse associazioni e istituzioni che stanno seguendo la situazione dei rifugiati e la definizione specifica di cosa accadra' al termine dei mesi di permanenza nelle strutture di via Asti e di Settimo Torinese. Occorre che Torino, la citta' solidale, la citta' dell'accoglienza - concludono - sappia tradurre in iniziative concrete quelle che rischiano di rimanere vuote parole''.

"Su immigrati e giustiza non si può delegare alla Ue"

Il presidente della Repubblica chiede di garantire il diritto d'asilo a chi ne ha diritto E invita comunque a un coordinamento con Bruxelles, o con la Corte Europea di Strasburgo Per il capo dello Stato tali questioni, "al centro di forti controversie" vanno risolte in Italia, sia pure tenendo conto delle norme internazionali FIRENZE - "Non bisogna cadere nell'errore che l'Ue debba fare tutto e risolvere i problemi che debbono essere affrontati qui, in Italia". Lo dice il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, riferendosi in particolare ai problemi legati agli immigrati e alla giustizia. Napolitano è intervenuto a un convegno per l'inaugurazione della nuova sede dell'archivio storico europeo a Villa Salviati, a Firenze. Le politiche su questi temi in Italia, ha ricordato Napolitano, "sono oggi al centro di forti controversie, tensioni e molteplici spinte propositive, ma non si deve cadere nell'errore che la Ue debba fare tutto per risolvere i problemi che vanno affrontati qui". Il che non significa certo sminuire l'importanza dell'Unione Europea: "L'Europa in quanto tale è destinata all'irrilevanza, al declino se non riesce ad operare come soggetto unitario nello scenario internazionale", secondo il presidente. Nelle politiche per gli immigrati, sostiene Napolitano, "C'è una sovrapposizione impropria tra immigrazione e richiesta di asilo". "Penso piuttosto a standard comuni per i richiedenti asilo - ha detto il presidente riferendosi a politiche comunitarie sul tema - diritto garantito da convenzioni internazionali. Per l'immigrazione, nella Ue c'è una molteplicità di politiche che non è semplice ricondurre all'unità". "Il confronto - ha poi aggiunto il Capo dello Stato- deve dar luogo a dei coordinamenti in sede europea, e può prevedere luoghi di coordinamento delle controversie o istanze di appello, come ad esempio la Corte Europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo".

Prosperini e l'amico dittatore

L'assessore regionale della Lombardia Pier Gianni Prosperini, leader della corrente xenofoba Norddestra, è stato arrestato con l'accusa di aver intascato, su conti svizzeri, tangenti per almeno 230mila euro pagate dal patron del gruppo televisivo Profit (Odeon tv e Telereporter), Raimondo Lagostena Bassi (LEGGI E COMMENTA) I magistrati indagano anche su affari inquietanti di Prosperini in stati come l'Eritrea. Sotto inchiesta, tra l'altro, c'è un vorticoso giro di versamenti, per almeno 800mila euro, che Prosperini avrebbe incassato, sempre secondo l'accusa, per facilitare la vendita di pescherecci in Eritrea. L'Eritrea è uno degli stati più poveri del mondo. Prosperini, nei suoi poster elettorali, si presentava come "baluardo della cristianità", e nemico dichiarato degli immigrati che "non accettano i nostri valori". In questa intervista, (intervallata dalle immagini degli scontri avvenuti a Roma tra manifestanti a favore dell'Eritrea e forze del'ordine) Prosperini parla per la prima volta dei suoi rapporti con il governo eritreo rispondendo alle domande di Fabrizio Gatti [17 dicembre 2009]

giovedì 17 dicembre 2009

L'arresto in diretta di Prosperini

Bizzarra conversazione telefonica tra Roberto Paletti, conduttore di "FOrte e chiaro" su Antenna3 e l'assessore Pier Gianni Prosperini avrebbe dovuto partecipare a "Forte e chiaro", la trasmissione di Antenna 3. Il conduttore Roberto Paletti chiama l'assessore che apprende in diretta delle agenzie che annunciano il suo arresto che avverrà proprio durante la trasmissione constringendolo a chiudere la conversazione telefonica. Questa una parte del dialogo che si può ascoltare anche dal video. Il conduttore: - "Stanno uscendo delle agenzie che parlano del tuo arresto". Prosperini: - E la Madonna, mi stanno arrestando? Corrisponde questo a verità?" C: - "Queste sono le comiche chiedo scusa..." P:- "Scusa non posso parlare però ti posso dire che così non è. Visto che sono ancora a piede libero". C: - "Prosperini mettiti nei miei panni io sono agghiacciato e terrorizzato." P: - "Non è vero sappilo". C:- "Tu sai che io ho il dovere di dare le notizie..." P:- "Lo so e io sono qua tranquillo e bello paciarotto". C:- "Non sei stato arrestato?" P: - "No no no al momento no". C: - "Guarda Pier Gianni stanno uscendo..." P: - "E cazzo cosa ti devo dire stanno uscendo sbagliate. Adesso devo andare". La conversazione poi si interrompe e si apprende in un secondo momento che la Guardia di Finanza aveva fatto irruzione nello studio dell'assessore per trarlo in arresto.

Calcio/ Eritrea, 12 giocatori 'scomparsi' vogliono asilo politico

Governo Kenya teme per la loro vita in caso di ritorno in patria Nairobi (Kenya), 16 dic. (Ap) - Un funzionario del governo kenyano ha dichiarato che i 12 calciatori eritrei scomparsi dopo un torneo in Kenya non possono tornare a casa perché rischiano di essere uccisi. I giocatori avrebbero giurato al governo eritreo, prima della partenza in Kenya, che sarebbero ritornati in patria senza problemi. In Eritrea vige il regime dittatoriale del presidente Isaias Afwerki. E' la terza volta che si verifica un evento del genere, come ammesso da Nicholas Musonye, segretario generale del Consiglio per le Federazioni dell'Est e Centro Africa. Il funzionario di Nairobi, che ha voluto mantenere l'anonimato, ha detto che i 12 giocatori hanno chiesto asilo politico, primo passo nel processo di verifica per determinare se meritevoli dello status di rifugiati. I 12 giocatori non si erano presentati sabato all'imbarco del volo di ritorno per Asmara dopo aver giocato il torneo Senior Challenge Cup.

Immigrati/ Maggioranza emigrati in Ue sono romeni e italiani

Bruxelles, 16 dic. (Apcom) - Nel 2008 in Europa ci sono stati circa 20 milioni di cittadini extracomunitari, pari al 3,9% della popolazione totale dei Ventisette. Di questi, circa 6 milioni sono cittadini di altri paesi europei, 4,7 milioni sono africani, 3,7 milioni asiatici e 3,2 milioni del continente americano, oltre agli 11,3 milioni di cittadini dell'Ue che vivono in un altro Stato membro. Una categoria, questa, che vede ai primi posti romeni e italiani. In totale, i cittadini stranieri rappresentano il 6,2% della popolazione europea. E' quanto rende noto Eurostat, l'ufficio statistico delle comunità europee. In Italia, dove ci sono 3,4 milioni di stranieri, ossia il 5,8% dell popolazione, i cittadini extra-Ue sono 2,498 milioni, pari al 4,2%. La maggioranza degli stranieri in Italia sono rumeni (625.000, ossia il 18%), seguiti dagli albanesi (402.000, ossia l'11,7%) e dai marocchini (365.900, ossia il 10,7%). La quota di cittadini stranieri varia tra lo 0,1% della Romania e il 43% del Lussemburgo. Nel 2008 la maggior parte degli stranieri sono stati registrati in Germania (7,3 milioni di persone), Spagna (5,3 milioni), la Gran Bretagna (4 milioni), la Francia (3,7 milioni) e l'Italia (3,4 milioni). Il 75% degli extracomunitari abitano in questi Stati membri. La percentuale più alta rispetto alla popolazione si è registrata in Lussemburgo (43% del totale), in Lettonia (18%), in Estonia (17%), a Cipro (16%), in Irlanda (13%), in Spagna (12%) e in Austria (10%). La percentuale di cittadini stranieri è stata inferiore all'1% in Romania, Polonia, Bulgaria e Slovacchia. Più di un terzo dei cittadini stranieri nei Ventisette proviene da un altro Stato membro. La maggioranza di questi sono romeni (1,7 milioni o il 15% del totale degli europei all'estero), italiani (1,3 milioni, o l'11%), presenti soprattutto in Belgio, e polacchi (1,2 milioni o l'11%). Tra i cittadini di paesi al di fuori dell'Ue, i gruppi più grandi sono stati dalla Turchia (2,4 milioni o il 12% del totale), dal Marocco (1,7 milioni o il 9%) e dall'Albania (1 milione o il 5%). L'origine della popolazione di cittadini stranieri varia molto da paese a paese. Gli Stati membri con la percentuale più alta di cittadini stranieri da un singolo Stato membro sono stati la Grecia, con il 64% di Albanesi, la Slovenia, con il 47% di bosniaci, l'Ungheria, con il 37% dalla Romania, e il Lussemburgo, con il 37% dal Portogallo.

Immigrazione, visite in carcere non vietate ai clandestini

Una circolare del Dap stabilisce che agli stranieri in visita a parenti detenuti non si chieda il documento ROMA - Allo straniero che si presenta in carcere per far visita a un familiare detenuto non dovrà esser richiesto alcun documento che dimostri la sua regolare presenza in Italia. Con una circolare 'ad hoc' il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria mette nero su bianco come il poliziotto penitenziario debba agire alla luce delle nuove norme previste dal pacchetto sicurezza che hanno introdotto il reato di immigrazione clandestina. 25MILA DETENUTI STRANIERI - I detenuti stranieri nelle sovraffollate carceri italiane sono oltre 25mila (circa il 27% del totale) e molti di essi sono clandestini. La probabilità che siano irregolari anche alcuni dei familiari che fanno loro visita in carcere è assai alta. Dal momento che gli agenti penitenziari sono pubblici ufficiali, come dovranno comportarsi ora che l'immigrazione clandestina è un reato? «Il personale del Corpo di polizia penitenziaria non dovrà richiedere allo straniero che accede alla struttura penitenziaria l'esibizione di alcuna documentazione attestante la sussistenza dei requisiti legittimanti la presenza sul territorio italiano, nè lo straniero sarà tenuto a dimostrare in alcun modo la regolarità della sua posizione», scrive Sebastiano Ardita, magistrato a capo della direzione generale detenuti del Dap. E questo vale a maggior ragione «nel caso in cui a richiedere il colloquio siano i figli minori di persone prive di permesso di soggiorno». «ESERCIZIO DI UN DIRITTO» - Ma la circolare, diramata a tutti i provveditori regionali, precisa anche che il mancato obbligo di verifica sulla regolarità dello straniero all'ingresso del carcere «non esclude che il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, in qualsiasi modo venga a conoscenza della sussistenza del reato» di immigrazione clandestina «non sia tenuto, in via generale, a denunciare tempestivamente il reato all'autorità giudiziaria o ad altra che abbia a sua volta obbligo di riferire a quella». La decisione di non chiedere allo straniero in visita un documento che ne attesti la regolare presenza è stata presa - scrive Ardita - sulla base della considerazione che l'accesso per il colloquio con i familiari in carcere «non si configura come la fruizione di un servizio pubblico ma come esercizio di un diritto, tanto da parte dei ristretti quanto da parte dei congiunti». 16 dicembre 2009

mercoledì 16 dicembre 2009

BARI: QUASI 100 RIFUGIATI POLITICI OCCUPANO LOCALI EX LICEO

(IRIS) - ROMA, 16 DIC - Un gruppo di 100 persone composto per lo più da eritrei, etiopi e sudanesi, che nei giorni scorsi aveva organizzato una protesta, davanti al Comune, contro l'ipotesi di accogliere i rifugiati in una tendopoli ha occupato nella notte l'edificio dell'ex liceo classico Socrate in via Fanelli, a Bari. Il gruppo si è riunito nel seminterrato della scuola, un'area un tempo adibita a palestra che si trova in un edificio pericolante, polveroso, senza acqua e luce. I rifugiati sono assistiti da volontari della Rete antirazzista. Nel corso della mattinata il gruppo si è riunito per gestire la distribuzione degli spazi e per cercare di procedere alla pulizia del plesso. Secondo i volontari che li assistono, l' Amministrazione comunale avrebbe già ricevuto, nel 2007, più di un milione di euro dalle Nazioni Unite, per far fronte alle necessità dei rifugiati, ma la somma non sarebbe stata ancora utilizzata.

Immigrati/ Niente cibo per oltre dodici ore, maltrattamenti e documenti confiscati.

L’Unhcr chiede chiarimenti al governo italiano sulle persone respinte in Libia. Fra queste 9 donne e 6 bambini L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha inviato una lettera al governo italiano con la richiesta di chiarimenti sul trattamento riservato alle persone respinte in Libia, dopo aver svolto colloqui con 82 persone che erano state intercettate il primo luglio dalla marina militare italiana L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha inviato una lettera al governo italiano con la richiesta di chiarimenti sul trattamento riservato alle persone respinte in Libia, dopo aver svolto colloqui con 82 persone che erano state intercettate il primo luglio dalla marina militare italiana. Lo rende noto un comunicato dell’Unhcr, a quanto riporta l’Adnkronos. «L’Unhcr in Libia – si legge nel comunicato – ha svolto dei colloqui con le 82 persone che erano state intercettate mercoledì 1 luglio dalla Marina Militare italiana a circa 30 miglia da Lampedusa e trasferite poi su una motovedetta libica per essere ricondotte in Libia. In base a quanto riportato durante i colloqui, non risulta che le autorità italiane a bordo della nave abbiano cercato di stabilire la nazionalità delle persone coinvolte nè tantomeno le motivazioni che le hanno spinte a fuggire dai propri paesi». «Una volta in Libia – prosegue il comunicato – il gruppo è stato smistato in centri di detenzione dove l’Unhcr ha avuto l’opportunità di svolgere gli incontri. Fra di loro vi sono 76 cittadini eritrei, di cui 9 donne e almeno 6 bambini. Sulla base delle valutazioni dell’Unhcr relative alla situazione in Eritrea e da quanto dichiarato dalle stesse persone, appare chiaro che un numero significativo di esse risulta essere bisognoso di protezione internazionale». «Nel corso dei colloqui – si legge ancora nel comunicato – l’Unhcr ha raccolto testimonianze riguardo l’uso della forza da parte dei militari italiani durante il trasbordo sulla motovedetta libica. In base a queste testimonianze sei eritrei avrebbero avuto necessità di cure mediche in seguito ai maltrattamenti. Inoltre, gli stessi individui affermano che i loro effetti personali, fra i quali documenti di vitale importanza, sarebbero stati confiscati dai militari italiani durante le operazioni e non più riconsegnati. Le persone ascoltate dall’Unhcr hanno riferito di aver trascorso quattro giorni in mare prima di essere intercettate e di non aver ricevuto cibo dai militari italiani durante l’operazione durata circa 12 ore». «In considerazione dalla gravità di quanto riportato- afferma il comunicato- l’Unhcr ha inviato una lettera al governo italiano con la richiesta di chiarimenti sul trattamento riservato alle persone respinte in Libia e richiedendo il rispetto della normativa internazionale». «Negli anni passati – conclude il testo – l’Italia ha salvato migliaia di persone indifficoltà nel Mediterraneo, fornendo assistenza e protezione a chi ne aveva bisogno. Dall’inizio di maggio è stata introdotta la nuova politica dei respingimenti e almeno 900 persone sono state respinteverso altri paesi, principalmente la Libia, nel tentativo di raggiungerel’Italia. L’Unhcr ha espresso forte preoccupazione sull’impatto diquesta nuova politica che, in assenza di adeguate garanzie, impediscel’accesso all’asilo e mina il principio internazionale del non respingimento (non-refoulement)».

Immigrati, lettera anonima: strage causata da errore umano e tenuta nascosta. 15 vittime

Un’operazione di soccorso di extracomunitari che si trasforma in un bagno di sangue per un errore umano Un’operazione di soccorso di extracomunitari che si trasforma in un bagno di sangue per un errore umano. E, che a quel punto, viene tenuta nascosta all’opinione pubblica. Questo il contenuto di una lettera anonima spedita alla trasmissione televisiva Le Iene e alla procura di Messina e che racconta della tragedia il 28 giugno 2008. Secondo l’autore, forse un marinaio, avrebbero perso la vita 15 uomini, di nazionalità eritrea e somala. Nella lettera si afferma che durante l’operazione di soccorso al barcone degli immigrati il comandante avrebbe ordinato di far scendere la “scaletta di banda” che però avrebbe urtato la barca facendola ribaltare. Diversi uomini sarebbero finiti in mare e alcuni di loro sarebbero stati risucchiati dalle eliche. L’autore della lettera ha anche allegato le fotografie di quel giorno. La ricostruzione della trgaedia è stata anche confermata da alcuni degli immigrati sia all’inviato della trasmissione Le Iene che alle autorità maltesi. «I sopravvissuti – afferma il portavoce del ministero dell’interno maltese Daniel Pace - hanno raccontato soltanto adesso quel che accadde. Quando arrivarono con la motovedetta italiana che li aveva soccorsi, ci dissero che c’erano stati dei morti, annegati, ma non il come né il perché».

Copenaghen, protesta Paesi africani rallenta negoziati

COPENAGHEN (Reuters) - I Paesi africani che partecipano alla conferenza sul clima di Copenaghen hanno interrotto i negoziati oggi, protestando -- a meno di quattro giorni dalla conclusione del summit, data in cui è previsto un accordo -- contro le nazioni ricche, colpevoli a loro dire di fare troppo poco per tagliare le emissioni di gas serra. I Paesi africani hanno acconsentito a tornare al tavolo dei negoziati cinque ore dopo averlo lasciato accusando i Paesi industrializzati di cercare di affossare il Protocollo di Kyoto, che li obbliga a tagliare le emissioni entro il 2012. "Abbiamo trovato una soluzione ragionevole", ha spiegato Andreas Carlgren, ministro dell'Ambiente della Svezia, che detiene la presidenza di turno dell'Ue. I Paesi ricchi hanno rassicurato quelli africani sulla loro volontà di discutere gli obiettivi fissati da Kyoto. "La presidenza (danese) ha acconsentito a fare di più per prendere in considerazione il Protocollo di Kyoto", ha spiegato Pa Ousman Jarju, della delegazione del Gambia. I negoziatori stanno cercando di superare la situazione di stallo e raggiungere un nuovo accordo Onu, atteso per venerdì, che riduca l'uso dei carburanti fossili in tutto il mondo.

martedì 15 dicembre 2009

The Either/Orchestra

Mulatu Astatke e Mahmoud Ahmed rileggono la musica africana e i suoi rapporti col jazz Quando: Domenica 24/01/2010 Dove: Teatro Manzoni - Teatro Via Manzoni, 42 (Zona Centro Storico) 20121 Milano (MI) Uno è Mulatu Astatke fondatore dell'Ethio-jazz, reminiscenze della musica africana della sua Etiopia agli schemi del jazz. L'altra è The either/orchestra, una delle big band più apprezzate sulla scena americana, che da tempo ha allacciato un rapporto particolare e originalissimo con alcuni artisti etiopi. Il risultato lo vedrete sul palco del Teatro Manzoni: retaggi etiopi, influenze latinoamericane e improvvisazione jazzistica si accompagnano alla voce di Mahmoud Ahmed offrendo una rilettura della musica africana e dei suoi rapporti col jazz.

Eritrea, scomparsi i calciatori della Nazionale di calcio dopo torneo in Kenya

Alcuni giocatori della Nazionale di calcio dell’Eritrea sono spariti nel nulla: dopo una gara di Cecafa Cup, disputata in Kenya e valida per l’accesso ai quarti di finale, dodici calciatori hanno deciso di non lasciare il Paese che ospitava il torneo. La ragione che ha spinto il gruppo a compiere un gesto simile risiede nella storia del Paese del Corno d’Africa, dal 1993 governato dal regime dittatoriale del presidente Isaias Afwerki: gli atleti avrebbero intenzione di chiedere asilo politico. La notizia è stata diramata da un funzionario del Consiglio per le Federazioni dell’Est e Centro Africa: il rientro dei giocatori in patria era previsto per la notte di sabato scorso ma a bordo dell’aereo giunto ad Asmara, c’erano soltanto il commissario tecnico e un dirigente della squadra. Il governo eritreo, più volte accusato di adottare politiche repressive, ha subito smentito la notizia della scomparsa: questa, però, è stata confermata dal presidente della Cecafa, Nicholas Musonye. Le Nazioni Unite affermano che ogni anno sono centinaia gli eritrei che fuggono dal loro Paese.

“Io vi dico quante volte sono venuto a voi e non mi avete riconosciuto”

Oggi vi racconterò una storia. Una storia moderna ma dal sapore antico che sono certa vi riporterà indietro a tanti secoli fa… Inizia in Eritrea, una terra bellissima, dal greco erythros che significa “rosso” come il mare su cui si affaccia. Dovete sapere che in Eritrea vige una dittatura tra le peggiori al mondo. Le violente politiche repressive e antidemocratiche attuate dal governo eritreo colpiscono soprattutto la popolazione in un paese ormai ridotto al terrore, in cui la sola presunzione di un’idea può costare l’imprigionamento, la tortura, la mutilazione o la morte. Un paese in cui sistematicamente vengono violati i diritti umani e civili e in cui la popolazione è continuamente vessata . È un paese in cui è vietata la libertà di culto alle confessioni religiose minoritarie e migliaia di Cristiani Ortodossi, Cristiani Evangelici, Musulmani e altri gruppi religiosi vengono perseguitati e imprigionati senza formalizzazione di atti di accusa e senza processo, in condizioni disumane. Dal 2000 sono innumerevoli gli sbarchi clandestini di cittadini eritrei sulle coste italiane. Essi fuggono a rischio della loro stessa vita da una situazione di repressione umana e politica e dal blocco delle attività produttive sacrificate alla totale militarizzazione del paese. Il servizio militare , infatti, in Eritrea è obbligatorio ed a tempo indeterminato. Gli studenti delle scuole superiori sono costretti a frequentare l’ultimo anno scolastico presso i campi di addestramento militare. Il servizio di leva si svolge in condizioni di estremo disagio e di inaudita violenza, soprattutto nei confronti delle giovani reclute femminili che sono spesso oggetto di stupro da parte dei superiori in grado. Per sfuggire a questa situazione migliaia di eritrei sono costretti a fuggire dal loro paese tentando di arrivare sulle coste italiane. Anche Yohanes e Terhas sono giunti in Italia per vie che solo la disperazione può far sopportare . Molti dei loro compagni di viaggio sono morti in mare, nel deserto, nelle carceri libiche o tunisine perché i respingimenti spesso violano i diritti umani ed essere riportati indietro per molti significa firmare la propria condanna a morte. Yohanes e Terhas sono giovanissimi e hanno una responsabilità in più. Un bambino che deve nascere e loro non vogliono che nasca in un paese dove non c’è libertà. È per lui che salgono su un barcone. Profughi tra i profughi, disperati tra i disperati. È il settembre del 2009 e il barcone strapieno di umanità sofferente, nelle gelide acque del canale di Sicilia si inabissa. Molti non ce la fanno e a Yohanes e a Terhas non rimane altro che rimanere aggrappati ai resti del barcone in attesa che qualcuno venga a salvarli. Nelle lunghe ore passate in acqua l’unico pensiero è per il piccolo che Terhas porta in grembo. Se si salveranno, se riusciranno ad arrivare sulle coste siciliane, se il piccolo sopravviverà e sarà un maschio lo chiameranno Musie , Mosé, salvato dalle acque. E arrivano i soccorsi e qualcuno tende loro un mano e tante altre mani si tenderanno per accoglierli in terra di Sicilia. E così che arrivano al centro di accoglienza di Sant’Angelo di Brolo in provincia di Messina. E qui che vengono rifocillati, accuditi, e qui che raccontano di quello che hanno patito e qui che la loro vita incrocia quella di un giovane medico che ha un nome bellissimo: Angela. È quel giovane medico che si prende cura di loro e del piccolo Musie, nato in Italia , nell’ospedale di Patti, il 19 di ottobre; ed è Angela che telefona alla sua famiglia per comunicare loro che porterà a Piazza Armerina la piccola famigliuola; ed è sempre Angela ,sostenuta dalla sua meravigliosa famiglia, che troverà a Yohanes un lavoro, una casa piccola ma accogliente; ed è Angela che si occuperà di tutti i loro documenti, arrivati come per incanto in un tempo brevissimo. C’ero anch’io con mia figlia e tanti amici giorno 7 dicembre ad accogliere Yohanes, Terhas e Musie nella loro nuova casa a Piazza Armerina. Ed è stata una festa bellissima. Loro non parlano l’italiano ma l’amore si sa, non conosce frontiere nè lingue. È stato un momento di grande commozione, un vero dono di Natale . In quella piccola casa ognuno di noi ha ricevuto qualcosa. Non sono stati Yohanes con Terhas e il piccolo Musie a ricevere qualcosa da noi ma noi ad avere da loro un regalo immenso che si chiama felicità e di cui spesso ci dimentichiamo.. Vi ho raccontato questa storia perché anche questo può essere un modo per ringraziare Angela, la sua straordinaria famiglia e tanti amici che con grande generosità hanno voluto contribuire a sostenere questa nuova famiglia arrivata qui da un paese lontano. Ho voluto raccontarvi questa storia perche credo fermamente che un piccolo Gesù Bambino sia arrivato nella nostra città … ho voluto raccontarvi questa storia perchè in un mondo in cui “l’altro” ci fa paura il sorriso di Yohanes, Terhas e Musie ci ricorda che non esistono gli “altri” e i “diversi” ma tutti siamo profughi su questa terra che è di tutti. Voglio dirvi un’ultima cosa se ancora avete qualche dubbio. Yohanes in Eritrea di mestiere faceva il falegname ….

Rifugiati e richiedenti asilo. Insieme in una squadra di calcio

Si chiama Liberi Nantes e gioca a Roma, in terza categoria. E’ nata per iniziativa di un gruppo di ragazzi, sostenuti dalla Fondazione Di Liegro Il magazine ‘Sportweek’ le ha dedicato un servizio, nel maggio di quest’anno, ripreso da Gianni Mura nella sua rubrica “Cattivi pensieri” sulla ‘Repubblica’: si chiama Liberi Nantes, “squadra di terza categoria – ha scritto Mura – del campionato Figc interamente composta da rifugiati politici. E’ nata a Roma su iniziativa di un gruppo di volontari. Dice il presidente, Gianluca Di Girolami: ‘Abbiamo messo insieme tanti ragazzi che non hanno nulla: famiglia, soldi, legami. Hanno lasciato tutto alle spalle, dopo traumi terribili. Lo sport per loro ha una funzione terapeutica’. L’allenatore è italiano, si chiama Giulio. Dice: ‘In partita calavano alla distanza, molti non riescono a nutrirsi regolarmente e a dormire bene. E nel gioco spesso facevano di testa propria, è stata la vita a costringerli a pensare da singoli. Nei primi allenamenti correvano in gruppi: gli afghani, i nigeriani, i sudanesi, i somali. Poi hanno imparato a fidarsi e ora sono un vero spogliatoio’. Giocano con la maglia azzurra dell’Onu, vivono dove possono, anche nei Cpt (in realtà tutti coloro che sono titolari di protezione umanitaria, non vivono nei Cpt, oggi ribattezzati ‘Centri di Identificazione ed Espulsione’, bensì vengono ospitati dei Centri di Accoglienza per Rifugiati e Richiedenti Asilo, ndr), la risposta alla richiesta d’asilo dovrebbe arrivare in un mese ma spesso bisogna aspettarne sei, anche di più, e intanto un lavoro regolare non si può trovare, finché la posizione non è chiarita, ma in nero sì. Il titolo di Sportweek è ‘Roma città aperta’”. Ottimistico, probabilmente, il titolo del magazine. Però la notizia è vera, oltrechè incoraggiante. Il nome della squadra deriva dal primo libro dell’Eneide “perché come i naufraghi troiani che fondarono Roma, anche questi sono uomini in fuga da guerre e violenze. ‘Liberi Nantes’ è nata su iniziativa di un gruppo di tifosi, dopo l’esperienza dei Mondiali Antirazzisti (www.mondialiantirazzisti.org) e con il sostegno della Fondazione Don Luigi di Liegro. Obiettivo dell’iniziativa: restituire ai migranti forzati un pezzo di vita normale attraverso il gioco del calcio”. Lo raccontano i promotori stessi sul loro sito, www.liberinantes.org, dove si possono scorrere puntualmente i risultati della squadra, settimana dopo settimana: perchè, alla fine, di calcio stiamo parlando (e precisamente del girone E del campionato romano di Terza categoria). Sudore, competizione, voglia di vincere, pur in una cornice di solidarietà e diritti sociali e civili inalienabili. Gianluca Di Girolami, il presidente, è un ragazzo appassionato, uno che va allo stadio e tifa con tutta l’anima per una squadra, la Lazio (il sodalizio più antico della Capitale, oltreché la polisportiva più grande d’Europa), la cui fama – esaurita l’età dell’oro cragnottiana delle vittorie in serie nelle competizioni europee – è ormai ingiustamente legata ad una parte della tifoseria di curva, razzista e xenofoba. Gianluca descrive così il progetto di Liberi Nantes: “I giocatori provengono soprattutto da Afghanistan, Guinea, Eritrea, Togo e Repubblica Centrafricana, per formare la squadra abbiamo contattato i vari centri di accoglienza per rifugiati di Roma, con cui continuiamo ad avere ottimi rapporti perché offriamo a questi ragazzi un momento di stacco dalle angosce che vivono quotidianamente”. Del resto, come accennava lo stesso Mura, i richiedenti asilo politico sono costretti ad affrontare penose e talvolta incivili trafile burocratico-amministrative (che non è affatto detto vadano a buon fine) prima di potersi costruire una vita in Italia: devono affrontare il colloquio con la commissione territoriale, ricorrere in appello in caso di eventuale diniego (se la commissione non dovesse concedere né asilo politico, né un “permesso per motivi umanitari”) e solo a quel punto può iniziare la difficile ricerca di un impiego. Mentre la vita scorre tra ostacoli di ogni tipo, un barlume di riscatto si affaccia attraverso un percorso di straordinaria importanza socio-culturale. Percorso immortalato recentemente anche da un film-documentario (patrocinato, allora, dalla Regione Lazio) realizzato da Salvatore Cotogno che ha fissato le tappe che hanno dato vita al Liberi Nantes: “Un viaggio collettivo, fatto di tanti viaggi individuali, che spesso sono fughe da guerre e persecuzioni e che approdano insieme ad una grande festa di sport e di dialogo interculturale. E’ il calcio che unisce invece di dividere”. Paolo Repetto

Notte al freddo per i rifugiati

Dalle 18 di ieri presidio no stop di etiopi, eritrei e sudanesi davanti al Comune “Aiutami. Silvia, aiutami. Non voglio vivere così. Ti prego, Silvia, aiutami”. È quasi mezzanotte, piove a dirotto e Bari sta già dormendo: per Osman e per i cinquanta eritrei, etiopi e sudanesi che con lui si riparano dietro le colonne del Piccinni trascorrere la notte all’aria aperta non è una novità, i posti letto nei dormitori bastano solo a poche persone. E poi “il dormitorio non è buono come una casa, va bene per qualche mese e non di più”, dice Osman, “quando sei stanco, quando stai male o sei ammalato, devi stare per strada”. Cinquanta tra richiedenti asilo e rifugiati politici, molti dormono nei giardinetti di Piazza Umberto o vicino alla stazione, altri davanti al Ferrhotel con coperte e materassi di fortuna, mangiano alle mense comunali e fanno la doccia nei centri “Caps”. “A mensa metà di noi mangiano, metà no, e poi solo un pasto al giorno”, continua Osman, “questo chiediamo: una casa, cibo, acqua e lavoro”. Osman è in Italia da tre anni, da due vive stabilmente a Bari: come tutti i suoi connazionali presenti al presidio, è arrivato in Sicilia dalla Libia attraversando il mare, per due giorni su un barcone da dieci persone in compagnia, però, di altri cinquanta esseri umani. In Puglia ha girato tanto per lavorare, conosce bene le campagne del barese perché vi ha fatto da bracciante, sottopagato, “una vita da schiavi, ancora una volta, e non puoi più tornare indietro nel tuo Paese altrimenti ti fanno fuori”. “Sai Silvia, quando vai in campagna tu trovi lavoro, ma comunque dormi sotto gli alberi, sulle olive”, interviene Negasi, “o, se ti va bene, dentro qualche casetta che ti trovano i padroni, sempre nelle campagne, e quanti ce ne sono qui, fatti un giro”. Negasi ha provato a scappare in Norvegia ma per la Convenzione di Dublino è stato immediatamente rimandato in Italia (“è per le impronte, mi hanno riconosciuto e mi hanno detto : vai in Italia che lì avrai i tuoi diritti. E invece gli unici soldi che ho avuto sono stati gli undici euro per pagare il treno da Fiumicino alla stazione Termini”). “Fuori, vai fuori tutti mi dicono”, dal Cara, dai dormitori, dagli ospedali dove si rifugia, peccato Negasi non sappia più dove andare, senza un centesimo in tasca (in tasche precarie, quelle che passa ogni settimana la Caritas) non può nemmeno comprare le medicine: “prego Dio, mi aiuterà, oppure vado al gioco dei pacchi in televisione, che lì si vincono tanti soldi”. Gli eritrei si radunano in gruppetto, bisbigliano, poi mi chiamano in disparte: “ma scusa, voi italiani siete stati sessant’anni in Eritrea, da noi ci sono persino i cimiteri italo-eritrei, ora perché qui non ci rispettate? Non ci riconoscete più?”. Mary e Susanna, eritrea ed etiope dai nomi italianizzati, ventitre anni a testa, hanno due stanzette a Madonnella, la prima fa la badante, la seconda la cameriera: Mary, più riservata, aspetta di raggiungere suo marito a Londra, Susanna, un “peperino”, mi chiede consigli sui pub che cercano personale. Entrambe vanno a lavorare presto la mattina, eppure passano da casa, mettono una tuta e tornano a dormire con i loro connazionali, con una coperta sul pavimento del Piccinni, loro sì che non dimenticano chi sta peggio. Le accompagno a casa. “Dai, dammi il tuo numero”, Susanna mi abbraccia, “io cerco amici qui, vienimi a trovare: un giorno di questi ti preparo un bel pranzetto”.

Stop al reato di immigrazione clandestina il giudice di pace accoglie eccezione pm

di Fabio Russello AGRIGENTO - Il reato di immigrazione clandestina, introdotto nel decreto sicurezza del Governo, potrebbe essere incostituzionale. Il giudice di pace di Agrigento, Giuseppe Alioto, ha infatti accolto - emettendo nell'udienza di stamattina un'apposita ordinanza - l'eccezione di incostituzionalità del reato di immigrazione clandestina sollevata dalla Procura della Repubblica di Agrigento. Si tratta, secondo la Procura, del primo caso in Italia. Secondo il giudice l'eccezione «non è manifestamente infondata» ed ha dunque deciso di sospendere il processo che vedeva imputate del reato di immigrazione clandestina 21 persone sbarcate nell'agosto scorso nell'isola dei Conigli a Lampedusa, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale per la valutazione di costituzionalità. L'ordinanza del giudice di pace come vuole la prassi è stata trasmessa alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e alle presidenze del Senato e della Camera dei deputati. La Procura di Agrigento, con un'eccezione firmata dal procuratore della Repubblica aggiunto Ignazio Fonzo aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale nel settembre scorso per la violazione degli articoli 3, 25 e 27 della Costituzione, ritenendo che la norma introdotta violasse i principi di materialità ed offensività del diritto penale nonché di quelli di proporzionalità e ragionevolezza della legge penale, ma anche la violazione del 117 della Costituzione perché la norma violerebbe gli obblighi internazionali assunti dall'Italia in materia di trattamento dei migranti. Il giudice ha rilavato «come il principio di necessaria offensività del diritto penale costituisca un limite alla discrezionalità del legislatore: non è consentito che per finalità di mera deterrenza siano introdotte sanzioni che non si ricollegano a fatti colpevoli ma, piuttosto, a modi di essere ovvero ad una mera disobbedienza priva di disvalore, anche potenziale, per un determinato bene giuridico che si deve proteggere. In definitiva, l'ingresso o la presenza illegale del singolo straniero non paiono rappresentare, di per sé, fatti lesivi di beni meritevoli di tutela penale, ma sono l'espressione di una condizione individuale, la condizione di migrante». (15 dicembre 2009)

domenica 13 dicembre 2009

POLITICHE EUROPEE IMMIGRAZIONE: PREVALE LA LINEA DELLA "FORTEZZA EUROPA"

BASILEA (Migranti-press) - La Commissione Europea ha di recente presentato il cosiddetto "Programma di Stoccolma", un piano d'azione della durata di cinque anni per il settore della politica interna e della giustizia a livello di Unione Europea. Un ampio spazio è dedicato anche alla politica migratoria e dell'asilo. Gli stessi contenuti sono stati poi confermati dal Consiglio Europeo tenutosi a Bruxelles il 18 e il 19 giugno. Negli ultimi mesi una particolare attenzione è stata rivolta ai movimenti nel Mediterraneo. Il governo italiano, soprattutto, ha fatto discutere per diverse misure riguardanti il controllo delle frontiere meridionali: trasformazione del centro di accoglienza di Lampedusa in un centro di identificazione ed espulsione, l'accordo con la Libia, i respingimenti verso i porti libici delle imbarcazioni su cui navigano migranti e potenziali rifugiati. Non si possono dimenticare, poi, le situazioni precarie di Malta e Cipro, isole di limitate dimensioni che si trovano a far fronte ad un forte aumento delle richieste d'asilo, e le frontiere terrestri e marittime tra Turchia e Grecia. La Commissione afferma nel suo comunicato sul "Programma di Stoccolma": "priorità importante dei prossimi anni sarà consolidare e attuare veramente una politica d'immigrazione e di asilo che garantisca la solidarietà tra gli Stati membri e il partenariato con i paesi terzi, una politica che offra uno status chiaro e comune agli immigrati legali. Bisognerà stabilire un nesso più forte tra immigrazione e esigenze del mercato del lavoro europeo e sviluppare politiche mirate di integrazione e istruzione, e occorrerà utilizzare con maggiore efficacia gli strumenti disponibili per combattere l'immigrazione clandestina. L'Unione dovrà poi progredire verso un sistema comune di asilo e affermare, in questo settore, la condivisione delle responsabilità e la solidarietà tra gli Stati membri". Gli obiettivi, che non si discostano da quelli affermati già l'anno scorso nel "Patto europeo per l’immigrazione e l’asilo", pongono l'UE di fronte a gravi dilemmi che richiedono, per essere risolti, un impegno politico di ampio respiro e una costante vigilanza da parte delle organizzazioni che tutelano i diritti umani dei migranti. Una delle prime questioni riguarda l'immigrazione regolare: come mettere insieme gli interessi economici dei vari Paesi europei che vorrebbero immigrati "su misura", possibilmente qualificati, con la spinta a emigrare che coinvolge le giovani generazioni soprattutto africane a motivo di guerre, corruzione, povertà, violazioni dei diritti umani, cause remote di cui anche certe politiche europee nei confronti dell'Africa sono corresponsabili? Un'altra domanda è: come combattere l'immigrazione clandestina senza per questo violare i diritti umani? Delegare, infatti, a Paesi come la Libia o la Turchia il respingimento di persone che provengono da altri Paesi africani o asiatici vuol dire essere complici di torture, violenze, stupri, incarcerazioni arbitrarie e disumane in centri di detenzione, posti sì fuori dai confini europei, ma voluti e finanziati dall'UE. Tali fatti sono ormai ampiamente documentati. Tuttavia, l'ultimo Consiglio Europeo ha sostanzialmente approvato le attività del governo italiano, affermando: "La conclusione dei negoziati sugli accordi di riammissione della Commissione Europea con i Paesi chiave di origine e di transito quali la Libia e la Turchia è una priorità: fino ad allora gli accordi bilaterali già esistenti dovrebbero essere attuati in maniera adeguata". Non viene fatta parola della necessità di garantire i diritti umani in quelle regioni. L'ECRE (European Council on Refugees and Exiles), che riunisce 69 organizzazioni non governative europee che assistono i rifugiati, pone un'altra questione: costruire un sistema europeo di asilo ben organizzato non ha senso, se poi, in nome della lotta all'immigrazione clandestina, diventa sempre più difficile per i richiedenti asilo raggiungere il territorio dell'UE. Occorre aprire urgentemente canali straordinari di accesso legale, affinché le persone bloccate in Libia ed in altri Paesi di transito, nei quali non può essere fatto valere il diritto di protezione internazionale, possano arrivare nei Paesi europei in modo regolare e protetto, garantendo così la loro sicurezza e la loro vita. L'agenda della politica europea in materia di immigrazione e asilo è, dunque, fitta, e nei prossimi mesi vi saranno ulteriori evoluzioni. Tuttavia, i fatti ci dicono che per il momento prevale la linea della "Fortezza Europa", mentre molto lentamente avanzano idee e proposte volte a considerare i fenomeni migratori in un contesto più ampio in cui la collaborazione con i Paesi di partenza e di transito vada oltre il contrasto all'immigrazione clandestina, alla ricerca di strategie di sviluppo e di soluzione dei gravi conflitti che si protraggono in diverse regioni del mondo. (L. Deponti/CSERPE)

MCL/CONGRESSO: COSTALLI, SU IMMIGRAZIONE SERVE APPROCCIO NON IDEOLOGICO

(ASCA) - Roma, 12 dic - ''Che la questione immigrazione chieda un approccio non ideologico, urgente e depurato dagli interessi di parte e' cosa lampante, sotto gli occhi di chiunque voglia guardare con realismo la situazione'': e' quanto ha affermato oggi il presidente del Movimento Cristiano Lavoratori, Carlo Costalli, intervenendo a margine dell'XI Congresso Nazionale del Movimento, in corso da ieri a Roma. Occorre fare attenzione, ha proseguito Costalli, perche' ''il tema dell'immigrazione non puo' essere utilizzato per alimentare e incrementare le paure della nostra gente. Piuttosto e' nostro compito diffondere nella comunita' in cui operiamo una mentalita' diversa rispetto a quella, purtroppo maggioritaria, fortemente e aprioristicamente ostile nei confronti degli immigrati, spesso anche di quelli regolari''. Per Costalli ''la vera sfida sta nel riuscire a coniugare l'accoglienza con l'indispensabile rispetto della legalita', della solidarieta' e della giustizia''. Il leader del MCL ha sottolineato poi che ''chi affronta viaggi disperati non lo fa certo per turismo: ci sono situazioni di oggettiva rilevante drammaticita' alle spalle di molti. Certo, insieme ai tanti onesti e disperati si infiltrano anche criminali e malavitosi, e per quelli e' ovvio che si debbano far prevalere le sacrosante esigenze di giustizia e legalita'''. ''Sulla posizione della Chiesa in Italia - ha aggiunto - si e' equivocato molto, cercando di strattonarla da una parte o dall'altra secondo le convenienze. In realta', le linee guida sono sempre quelle che ci vengono offerte dalla Dottrina Sociale: la prioritaria dignita' della persona e la destinazione universale dei beni della terra''. Per Costalli e' importante ''insistere sulla dimensione dell'equilibrio: fare attenzione ai numeri sopportabili da un territorio, alle diversita' fra le nazionalita', le religioni, le culture. Di qui la necessita' di attivare una politica per gestire al meglio il fenomeno migratorio. Alla politica, alle istituzioni, alla stessa societa' civile chiediamo un atto di coraggio, di saper progettare il futuro, guardare lontano nella consapevolezza che ''nessun Paese da solo puo' ritenersi in grado di far fronte ai problemi migratori del nostro tempo'''. Secondo Costalli e' fondamentale ''chiamare con decisione a una maggiore corresponsabilita' l'Unione Europea''. ''Dobbiamo considerare che ''i poveri saranno sempre con noi'; non si puo' interrompere una marea con una rete: neppure respingendoli li potremmo mai allontanare per sempre. Evitiamo i diktat della Lega, ma evitiamo anche scorciatoie inutili e dannose pure per gli stessi immigrati: come quelle sulla cittadinanza (su cui la posizione di Fini e' evidentemente strumentale), o sull'insegnamento della religione mussulmana nelle scuole, scuole vogliamo che sia ben visibile il nostro crocifisso!'', ha concluso Costalli.

L'ambiente nuova risorsa per tutti

BOB GELDOF Sono passati venticinque anni dalla carestia etiope degli Anni 80 e dalla manifestazione di generosità e partecipazione senza precedenti che suscitò. La domanda che mi fanno sempre è se sia servita a qualcosa. Che cosa è cambiato in Etiopia e in generale in Africa? E’ cambiato moltissimo, rispondo, nel bene e nel male. La settimana scorsa ero di nuovo lì, dove entrambi i cambiamenti sono ben visibili. Di positivo c’è stata una crescita economica esplosiva; ci si aspetta addirittura che l’anno prossimo l’Etiopia sia fra le cinque economie che più crescono al mondo. Il numero degli iscritti nelle scuole è raddoppiato, le morti per malaria dimezzate e l’Aids è in declino. I telefoni cellulari si stanno diffondendo (e si diffonderebbero ancora di più se fossero privatizzati) e nuove strade di campagna collegano comunità remote ai mercati, alle scuole, agli ospedali. Soprattutto - e nonostante ancora troppe persone per vivere facciano affidamento sugli aiuti alimentari - anche quest’anno, come negli ultimi diciotto, si eviterà la carestia, dato che i sistemi di distribuzione e di allarme sono migliorati. Certamente il governo potrebbe essere più trasparente, ma nel complesso questo è un Paese che fa progressi, in un continente che progredisce anch’esso. Poi c’è il cambiamento negativo - quello climatico. Molti abitanti dei villaggi indicano nella metà degli Anni 80 il momento in cui hanno cominciato a vedere che i loro modelli climatici stavano cambiando. Da allora piogge sempre più irregolari li hanno costretti a cambiare radicalmente organizzazione agricola. Comunità che abbiamo visitato nel Tigray hanno dovuto dare nuovi nomi ai mesi perché erano basati sulle stagioni e quei modelli stavano rapidamente cambiando. La gente ci ha detto che la riduzione delle piogge ha tagliato il loro reddito agricolo. Questo a sua volta sta deformando il tessuto sociale: i furti sono più frequenti e i bambini sono costretti ad andarsene di casa per lavorare. Mentre viaggiavamo nel Nord dell’Etiopia abbiamo visto in tv le immagini dell’alluvione a Cockermouth, in Gran Bretagna - probabilmente parte della stessa trama. Le popolazioni danneggiate dal clima nel Nord dell’Etiopia e nel Nord dell’Inghilterra stanno già vivendo in quello che sarà il nostro futuro, a metà del XXI secolo. A quell’epoca, secondo cinquemila eminenti scienziati, vivremo sulla nostra pelle tutti i drammatici cambiamenti. La disgregazione sociale che vediamo in Etiopia, se le si consente di diffondersi e peggiorare fino alla sua logica conclusione, potrebbe avere una traiettoria spaventosa. E’ sin troppo facile che povertà estrema e cambiamenti climatici alimentino un circolo vizioso, rendendo le comunità più vulnerabili agli estremismi politici. Una fascia di povertà estrema e di instabilità lungo il Sahel e il Sahara - peggiorata dal cambiamento climatico - sarebbe molto negativa per un’Europa che si trova poche miglia a Nord. Questa ipotesi però non è affatto inevitabile. In Etiopia la tensione fra i cambiamenti positivi e quelli negativi è palpabile. Quale direzione vincerà dipende dalle scelte che gli etiopi faranno, e in qualche misura anche da noi. Non ci aspettano solo sacrifici; ci sono anche nuove opportunità. Crediate o no all’opinione generale degli scienziati sui cambiamenti climatici, le nostre economie vi si stanno ineluttabilmente adattando - e c’è una ragione logica per accettarli senza riserve. L’inefficiente economia basata sugli idrocarburi sarà sostituita da energie rinnovabili pulite e a buon mercato; il commercio dei diritti di emissioni dei gas serra - la cosiddetta «carbon finance» - avrà un ruolo molto importante. Secondo il Climate Group, entro il 2015 in Gran Bretagna ci saranno almeno 100 mila nuovi lavori «verdi» e nei prossimi dieci-vent’anni il commercio delle quote di carbonio varrà 1,8 trilioni di sterline. La Cina sta investendo nelle energie rinnovabili, come già la Germania, con una forte espansione dei lavori verdi. Anziché negare questi inevitabili processi, dovremmo abbracciare le opportunità che offrono, se non vogliamo restare indietro. Il sistema finanziario relativo al commercio del carbonio e il mercato possono aiutare a trovare soluzioni buone per la Gran Bretagna come per l’Africa. Per esempio, piantare alberi per catturare anidride carbonica potrebbe diventare il nuovo «cash crop» - le coltivazioni per l’esportazione - dei contadini africani. Investire in agricoltura in Africa, sia attraverso gli aiuti governativi che i fondi privati, è fondamentale. E può anche essere molto redditizio. Il primo ministro etiope, Meles Zenawi, leader dei negoziatori africani a Copenhagen, mi ha detto di essere scettico sulle offerte di denaro della comunità internazionale e la sua doppia contabilità. Abbiamo parlato delle promesse di nuovi fondi per investimenti agricoli fatte al G8 dell’Aquila la scorsa estate e dei possibili impegni che potrebbero venire da Copenhagen. Ma Zenawi teme che si tratti di denaro già impegnato altrove. Venticinque anni fa si parlava di Africa che moriva di fame. Ora, nonostante l’attuale scarsità di cibo in alcune regioni, si racconta una storia diversa: quella di un’Africa che, come mostrano le statistiche, si sta sollevando. L’ultimo continente a svilupparsi, con una classe media rigogliosa e 900 milioni di produttori e consumatori, è il posto dove nei prossimi decenni ci sarà un ritorno di investimento tra i migliori al mondo. Dobbiamo accompagnare, come abbiamo promesso, questi popoli, per la salvezza della nostra economia e del nostro ambiente globale, perché fra altri 25 anni potremmo avere bisogno di loro più di quanto loro non avranno bisogno di noi.

Un servizio di orientamento e prima accoglienza per i rifugiati afghani

“Dopo il recente trasferimento di oltre un centinaio di persone presso il Centro di Castelnuovo di Porto, le associazioni locali hanno aperto un presidio socio-sanitario e di orientamento per i rifugiati afghani che continuano a stazionare nelle vicinanze della Stazione Ostiense. Rinnovando l’impegno sul campo, si è dato vita all’esperienza del centro SAIDA - salute, intercultura, diritti, accoglienza -, fornendo indispensabili prestazioni di orientamento, di assistenza medica e legale, di alfabetizzazione linguistica, di semplice ma preziosa informazione. Con esso, contemporaneamente, si è impedito il formarsi di un’altra situazione inumana simile a quella vissuta per mesi da coloro che avevano trovato rifugio nella cosiddetta “buca”, l’area di cantiere in Via Capitan Bavastro dove avevano trovato rifugio in tanti. Gli sforzi di rifugiati, associazioni, movimenti locali e Municipio XI, sul terreno dell’integrazione e dell’accoglienza, si contrappongono da anni all’indifferenza, all’inerzia ed alle cieche azioni di repressione. Le associazioni agiscono oggi all’interno di un circolo bocciofilo, grazie alla disponibilità dei frequentatori dello stesso. Si tratta, però, di una sistemazione inadatta e a tempo per un servizio che è invece indispensabile e che, per di più, viene erogato in forma volontaria e non retribuita. Il minimo che l’Amministrazione comunale possa fare, vista l’incapacità di fornirlo “in proprio”, è appoggiare le realtà sociali, mettendo a disposizione spazi e risorse adeguate. Il Municipio XI ribadisce l’estrema urgenza di trasformare il centro SAIDA in un’attività stabile, a garanzia tanto dei rifugiati afghani che degli equilibri territoriali. A tal proposito, si rinnova la proposta di aprire gli spazi vuoti ed inutilizzati dell’Air Terminal per darli in uso alle associazioni già operative negli aiuti umanitari o, in alternativa, si invita la Giunta Alemanno a fornire di un prefabbricato, da adibire alle attività sopra menzionate, uno dei terreni comunali limitrofi”. http://www.urloweb.com/municipio/municipio-xi/1647-un-servizio-di-orientamento-e-prima-accoglienza-per-i-rifugiati-afghani.html Andrea Catarci, Presidente del Municipio Roma XI

Iran, Amnesty: violazioni diritti umani le peggiori in 20 anni

LONDRA (Reuters) - Le violazioni dei diritti umani perpetrate attualmente in Iran sono le peggiori degli ultimi 20 anni. Lo afferma oggi Amnesty International. Il rapporto dell'associazione per i diritti umani, che fa seguito alle contestate elezioni presidenziali di giugno, cita accuse di tortura, stupro e omicidi illegali. Amnesty chiede al supremo leader dell'Iran, l'Ayatollah Ali Khamenei, di consentire agli esperti di diritti umani delle Nazioni Unite di visitare il paese per contribuire a un'indagine. Le inchieste ufficiali finora "sono sembrate più preoccupate di coprire gli abusi piuttosto che di ottenere la verità", accusa Amnesty. L'Iran ha liquidato già in passato le critiche sul proprio record negativo in fatto di diritti umani. "I membri delle milizie e agenti che hanno commesso violazione devono essere ritenuti immediatamente responsabili e nessuno, per qualsiasi accusa, deve essere giustiziato", ha detto il vice direttore del Programma di Amnesty International per il medio Oriente e l'Africa del Nord, Hassiba Hadj Sahraoui. Il rapporto traccia un quadro di abusi prima, durante e, in particolare, dopo le elezioni, quando le autorità hanno schierato per strada la milizia Basij e le Guardie della Rivoluzione per reprimere le proteste di massa contro il discusso risultato del voto. Le dimostrazioni di massa contro la rielezione del presidente fondamentalista Mahmoud Ahmadinejad hanno fatto precipitare in piena crisi la Repubblica islamica, ma le manifestazioni dell'opposizione non attirano più le folle che riempivano le strade subito dopo il voto del 12 giugno. Il candidato sconfitto Mirhossein Mousavi ha denunciato brogli elettorali. Alcune delle persone detenute durante le proteste sono state costrette ad abbandonare l'Iran, dice il rapporto. Un ex detenuto ha detto di essere stato recluso nel carcere di Kahrizak per circa 58 giorni, tenuto in un cointaner da nave, col permesso di contattare i suoi familiari solo dopo 43 giorni, dice ancora il rapporto. "Chiunque sia stato arrestato o incarcerato deve essere protetto dalla tortura e altri maltrattamenti, i prigionieri di coscienza devono essere rilasciati e vanno rivisti i casi di coloro che sono stati condannati dopo processi non equi - tra cui i 'processi show' che hanno fatto della giustizia una macchietta", ha detto Sahraoui. "Tutte le condanne a morte devono essere commutate, e gli altri non ancora giudicati devono ottenere un processo equo".