Appello all'Europa per gli eritrei in Libia: “Evacuarli o si richia un bagno di sangue”
Habeshia, Cir e comunità del Corno d’Africa si rivolgono al Consiglio Europeo per 4 mila rifugiati. A Tripoli situazione esplosiva, si chiede un’azione umanitaria per salvarli prima che la rivolta arrivi nella capitale libica
di Raffaella Cosentino, Redattore Sociale
ATTUALITA'. Evacuare d’urgenza migliaia di rifugiati eritrei, somali ed etiopi che si trovano in Libia per evitare un massacro. E’ questo l’appello lanciato oggi con un sit in a piazza Santi Apostoli e una conferenza nella sede della rappresentanza del Parlamento europeo a Roma dall’Agenzia Habeshia, dal Consiglio italiano per i rifugiati e dalle comunità del corno d’Africa.
Alla vigilia del Consiglio europeo straordinario sulla crisi libica a Bruxelles, le associazioni umanitarie chiedono l’intervento dell’Europa, partendo dall’esperienza positiva dei primi 58 rifugiati eritrei arrivati a Crotone l’8 marzo con un C130 dell’aeronautica militare.
Sono 4.000 i rifugiati eritrei, somali ed etiopi che si trovano bloccati a Tripoli, altri 500 sono a Bengasi, secondo le stime fatte dal Cir con il vescovo di Tripoli Mons. Giovanni Martinelli. Se a loro si sommano i migranti dell’Africa sub-sahariana si arriva a 11 mila persone, di cui 8 mila già registrati dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati. Ma se per i subsahariani ci sono ancora le ambasciate dei paesi d’origine che in alcuni casi, come la Nigeria, stanno organizzando delle evacuazioni, i rifugiati del Corno D’Africa non hanno alcuna possibilità di lasciare il paese in guerra. Un dramma nel dramma, con i più deboli che rischiano di pagare il prezzo maggiore.
“Siamo qui per dire che l’Europa deve farsi carico di un’evacuazione umanitaria e che queste persone vengano accolte in diversi paesi europei – ha detto Savino Pezzotta, presidente del Cir – Bisogna fare in fretta, ogni ora che passa mette a rischio la sicurezza di 4 mila persone”. Il Consiglio italiano per i rifugiati ha lanciato un appello assieme ad altri enti e associazioni aderenti al ‘Tavolo asilo’. “I rifugiati attualmente intrappolati in Libia, tra cui le 8 mila persone riconosciute dall’Unhcr, sono completamente privi di alcuna protezione e sono esposti ad atti di violenza e a gravi forme di persecuzione a causa della loro appartenenza a una minoranza e alla loro nazionalità – si legge nel documento - Questi rifugiati sono vittime della violenza esercitata sia da parte delle milizie rimaste fedeli a Gheddafi che da una parte degli insorti. L’Unione Europea non può rimanere inerte di fronte a queste gravi e diffuse violazioni di diritti umani.” Il Tavolo asilo chiede al Consiglio dell’Unione Europea, alla Commissione Europea e ai governi dell’Unione che “ venga con priorità assunto l’impegno ad assistere i rifugiati intrappolati in Libia in particolare prevedendo un’evacuazione umanitaria immediata ed un’accoglienza negli stati membri”. Domani ci sarà una manifestazione a Ginevra e altre hanno avuto luogo in Svezia e Gran Bretagna.
“A Misratah i detenuti sono stati costretti a prendere le armi contro la piazza, da quel momento è partita la caccia all’immigrato africano - ha spiegato don Mussie Zerai, presidente di Habeshia – ho ricevuto messaggi di gente aggredita per strada con i coltelli, se Tripoli cadrà nelle mani dei rivoltosi, uno dei rischi è il bagno di sangue se la rabbia della gente si sfogherà sui rifugiati”. Anche secondo Gino Barsella, capo progetto in Libia del Cir, il vero problema resta a Tripoli. “L’unica possibilità è l’evacuazione umanitaria fatta dall’Unione europea e il gesto italiano crea un precedente per gli altri stati, dimostra che è possibile se c’è la volontà politica – ha affermato – però va fatto prima possibile, prima che la guerra civile arrivi in città”. In attesa di un’eventuale evacuazione su mezzi europei, il vescovo Martinelli si sta occupando di registrare tutti i rifugiati presenti e la chiesa cattolica di Tripoli è diventata il punto di aggregazione per eritrei, somali e etiopi, sia cristiani sia musulmani.
Situazione esplosiva nella capitale libica, ma più tranquilla a Bengasi, dove i 500 rifugiati hanno occupato una ex fabbrica turca. “L’Acnur sta facendo un accordo con il governo provvisorio dei ribelli per entrare in Libia dal confine egiziano e cercare di portare fuori queste persone – ha spiegato Barsella – anche se l’Alto commissariato non è presente nel paese, ha fatto un piano di reinsediamento di emergenza per tutti quelli che fuoriescono dalla Libia”. Continue aggressioni per le strade, persone portate via dalle loro case o costrette a lasciarle dai padroni di casa libici che li considerano mercenari sostenitori del regime, uomini barricati dall’inizio della rivolta per paura. i somali si sono rifugiati nella loro ex ambasciata a Tripoli. Solo le donne escono per fare la spesa e sono costrette a pagare i generi di prima necessità anche il triplo del prezzo fatto ai libici. Soprusi, violenze e terrore. Lo hanno raccontato esponenti delle comunità che hanno i familiari in Libia e anche alcuni dei 58 eritrei arrivati ieri a Crotone. Tra di loro ci sono 26 bambini tra cui molti neonati.
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