Ancora in fuga, ancora ostaggi. Mentre l’Egitto fa parlare di sé dalle strade e dalle piazze, nel deserto al confine con Israele continuano i soprusi ai danni dei profughi che attraverso il Sinai cercano nuove rotte per la salvezza: adesso nelle mani dei trafficanti di esseri umani ci sono anche tre minori.
L’allarme giunge ancora una volta da don Mussie Zerai, sacerdote eritreo responsabile dell’Agenzia Habeshia nonché principale riferimento per i profughi sequestrati e per le loro famiglie. La prima notizia dei rapimenti era giunta a novembre, quando alcune persone di un gruppo di 250 tra eritrei, sudanesi, etiopi e somali erano riuscite a contattare Zerai per denunciare il trattamento a cui erano sottoposti: legati in container nel deserto, torturati e minacciati perché pagassero altri ottomila dollari a testa sulla cifra pattuita ed avere così la possibilità di raggiungere Israele.
La loro vicenda era stata portata alla luce grazie all’interessamento costante di Zerai e di numerosi associazioni per i diritti umani come Human Rights Watch o il gruppo EveryOne, che avevano denunciato come le recenti politiche europee in fatto di immigrazione (in particolare i respingimenti messi in campo dall’Italia) avessero costretto molti disperati – che pure avrebbero avuto diritto di asilo e la possibilità di ottenere lo status di rifugiati – ad affidarsi ai trafficanti di esseri umani pur di fuggire da situazioni di povertà, guerra e persecuzione. Dopo la chiusura della tratta libica, infatti, i profughi hanno iniziato a far rotta verso Israele, consegnandosi ai trafficanti nel deserto per ottenere il passaggio nei cunicoli che collegano Israele all’Egitto, già utilizzati durante le battaglie a Gaza.
Secondo EveryOne, le bande di trafficanti che agiscono nel nord del Sinai obbedirebbero al movimento fondamentalista Takfir Wal-Hijra, formatosi in Egitto negli anni ’60 e riemerso negli ultimi anni ottenendo sempre un numero maggiore di consesi. Si tratterebbe di un gruppo strettamente legato al Al-Qaeda, che ammette la possibilità di venire meno ai precetti dell’Islam così da potersi integrare senza destare sospetti anche nelle società occidentali o arabe moderate e portare avanti il progetto per un mondo completamente ‘islamizzato’: in quest’ottica è considerata legittima e addirittura lodevole qualsiasi azione, anche la più atroce, volta ad aumentare il potere economico, militare e sociale del fondamentalismo. Compresi i sequestri e le torture nel deserto per estorcere enormi quantità di denaro ai profughi disperati.
Ora, a distanza di tre mesi e nonostante i numerosi appelli all’Europa e ai governi egiziano ed israeliano, la situazione sembra non essere migliorata. «Dei 250 profughi per i quali era iniziata la nostra battaglia – spiega Mussie Zerai a Diritto di Critica – cento sono stati ceduti da Abu Khaled ad altri gruppi di trafficanti e non sappiamo dove si trovino ora». Dei restanti 150, invece, otto sono stati uccisi o fatti sparire nei mesi scorsi, (probabilmente immessi nel giro del traffico d’organi), due donne sono ancora in mano ai sequestratori e gli altri sono stati liberati: alcuni di loro sono riusciti a raggiungere Israele, a fronte del pagamento del riscatto chiesto dai trafficanti.
«Ma ci sono altri profughi – denuncia Zerai – tutt’ora prigionieri di altri trafficanti: si sa di un gruppo di 150 persone e di un altro di 60. Tra di essi ci sono anche tre ragazzini di undici e quattordici anni, rapiti in Sudan dai beduini e venduti poi alle bande del Sinai». Il rischio maggiore che corrono i bambini è quello di essere venduti nei paesi arabi per essere poi fatti sparire nei giri di lavoro minorile, prostituzione o traffico di organi. Uno degli ostaggi nei giorni scorsi è riuscito a mettersi in contatto con Zerai e a raccontare le condizioni in cui lui e i suoi compagni si trovano, secondo un macabro copione che da mesi pare ripetersi sempre uguale: imprigionati nel deserto a pochi chilometri dal confine con Israele, incatenati alle mani e ai piedi, costretti in container roventi durante il giorno e gelidi di notte. Si parla di sevizie continue e gratuite: plastica fusa sulla pelle per ottenere i soldi, ossa spezzate e nessuna possibilità di curare i feriti. Questa volta i trafficanti chiedono diecimila dollari a testa. «Facciamo nuovamente appello – aggiunge Zerai – affinchè l’esercito egiziano già schierato nella zona di confine possa intervenire e liberare tutti gli ostaggi».
Ma la situazione, sul confine con Israele, è già tesa a causa degli scontri che sconvolgono l’Egitto dal 25 gennaio. Nel nord del Sinai infatti i Fratelli Musulmani e Hamas, tramite il network Startfor e Radio Hamas, rivendicano la loro alleanza politica nel promuovere la ribellione in quella parte del Paese, mentre diversi ufficiali di polizia hanno lasciato la divisa per unirsi ai manifestanti nelle proteste contro il Governo. «Al momento è impensabile – si legge in un comunicato di EveryOne – sperare che possano essere organizzate operazioni della polizia o dell’esercito per liberare i rifugiati africani che, al contrario, corrono il rischio di essere usati come forza lavoro illegale, immessi nel mercato degli organi o della prostituzione».
Zerai non rinuncia però a dar voce al grido d’aiuto che giunge dal deserto: «queste persone chiedono di essere liberate, di essere salvate da questo inferno. Certe atrocità non devono essere tollerate».
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