martedì 2 novembre 2010

Donne, quando con l'emigrazione si perdono diritti

Le donne straniere che arrivano nel sud Italia possono perdere alcuni diritti con l’emigrazione nel nostro paese. “Trasferimento dei diritti delle donne” lo chiama Clelia Bartoli, docente di Diritti Umani alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo, che ha raccolto nel volume “Esilio Asilo” una serie di studi e storie su donne migranti e richiedenti asilo in Sicilia. Fino alla politica dei respingimenti nel Mediterraneo, il canale di Sicilia è stato la porta del diritto d’asilo per l’Italia. E sono molte le donne straniere rimaste nell’isola sia per le occupazioni nel lavoro domestico e nella cura agli anziani, sia perché sposano uomini siciliani. Dal punto di vista del lavoro, si assiste anche alla ‘femminilizzazione’ di alcune comunità, come i Tamil, che a Palermo hanno la rappresentanza più numerosa in Europa e in cui gli uomini fanno lavori tradizionalmente appannaggio delle donne. Le famiglie siciliane accettano la presenza maschile in casa perché li percepiscono come docili e innocui. Alle donne straniere si chiedono impieghi che hanno a che fare con la cura e la relazione e “fanno del sentimento una merce di scambio”, sottolinea la ricerca. Nel volume ci sono alcune storie al femminile raccolte dagli studenti del corso di Diritti Umani a Trapani. Testimonianze reali che abbattono molti stereotipi. La prima è quella di Nayadi, una donna figlia di una doppia emigrazione: quella dalla Sicilia all’Argentina e quella di segno opposto. Nayadi è nata a Buenos Aires da un italiano e un’argentina. E’ una donna di mezza età, da oltre trent’anni in Italia dove, adolescente, è stata costretta a seguire il padre e a scontrarsi con l’arretratezza delle zie trapanesi e di una mentalità che considerava le donne poco di buono se puntavano a realizzarsi fuori dalle mura domestiche. Altrettanto difficile è la condizione di Ramona, polacca per la quale “l’arrivo nella periferia meridionale dell’Europa non ha voluto dire emancipazione e diritti, ma un’involuzione della sua condizione di donna” afferma la ricerca. Approdata in Sicilia per amore, si ritrova a vivere in un contesto anti-moderno. Una ragazza autonoma che si era laureata in patria, deve scontrarsi con un doppio pregiudizio. Quello della famiglia del compagno siciliano che le sconsiglia di lavorare e quella di chi la vede prostituibile soltanto perché straniera. A migrare per amore è anche Marie Ange Bisseur, una mauriziana che fa la mediatrice culturale a Palermo. E’ arrivata ventenne nel 1985 per seguire il fidanzato emigrato in cerca di lavoro, sfidando i genitori che non volevano vederla partire. I suoi figli sono nati in Italia e dopo venticinque anni non tornerebbero più alle Mauritius. “Devo ammettere che da una donna immigrata mi aspettavo una storia strappalacrime – commenta Marina Candela, la studentessa che ha raccolto la testimonianza – invece ho costatato che non si emigra solo per ragioni economiche ma anche per amore, per motivi politici, per rifarsi una vita”. Tra le storie dei rifugiati, c’è un capitolo intitolato “il travaglio delle parole” dedicato ad Asma, una somala sbarcata a lampedusa nel 2008. Ha 28 anni ed è sposata da quando ne aveva 18. Sostenuta dalla famiglia ha studiato a Mogadiscio fino a iscriversi alla facoltà di Medicina, ma ha dovuto interrompere a causa della guerra. “Le guerre hanno distrutto tutto, adesso non c’è più niente, non c’è più libertà; qualsiasi realtà è migliore di quella” confida alla sua intervistatrice. Il suo viaggio inizia nel 2007 passando da Etiopia, Sudan e Libia. Era partita con il marito ma ne ha perso le tracce durante un bombardamento. Da allora ha continuato lasciare i suoi recapiti per tutto il Mediterraneo, sperando di poter essere rintracciata dalla famiglia. Per il futuro è molto positiva, si augura di avere rispetto e di ‘fare una bella vita’.

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