Con Moldova e Burkina Faso sono arrivati a 30 i Paesi che lo hanno ratificato. E l'Italia resta indietro
Con la ratifica di Moldova e Burkina Faso, la Convenzione di Oslo per la messa al bando delle bombe a grappolo ha raggiunto il numero di Paesi necessario per l'entrata in vigore. La data fissata dalle Nazioni Unite è il primo agosto prossimo. Da allora, i Paesi che lo hanno ratificato (attualmente trenta), si impegneranno ad adempiere alle condizioni del Trattato, che vieta la produzione, l'uso e il possesso dei micidiali ordigni.
Passo di fondamentale. Si tratta del più importante Trattato sul disarmo dopo la Convenzione per la messa al bando delle mine antiuomo (Ottawa, 1997) e un 'fondamentale accordo umanitario', secondo quanto dichiarato dal presidente della Coalizione per la messa al bando delle cluster, Richard Moyes. "E' un passo fondamentale nell'agenda del disarmo mondiale - ha commentato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon -. La ratifica dimostra la repulsione nei confronti di queste armi, inaffidabili e inaccurate". Ban ha poi invitato le nazioni che non hanno ancora aderito alla convenzione a farlo "senza ritardi".
Pericolo per le popolazioni civili. Nonostante l'accordo, i maggiori produttori di cluster hanno boicottato il processo di Oslo, ovvero le tappe che dal 2007 hanno portato alla ratifica. Stati Uniti, Russia, Cina, India, Israele e Pakistan erano assenti agli incontri. Per cinque anni la società civile internazionale, con un cartello di 300 Ong, ha lavorato per negoziare un trattato vincolante che vietasse l'utilizzo delle bombe a grappolo. Armi di grandi dimensioni, sganciate da aerei o esplose da sistemi di artiglieria, la cluster rilasciano ordigni più piccoli che si disperdono sul terreno in aree molto vaste. Possono rimanenere inesplose per anni, e costituire un pericolo per la popolazione civile, soprattutto i bambini.
Secondo un rapporto dell'associazione Handicap International sarebbero circa 100 milioni le bombe a grappolo rimaste inesplose nel mondo delle oltre 440 milioni utilizzate dal 1965. Dal 1991 tali ordigni sono stati utilizzati nei principali conflitti: Iraq, Kuwait, Bosnia, Cecenia, Croazia, Sudan, Sierra Leone, Etiopia, Eritrea, Albania, Kosovo, Afghanistan, Ossezia del sud. Nella campagna israeliana in Libano del'estate 2007 il tasso di bombe inesplose è risultato del 30 percento.
Lentezza burocratica. Il 3 dicembre 2008 a Oslo l'Italia ha sottoscritto il Trattato, ma il Parlamento italiano non l'ha ancora ratificato. "Il problema dell'Italia è la sua lentezza burocratica - ha spiegato a PeaceReporter Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine -. Il processo di ratifica è un processo abbastanza lungo, che avviene per iniziativa governativa. Al suo interno sono coinvolti anche alcuni ministeri, nello specifico quello degli Esteri e quello della Difesa, che devono dare pareri. Poi ci sono implicazioni di carattere non esclusivamente politico. Anzi, la volontà politica del nostro Paese è stata unanime. Sono problemi di carattere finanziario. Per gli adempimenti contenuti nella Convenzione, per esempio quello di distruggere i propri arsenali di cluster, sono necessari stanziamenti di bilancio che ritardano ulteriormente i tempi di ratifica. Facciamo un esempio: il protocollo quinto del CCW (Convenzione su certe armi convenzionali), che tratta proprio di cluster bomb, è stato adottato dal nostro Paese nel 2003. E' entrato in vigore nel 2006, ma l'Italia, nonostante il parere positivo delle nostre rappresentanze diplomatiche nelle sedi preposte, ha fatto il primo passo per la ratifica nel settembre 2009 alla Camera. Ci sono voluti sei anni e mezzo. Anche se in quel caso, l'esborso economico era solo di 15mila euro, per partecipazioni a conferenze e spese prevalentemente burocratiche e amministrative. A causa di questa lentezza, la Campagna Italiana chiederà al Governo e ai parlamentari di promuovere un’immediata moratoria unilaterale del nostro Paese sulla produzione, uso e commercio di questo sistema d’arma, in linea con le definizioni della Convenzione di Oslo".
Luca Galassi
Passo di fondamentale. Si tratta del più importante Trattato sul disarmo dopo la Convenzione per la messa al bando delle mine antiuomo (Ottawa, 1997) e un 'fondamentale accordo umanitario', secondo quanto dichiarato dal presidente della Coalizione per la messa al bando delle cluster, Richard Moyes. "E' un passo fondamentale nell'agenda del disarmo mondiale - ha commentato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon -. La ratifica dimostra la repulsione nei confronti di queste armi, inaffidabili e inaccurate". Ban ha poi invitato le nazioni che non hanno ancora aderito alla convenzione a farlo "senza ritardi".
Pericolo per le popolazioni civili. Nonostante l'accordo, i maggiori produttori di cluster hanno boicottato il processo di Oslo, ovvero le tappe che dal 2007 hanno portato alla ratifica. Stati Uniti, Russia, Cina, India, Israele e Pakistan erano assenti agli incontri. Per cinque anni la società civile internazionale, con un cartello di 300 Ong, ha lavorato per negoziare un trattato vincolante che vietasse l'utilizzo delle bombe a grappolo. Armi di grandi dimensioni, sganciate da aerei o esplose da sistemi di artiglieria, la cluster rilasciano ordigni più piccoli che si disperdono sul terreno in aree molto vaste. Possono rimanenere inesplose per anni, e costituire un pericolo per la popolazione civile, soprattutto i bambini.
Secondo un rapporto dell'associazione Handicap International sarebbero circa 100 milioni le bombe a grappolo rimaste inesplose nel mondo delle oltre 440 milioni utilizzate dal 1965. Dal 1991 tali ordigni sono stati utilizzati nei principali conflitti: Iraq, Kuwait, Bosnia, Cecenia, Croazia, Sudan, Sierra Leone, Etiopia, Eritrea, Albania, Kosovo, Afghanistan, Ossezia del sud. Nella campagna israeliana in Libano del'estate 2007 il tasso di bombe inesplose è risultato del 30 percento.
Lentezza burocratica. Il 3 dicembre 2008 a Oslo l'Italia ha sottoscritto il Trattato, ma il Parlamento italiano non l'ha ancora ratificato. "Il problema dell'Italia è la sua lentezza burocratica - ha spiegato a PeaceReporter Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine -. Il processo di ratifica è un processo abbastanza lungo, che avviene per iniziativa governativa. Al suo interno sono coinvolti anche alcuni ministeri, nello specifico quello degli Esteri e quello della Difesa, che devono dare pareri. Poi ci sono implicazioni di carattere non esclusivamente politico. Anzi, la volontà politica del nostro Paese è stata unanime. Sono problemi di carattere finanziario. Per gli adempimenti contenuti nella Convenzione, per esempio quello di distruggere i propri arsenali di cluster, sono necessari stanziamenti di bilancio che ritardano ulteriormente i tempi di ratifica. Facciamo un esempio: il protocollo quinto del CCW (Convenzione su certe armi convenzionali), che tratta proprio di cluster bomb, è stato adottato dal nostro Paese nel 2003. E' entrato in vigore nel 2006, ma l'Italia, nonostante il parere positivo delle nostre rappresentanze diplomatiche nelle sedi preposte, ha fatto il primo passo per la ratifica nel settembre 2009 alla Camera. Ci sono voluti sei anni e mezzo. Anche se in quel caso, l'esborso economico era solo di 15mila euro, per partecipazioni a conferenze e spese prevalentemente burocratiche e amministrative. A causa di questa lentezza, la Campagna Italiana chiederà al Governo e ai parlamentari di promuovere un’immediata moratoria unilaterale del nostro Paese sulla produzione, uso e commercio di questo sistema d’arma, in linea con le definizioni della Convenzione di Oslo".
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