martedì 30 novembre 2010
Sequestro dei migranti, un business fiorente
Ci sono 80 persone sequestrate da un mese in condizioni disumane al confine tra Egitto e Israele. Incatenate e torturate da una banda di criminali. Sei sono stati già uccisi, tre di loro a scopo intimidatorio e altri tre perchè avevano tentato la fuga. L’allarme parte dall’Associazione Habesha che attraverso la diffusione della notizia e la mobilitazione sta tentando di salvare la vita al gruppo di eritrei in pericolo.
Ma come fanno ad usare il telefono se sono imprigionati e controllati? Padre Mussie che ha ricevuto le chiamate spiega che sono i trafficanti a obbligare i sequestrati a telefonare ai parenti per chiedere il riscatto di otto mila dollari. E fino a che non arrivano i soldi sul conto si rimane nelle loro mani, alla loro mercè.
Il ragazzo sequestrato ha riferito a padre Mussie che i carcerieri sono armati fino ai denti ed entrano in contatto con i sequestrati solo bastonandoli a sangue. Sembrano ben organizzati, a capo di una struttura che riesce a controllare e tenere prigionieri anche altri gruppi di migranti tra cui sudanesi, somali ed etiopi.
Loro, i sequestrati, non sanno dove si trovano, in quale località e dalla loro prigione vedono solo una moschea e una scuola. Troppo poco forse per poter essere localizzati.
La figura del trafficante, colui che organizza e gestisce il viaggio, si adatta ai nuovi scenari e all’occorrenza si trasforma acquisendo ulteriori connotazioni. Sequestrare migranti e rifugiati è un aspetto di questa evoluzione. Ed è certamente un business ancora più redditizio che sta prendendo piede in diversi paesi, laddove attraversare il confine è sempre più difficile e i bisogni delle persone sempre più impellenti. Una realtà agghiacciante tipica dei nostri tempi che non sembra interessare nessuno.
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