martedì 30 novembre 2010
Siamo nel deserto del Sinai e fra poco ci uccideranno
di Corrado Giustiniani
Erano ottanta, tutti eritrei, e avevano pagato 2 mila dollari a testa per essere trasportati dal Corno d'Africa fino al Mediterraneo. Ma un mese fa sono stati sequestrati nel deserto del Sinai da altri trafficanti, che ora ne pretendono 8 mila in cambio della liberazione. Erano, ottanta. Perchè domenica ne sono stati uccisi tre, e mentre scrivo giunge notizia che altri tre, che tentavano la fuga, sono stati massacrati. Alcuni degli ostaggi sono in contatto telefonico con i familiari, e questi hanno avvisato l'Agenzia Habeshia, che ha dato l'allarme.
C'è poco tempo per evitare una strage. Il Consiglio italiano dei rifugiati ha lanciato un appello alla Comunità internazionale, ricordando che in questo momento, assieme ai 74 ostaggi, vi sono in tutto 600 profughi nel deserto del Sinai, non soltano eritrei, ma anche somali e sudanesi e di altre nazionalità. Quello fra Israele ed Egitto è uno dei confini più pericolosi del mondo, e gli israeliani volevano costruirvi un muro. Non essendo più quasi praticabile il passaggio libico, i rifugiati in fuga da regimi sanguinari come quello eritero, tentano di arrivare al mare attraverso l'Egitto. E pure quelli rimasti in Libia, a quanto pare, cercano di spostarsi verso l'Egitto.
Del resto, anche l'Italia sta aiutando la Libia a respingere i disperati: in luglio avevamo annunciato che la Finmeccanica di Guarguaglini aveva vinto una commessa da 40 milioni di euro per un sofisiticato sistema radar da piazzare al confine Sud del paese di Gheddafi, in modo da intercettare i migranti in arrivo. Nulla, infine, si sa più di un altro gruppo di eritrei. Gli oltre 200 che erano stati prima rinchiusi e maltrattati nel carcere libico di Al Braq, poi liberati a metà luglio con un permesso di soggiorno di pochi mesi (si era detto tre) adesso scaduto. Rischiano di essere rispediti in Eritrea e di subire così la vendetta del regime. Anche in questo caso le responsabilità italiane sono pesanti: è stato dimostrato che la maggior parte di questi richiedenti asilo era stata respinta in mare da unità italiane, senza poter avanzare la richiesta di protezione prevista dalla Convenzione di Ginevra.
Il premier è in Libia, ma sembra improbabile che abbia tempo di occuparsi di questi temi di poco conto, ammesso che qualcuno glieli abbia segnalati. C'era una volta un mondo occidentale che usciva dalla seconda guerra mondiale con il desiderio di costruire un mondo nuovo e di garantire i diritti dei perseguitati. Da questa aspirazione nasceva, nel lontano 1951, quella Convenzione di Ginevra che più d'uno, oggi, vorrebbe mandare in soffitta o nascondere sotto uno sterminato tappeto di sabbia...
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