giovedì 18 novembre 2010
Bollettino quindicinale dell’Ufficio Internazionale del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati
JRS DISPATCHES
N. 289, 29 ottobre 2010
ALCUNI ARGOMENTI IN QUESTO NUMERO
RIFUGIATI: NOTIZIE IN BREVE
1. Etiopia: revocato bando all’istruzione a distanza
2. Repubblica Democratica del Congo: le donne chiedono si intervenga contro la violenza
3. Australia: il JRS accoglie con favore l’azione di governo sulla detenzione
4. Nepal: reinsediato un terzo dei rifugiati bhutanesi
5. Sri Lanka: ONG rifiutano di prendere parte a Commissione
6. Haiti: colera, elezioni e rischio di un nuovo sisma
7. Belgio: appello delle ONG contro il respingimento dei richiedenti asilo verso stati che non garantiscono condizioni di sicurezza
PROGETTI E ATTIVITÀ DEL JRS: AGGIORNAMENTI
8. USA: il JRS dà il benvenuto al nuovo Direttore
9. Internazionale: il JRS celebra il suo trentennale ponendo al primo posto i rifugiati
RIFUGIATI NOTIZIE IN BREVE
1. Etiopia: revocato bando all’istruzione a distanza
Mai-Aini, 29 ottobre 2010 – Il ministero dell’istruzione si è appellato contro il decreto che vieta di fornire programmi di istruzione a distanza.
Sebbene non siano ancora noti tutti i dettagli della decisione, il JRS spera di poter comunque attuare il suo nuovo programma di istruzione a distanza per i giovani rifugiati eritrei del campo di Mal-Aini.
Il decreto, varato il 23 agosto, faceva seguito alle raccomandazioni dell’Agenzia etiope per la certificazione di qualità dell’istruzione e della formazione in uno sforzo inteso a tutelare gli standard educativi nazionali. Tuttavia, in seguito alla condanna di erogatori di servizi educativi privati, e a una serie di riunioni tra le autorità e le parti interessate, la decisione è stata revocata.
Per il personale del JRS, impegnato ad assicurare che i rifugiati del campo sul confine settentrionale avessero la possibilità di partecipare a corsi di educazione a distanza presso la Mekelle University, istituzione scolastica pubblica di prim’ordine, il decreto iniziale era stato uno shock.
Più di 370 rifugiati si erano iscritti al JRS per ottenere una borsa di studio che consentisse loro di frequentare corsi presso la Mekelle University. Al termine di un rigoroso processo di ammissione, 98 studenti erano risultati idonei per il corso di inglese come lingua seconda. Proprio mentre il divieto veniva reso inaspettatamente noto, il JRS stava per offrire 30 borse di studio a rifugiati eritrei.
Secondo il personale del JRS, i rifugiati sperano ora di poter prendere parte al corso.
Prevale l’ottimismo
“Da quando ho firmato per la borsa di studio del JRS, sogno di poter fare delle letture, scrivere delle buone relazioni, discutere di soggetti accademici con gli amici”, ha raccontato Girma, uno dei leader giovanili del campo.
Oltre al bando precedente sui corsi a distanza, il decreto fa divieto alle istituzioni scolastiche private di offrire programmi di diritto e formazione per insegnanti, e riduce l’offerta di programmi di scienze sanitarie. Non è chiaro in quale modo l’ultima dichiarazione del governo influirà su questi corsi.
Il campo rifugiati Mai Aini è stato aperto nel 2008 e ospita attualmente una popolazione di 11.000 eritrei fuggiti da un regime caratterizzato da repressione politica, stagnazione economica e coscrizione militare obbligatoria. Il JRS ha iniziato a operare a Mal-Aini nel giugno del 2010, e attualmente sta offrendo corsi di counselling, sport, musica, teatro, arte e danza a 170 rifugiati.
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2. Repubblica Democratica del Congo: le donne chiedono si intervenga contro la violenza
Roma, 28 ottobre 2010 – Le donne congolesi sono stanche delle conferenze sulla violenza, vogliono iniziative concrete che risalgano all’origine di questi atti – dice sr. Teresina Caffi delle Missionarie di Maria che opera a Bukavu, capitale della provincia del Kivu Sud.
Il 17 ottobre, migliaia di donne hanno marciato lungo le strade di Bukavu per protestare contro le continue violenze ad opera dei gruppi armati presenti nella regione.
Secondo sr. Caffi, nel conflitto protrattosi nella Repubblica Democratica del Congo orientale per 14 anni, le donne sono state un obiettivo primario. Non si tratta solo del singolo soldato che in preda agli istinti più brutali violenta una giovane donna, ma dell’uso sistematico della violenza sessuale per abbattere psicologicamente le persone.
Quando si abusa sessualmente delle donne di fronte ai loro figli e alle loro famiglie, ha proseguito la missionaria, si cerca deliberatamente di distruggere l’umanità di un popolo.
Sr. Caffi ha spiegato come anni di conflitto abbiano portato a una banalizzazione della violenza sessuale. I bambini, ha detto, testimoni 20 anni fa della violenza subita dalla madre, sono ora degli adulti e nessuno sa in quale modo e misura questa violenza abbia condizionato il loro equilibrio emotivo.
La religiosa ha reso omaggio al coraggio delle donne congolesi che sono riuscite a convivere con questi orrori con coraggio e dignità. Molte donne, dopo aver subito tali violenze, fanno il possibile per tornare alla vita normale e prendersi cura dei figli.
Ricostruire con l’educazione
La scuola dovrebbe essere un ambiente protettivo per l’apprendimento degli studenti, soprattutto in tempo di guerra. Questi si trovano invece a dover affrontare il reclutamento forzato, le violenze sessuali e altri abusi.
L’accesso all’educazione è diventato un lusso riservato esclusivamente ai ricchi. Ecco perché nella provincia del Kivu Nord, solo il 43 percento dei bambini ha accesso alla scuola, mentre il restante 57 percento ne rimane escluso. La mancanza di servizi igienici, di punti di raccolta per l’acqua e di impianti sanitari in genere sono anch’essi all’origine del limitato accesso all’istruzione, soprattutto per le bambine e le ragazze. A tutto ciò si aggiunga lo scarso livello qualitativo in genere dell’istruzione nella Repubblica Democratica del Congo.
Per rispondere a questa situazione, il JRS fornisce a migliaia di rifugiati e sfollati nella RDC assistenza umanitaria, soprattutto nel settore dell’educazione e della formazione. I civili continuano a risentire delle conseguenze del conflitto, soprattutto nel nordest e nell’est del paese.
Nel 2008, il JRS ha iniziato un programma di istruzione e protezione globale nel Kivu Nord, offrendo formazione a giovani, istruzione primaria e secondaria, e servizi rivolti a persone in condizioni di estrema vulnerabilità. Nel 2009, ha continuato a fornire assistenza a più di 32.000 sfollati.
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3. Australia: il JRS accoglie con favore l’iniziativa di governo sulla detenzione
Sydney, 18 ottobre 2010 – Il JRS Australia ha accolto con favore l’annuncio fatto dal governo circa l’intenzione di spostare i bambini e le famiglie vulnerabili da strutture per la detenzione ad alloggi in comunità.
Il JRS ritiene che le organizzazioni di comunità e caritative che abbiano esperienza in questo ambito sarebbero idonee a cooperare con il governo nel prendersi cura di questa fascia di popolazione.
“Riteniamo che si tratti di un’ottima iniziativa, una buona risposta a quanto sia noi sia altre agenzie che si occupano di richiedenti asilo e rifugiati chiediamo da un po’ di tempo: non possiamo tenere persone in detenzione a tempo indefinito, soprattutto i più vulnerabili, minori non accompagnati e famiglie con bambini” ha detto il direttore del JRS Australia, Sacha Bermudez-Goldman SJ.
Questa iniziativa è maggiormente in linea con la politica delle New Directions in Detention che il governo aveva discusso la prima volta nel luglio del 2008, secondo cui la detenzione sarebbe stata usata solo come ultima alternativa e per periodi di tempo limitati. P. Bermudez-Goldman SJ ha inoltre sottolineato come per la comunità e le organizzazioni ecclesiali sia una buona opportunità farsi partecipi e rendere disponibili le proprie risorse a questo gruppo vulnerabile”.
Dare priorità ai più vulnerabili
Nella sua dichiarazione, il governo ha precisato che avrebbe iniziato a trasferire “numeri significativi” di bambini e di famiglie vulnerabili dalla detenzione ad alloggi di comunità.
“Sebbene sia difficile determinare il livello di vulnerabilità quando la maggior parte di coloro che vengono presi in considerazione sono bambini, è chiaro che i minori non accompagnati, soli e privi del sostegno dei genitori, costituiscono un gruppo particolarmente vulnerabile”, ha proseguito p. Bermudez-Goldman.
Questa svolta darà ai minori non accompagnati l’opportunità – finora negata – di frequentare la scuola, offrendo quindi loro competenze tecniche o di altro genere che potranno utilizzare in seguito in seno alla comunità, se sarà loro concessa protezione in Australia, oppure nei rispettivi paesi di origine se dovranno farvi ritorno.
Il provinciale dei gesuiti australiani, p. Steve Curtin SJ, ha detto che qualsiasi iniziativa posta in atto per sottrarre alla detenzione i bambini e le famiglie vulnerabili giunge comunque con forte ritardo sui tempi dovuti.
“Ci sono prove sostanziali che indicano come la detenzione prolungata sia dannosa per la salute delle persone, e i gesuiti si rallegrano del fatto che il governo abbia deciso di dare corso a questo cambiamento”, ha detto.
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4. Nepal: reinsediato un terzo dei rifugiati bhutanesi
Roma, 19 ottobre 2010 – Stando a rilievi statistici prodotti recentemente dal governo nepalese, oltre 36.000 rifugiati bhutanesi sono stati reinsediati in paesi terzi. Si tratta di un aumento significativo che si riferisce agli ultimi venti mesi. In effetti, dal gennaio 2009 sono stati reinsediati ben 28.000 rifugiati bhutanesi.
La stragrande maggioranza dei reinsediati – calcolati in 31.133 – è stata diretta negli USA, mentre Australia e Canada ne hanno accolti rispettivamente un paio di migliaia. I rimanenti sono stati inviati in Danimarca, Nuova Zelanda, Norvegia e Regno Unito. Altri 11.732 rifugiati accettati per il reinsediamento sono in attesa di partenza.
La popolazione di rifugiati bhutanesi ospitata nei campi al 30 settembre è pari a 75.671 persone, rispetto agli iniziali 111.000, ma si prevede che il gennaio prossimo scenderà a 71.000 persone, alla fine del prossimo anno a 55.000, e a 30.000 entro il gennaio 2013. Sulla base di queste proiezioni, il JRS calcola di far proseguire il programma fino all’inizio del 2014.
I rifugiati sono stati divisi in due categorie, quelli che sono favorevoli al reinsediamento e quelli che desiderano essere rimpatriati. Stando ai dati statistici sul reinsediamento, al 30 settembre 2010 meno del 20 percento della popolazione iniziale di rifugiati bhutanesi presenti nei campi del Nepal orientale non ha espresso interesse a trasferirsi in un paese terzo. La maggior parte degli appartenenti a questo gruppo continua a sperare che un giorno venga loro permesso di rientrare in patria.
Anni di attesa
Ci si aspetta che le prossime missioni provenienti dall’Australia in novembre, dal Canada e Paesi Bassi in ottobre e dagli Stati Uniti in novembre stabiliscano le date di partenza delle persone accettate rispettivamente dai quattro paesi.
Sono trascorsi oltre vent’anni da quando oltre 105.000 bhutanesi di etnia Lhotsampa sono fuggiti dal Bhutan al Nepal attraverso una sottile striscia di territorio indiano che separa i due stati. Le forze di sicurezza indiane hanno scortato i rifugiati fino al Nepal. Gli altri rifugiati vivono in sette campi gestiti dall’UNHCR situati in due distretti del Nepal orientale. Un numero assai contenuto mette insieme di che vivere giorno per giorno in India.
Nel corso degli anni, Nepal e Bhutan hanno intrapreso ripetutamente trattative per risolvere la questione. Ne è risultato, i dati sono stati resi pubblici nel 2003, che soltanto al 4 percento dei rifugiati è stato concesso il diritto di rientro incondizionato, mentre a un 71 percento è stata data la possibilità di ritornare a patto di rispettare una serie di pesanti condizioni, quali il superamento di esami di lingua, la residenza obbligatoria in determinate strutture, ecc. A seguito di successivi disordini verificatisi in alcuni campi, il governo bhutanese ha sospeso il processo, avanzando a giustificazione timori per la sicurezza.
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5. Sri Lanka: ONG rifiutano di prendere parte a Commissione
Roma, 20 ottobre 2010 – Un gruppo di ONG internazionali – Human Rights Watch, Amnesty International e l’International Crisis Group – ha respinto l’invito del governo a comparire dinanzi alla Lessons Learnt and Reconciliation Commission (LLRC), definendo quest’ultima non attendibile.
In una lettera aperta alla Commissione, il gruppo ha dichiarato che avrebbe accettato di comparire dinanzi a un’entità genuinamente e credibilmente impegnata a conseguire un’assunzione di responsabilità e la riconciliazione nello Sri Lanka, precisando al contempo che l’LLRC è lungi dal perseguire un tale obiettivo.
A quanto sostengono le organizzazioni umanitarie, l’LLRC non soltanto difetta dei criteri fondamentali fissati a livello internazionale per poter svolgere inchieste indipendenti e imparziali, ma agisce anche sullo sfondo di un mancato impegno da parte del governo in fatto di lotta all’impunità e alle continue violazioni dei diritti umani. A dispetto di una serie infinita di rapporti su violazioni commesse nel paese, dalla fine del conflitto lo Sri Lanka non ha fatto alcun passo avanti nel trattare le spinose questioni che vi sono ampiamente riferite.
Va aggiunto che, secondo le ONG, l’LLRC è piena di difetti tanto nella sua struttura che nella sua pratica. Nonostante sia incaricata di indagare su ogni verosimile accusa di violazione dei diritti umani da parte di forze sia ribelli che governative, in particolare durante le ultime fasi del conflitto ha dimostrato di non avere alcun vero interesse a indagare su accuse mosse alle forze armate governative.
Difetto di indipendenza e protezione
Presupposto fondamentale per qualsiasi commissione di questo tipo è che i suoi membri siano indipendenti. L’appartenenza all’LLRC, precisa la lettera aperta, è lungi dal rispecchiare questo presupposto, avendo la Commissione accolto nella sua compagine alti rappresentanti di governo che hanno pubblicamente difeso la condotta dei militari accusati di crimini di guerra.
Preoccupa peraltro enormemente l’assenza di qualsivoglia norma a tutela dei testimoni, soprattutto in uno scenario che vede esponenti di governo etichettare come “traditori” persone che muovono accuse contro le forze armate.
A ciò si aggiunga che, pur essendo concluso il conflitto, il paese si trova sempre ancora a operare in uno stato di emergenza, con leggi che criminalizzano il discorso politico e nessuna seria indagine viene svolta nel caso di attacchi contro chi si azzarda a criticare il governo.
Ciò incide chiaramente sulla capacità della LLCR di condurre indagini credibili a fronte di presunte violazioni delle leggi nazionali e internazionali. Fintanto che non è garantita un’efficace protezione dei testimoni, nessuna organizzazione o singolo individuo potrà responsabilmente rivelare alla Commissione informazioni riservate.
6. Haiti: colera, elezioni e rischio di un nuovo sisma
Port-au-Prince, 26 ottobre 2010 – A un mese dalle elezioni presidenziali e legislative haitiane, previste per il 28 novembre, l’epidemia di colera che ha colpito il paese è al centro dell’attenzione dei media nazionali e internazionali.
A quanto riferiscono le autorità sanitarie, che pur assicurano essersi la situazione stabilizzata fin dal 25 ottobre, la malattia ha già mietuto 380 vittime e richiesto il ricovero di 3.600 malati.
Stando a Nigel Fisher, vice-rappresentante speciale delle NU per Haiti, la situazione è comunque critica, e sarebbe irresponsabile non prepararsi ad altre più gravi esplosioni epidemiche. Temendo un allargamento ulteriore dell’epidemia, molti analisti si chiedono se la campagna elettorale non vada interrotta a scanso di maggiori occasioni di contaminazione.
Questa recente crisi umanitaria si verifica dopo un anno di disastri: il terremoto del 12 gennaio, l’uragano del 24 settembre, e ora l’epidemia di colera. Va detto al proposito che secondo un gruppo di esperti della Purdue University (India), il sisma di gennaio era da imputarsi a una faglia all’altezza di Leogane, nella parte occidentale di Haiti e non, come si pensava, nella vicina Repubblica Dominicana.
Affrontare le cause della vulnerabilità a Haiti
A quanto sostiene il responsabile per le Comunicazioni del JRS America Latina, Edson Louidor, bisogna prendere seriamente e urgentemente in considerazione questi rischi per impedire o quantomeno contenere l’impatto dei disastri naturali.
“Le conseguenze dei disastri non sono naturali. La vulnerabilità della popolazione è determinata soprattutto da una serie di fattori socioeconomici, politici e persino culturali che incidono sulle capacità dei singoli e dei gruppi di anticipare, fare fronte, resistere e riprendersi dall’impatto di una manifestazione naturale di grave entità”, ha soggiunto.
“Quali sono ad Haiti le cause determinanti la vulnerabilità?” Intorno a questo interrogativo dovrebbero ruotare tanto il processo di ricostruzione quanto il dibattito elettorale.
I disastri che colpiscono il paese a causa della sua vulnerabilità potrebbero e dovrebbero costituire un’occasione per porre le basi di una nuova Haiti democratica e partecipativa. Purtroppo, l’attenzione si è incentrata sull’aspetto emergenziale umanitario, determinando un pronto intervento in occasione di ciascun disastro, trascurando però di considerare le misure preventive.
A un solo mese dalla consultazione elettorale, i candidati non hanno ancora presentato proposte concrete per la soluzione dei problemi del paese, tra cui misure di prevenzione dei disastri, una riforma agraria, il decentramento, le politiche sociali (nei campi educativo, sanitario, dell’edilizia), la disoccupazione, la deforestazione.
E un grave silenzio cala in aula quando si presentano interrogazioni circa la responsabilità del decidere sulle priorità nazionali, sulla risposta alle necessità delle popolazioni colpite e sfollate, e l’assicurare che gli haitiani siano protetti contro i rischi sismici e di altra natura che si profilano all’orizzonte.
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7. Belgio: appello delle ONG contro il respingimento dei richiedenti asilo verso stati che non garantiscono condizioni di sicurezza
Bruxelles, 21 ottobre 2010 – Il ministro degli esteri belga, Melchior Wathelet, ha deciso di non rimandare più richiedenti asilo in Grecia, in quanto paese che non rispetta i diritti dei rifugiati. Sarà il Belgio a farsi carico delle pratiche di asilo.
Amnesty International, CIRE, la Commissione belga per il sostegno ai rifugiati, JRS Belgio e Vluchtelingenwerk Vlaanderen hanno accolto con favore questa decisione.
In particolare, il JRS e altre ONG hanno chiesto con forza che venga riveduto il Regolamento di Dublino che autorizza il respingimento dei rifugiati verso paesi che non assicurano una sufficiente protezione dei loro diritti. La decisione del ministro degli Esteri dimostra quanto sia necessario rivedere il Regolamento.
A quanto stabilisce il Regolamento, spetta allo stato UE cui il richiedente asilo approda in prima istanza trattare la pratica di asilo; norma, questa, che ha determinato una forte pressione sugli stati posti ai confini dell’UE.
Occorre sostituire la normativa in questione con un sistema più equo sia per i richiedenti asilo che per i singoli stati. Un primo passo nella giusta direzione sarebbe l’introduzione di un meccanismo sospensivo temporaneo da applicarsi laddove lo stato in questione è oberato da un importante flusso in entrata di richiedenti asilo o nel caso in cui la procedura di riconoscimento dello status dei rifugiati non si conformi alle norme europee e internazionali.
Il ritorno dei richiedenti asilo a quegli stati potrebbe essere quindi sospeso temporaneamente, mentre l’UE chiederebbe loro di rispettare gli obblighi di legge e procederebbe concretamente a rettificare le loro carenze. Al momento soltanto alcuni stati hanno sospeso i respingimenti in Grecia. Un meccanismo sospensivo imporrebbe a tutti gli stati dell’UE di adottare le medesime misure.
I tribunali tutelano i richiedenti asilo
La decisione del ministro Wathelet era attesa da lungo tempo. La Grecia rappresenta uno dei punti principali di ingresso nell’UE e viene vista come il peggior incubo per i richiedenti asilo, dove sono costretti a vivere in strada o essere rinchiusi in centri di detenzione sovraffollati, le condizioni igieniche sono a dir poco precarie, e le procedure di asilo sono una chimera.
Un iracheno non ha quasi alcuna probabilità di ottenere protezione in Grecia, mentre nei Paesi Bassi, per esempio, lo status di rifugiati viene riconosciuto al 77 percento degli iracheni. Recentemente l’Agenzia delle NU per i rifugiati (UNHCR) ha definito la situazione in Grecia un vero disastro umanitario.
In questi ultimi anni, il JRS ha esercitato pressioni sugli stati dell’UE perché ponessero fine ai respingimenti in Grecia dei richiedenti asilo, dove nel contempo i rifugiati iracheni e afghani vivono nel costante rischio di essere rimandati nei rispettivi paesi di origine.
Seppure non di propria iniziativa, Norvegia, Regno Unito e Paesi Bassi hanno seguito di recente l’esempio del Belgio. In effetti, sono stati i tribunali nazionali ed europei a imporre loro di non rimandare richiedenti asilo in Grecia.
Il Belgio sta rischiando una condanna da parte della Corte europea per i diritti umani in merito a un caso emblematico: nel 2009 il Belgio aveva respinto un richiedente asilo afghano in Grecia che oggi vive in strada, senza poter accedere a una giusta procedura di asilo.
La proposta di revisione del Regolamento di Dublino è in fase di dibattito in sede europea. La Commissione Europea ha presentato una buona proposta di riformulazione del Regolamento; tocca ora alla presidenza belga usare del proprio peso politico in sede di trattativa perché la revisione porti a un’equa riforma del Regolamento.
AGGIORNAMENTI SUI PROGETTI DEL JRS
8. Stati Uniti: il JRS dà il benvenuto al nuovo Direttore
Washington DC, 18 ottobre 2010 – P. Michael Evans SJ è stato nominato sesto direttore del JRS Stati Uniti, subentrando a p. Kenneth Gavin SJ, che l’anno prossimo assumerà la carica di Vice-direttore internazionale, presso la sede del JRS Internazionale a Roma.
Dal 1990 a tutto il 1996, p. Evans è stato direttore regionale del JRS Africa Orientale, e dal 2000 a tutto il 2010 direttore per lo sviluppo ed economo della Provincia gesuita dell’Africa Orientale. La profonda esperienza e conoscenza del JRS maturata dal p. Evans gli sarà di grande utilità e renderà più agevole l’assunzione del nuovo incarico, tenuto conto del fatto che intende guidare il JRS Stati Uniti verso un futuro di costante accompagnamento, servizio e difesa dei rifugiati bisognosi di aiuto.
P. Evans ricorda bene la lettera scritta nel 1980 dall’ex Superiore Generale della Compagnia di Gesù, p. Pedro Arrupe SJ, ai confratelli gesuiti, in cui questi chiedeva “a ciascun gesuita del mondo di considerare in qual modo la sua vita personale, le sue azioni, il suo apostolato istituzionale, ecc. possano iniziare a far fronte alla crisi mondiale dei rifugiati”.
L’ex direttore del JRS Stati Uniti passa al JRS Internazionale
Nel 2003, p. Kenneth Gavin SJ è entrato a far parte del JRS Stati Uniti; dal 1996 al 2002 era stato Provinciale gesuita per l’area di New York.
Come vicepresidente del Consiglio statunitense per i Rifugiati nel 2006, p. Gavin aveva fornito alla sottocommissione per il sistema giudiziario del Senato degli Stati Uniti un’irrefutabile attestazione dell’importanza del programma nazionale per i rifugiati, dichiarando che “essi [i rifugiati] hanno osato sperare in un futuro migliore, ed è nostro potere offrire loro una nuova vita e una nuova speranza”.
P.Gavin ha continuato a fare dell’accompagnamento attraverso il servizio pastorale ai non-cittadini in stato di detenzione il punto focale dell’attività del JRS, estendendo quella missione alla cura dei migranti espulsi tramite l’originale partnership del JRS Stati Uniti con l’iniziativa Kino Border.
Si è dato da fare per accrescere l’impatto del JRS Stati Uniti estendendo l’opera di advocacy a numerose questioni internazionali, vale a dire promuovendo una maggiore presa di coscienza della crisi umanitaria colombiana, la più grave dell’emisfero occidentale, potenziando l’assistenza da parte del Dipartimento di Stato statunitense ai rifugiati colombiani, segnalando la preoccupante situazione della protezione della popolazione tamil in tutto il territorio srilankese, e facendo presente le drammatiche condizioni dei rifugiati urbani di tutto il mondo.
“Pur riconoscendo l’aiuto prezioso dato da amici e collaboratori, in questo momento non posso non rivolgere il mio pensiero a tutti i rifugiati e sfollati con la forza che ho incontrato e accompagnato in questi ultimi sette anni. Come per tanti prima di me al JRS, essi hanno letteralmente trasformato la mia vita”, ha detto p. Gavin.
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9. Internazionale: il JRS celebra il suo trentennale ponendo al primo posto i rifugiati
Roma, 29 ottobre 2010 – Il 14 novembre 1980, in un mondo dominato dalle ideologie e dalla repressione, i gesuiti si sono attivati per rispondere alle necessità di ordine umanitario ed educativo dei “boat people” vietnamiti, dando così i natali al JRS. Oggi il numero degli sfollati con la forza di tutto il mondo è salito dai 16 milioni di allora a 45 milioni.
Per commemorare i 30 anni di servizio ai rifugiati, tre organizzazioni gesuite – JRS, Centro Astalli e Magis – stanno organizzando una serie di eventi che si svolgeranno il mese prossimo. Il 9 novembre, l’ex direttore del JRS Internazionale, Mark Raper SJ, terrà presso la Pontificia Università Gregoriana una lectio magistralis dal titolo “Il mondo in movimento – La risposta dei gesuiti ai rifugiati”.
Il 13 e 14 novembre saranno celebrate due messe seguite da un concerto dei “Sonidos de la Tierra” rispettivamente nelle chiese gesuite del Gesù e di San Saba.
L’orchestra formata da 40 giovani elementi provenienti da comunità emarginate, di cui alcuni sfollati, eseguiranno brani di musica moderna e tradizionale africana, asiatica, latinoamericana ed europea. Il tema, che va al di là delle barriere culturali e linguistiche, è testimonianza di un mondo che sogna una pace senza confini.
Mantenere la profondità della missione del JRS
A trent’anni dalla visione iniziale del suo padre fondatore ed ex superiore generale Pedro Arrupe SJ, il JRS – organizzazione umanitaria internazionale con progetti in corso in 51 paesi del mondo – ha accresciuto in misura esponenziale la portata dei suoi servizi negli ambiti educativo, dell’assistenza nelle emergenze, dell’assistenza sanitaria e nella protezione dei diritti umani in favore di oltre mezzo milione di rifugiati.
Pur fornendo una gamma di servizi intesi a contrastare lo sfollamento, il JRS è specializzato nell’educazione, dando così ai rifugiati una speranza per il futuro. In tutto il mondo il JRS provvede a fornire servizi educativi di primo, secondo, terzo livello nonché servizi educativi attitudinali a quasi 280.000 bambini, giovani e adulti.
Negli ultimi 30 anni, il JRS è rimasto fedele alla propria missione di recarsi là dove maggiore è il bisogno, andando via solo dopo che le sfide sono state affrontate e i problemi risolti. Operando in collaborazione con tutte le persone di buona volontà con una presenza non finalizzata al proselitismo, il JRS accoglie persone di ogni tradizione che vogliano condividere e contribuire alla sua missione.
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JRS DISPATCHES è inviato dall’Ufficio Internazionale del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, CP 6139, 00195 Roma Prati, Italia. Tel: +39-06 689.77.386; Fax: +39-06 688 06 418; Email: dispatches@jrs.net; JRS on-line: http://www.jrs.net; Editore: Peter Balleis SJ; Redattore: James Stapleton; Traduzioni: Carles Casals (spagnolo), Edith Castel (francese), Simonetta Russo (italiano).
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