mercoledì 24 novembre 2010
Passpartù 08: sabbie libiche
A cura di AMISnet • 23 Novembre 2010
Che fine hanno fatto i trecento eritrei deportati in Libia di cui quest’estate si è parlato sulle cronache nazionali? E che fine fanno tutte le persone respinte in mare dall’Italia? In questa puntata torniamo a parlare delle condizioni di vita di rifugiati e profughi in Libia, cercheremo anche di capire quanto sia legale l’atteggiamento dell’Italia e di esplorare gli scenari futuri che si prospettano, anche a seguito della mozione del trattato Italia-Libia avanzata dai radicali e approvata in questi giorni dal parlamento in cui si chiede che il Governo si assuma l’impegno ad ottenere dalla Libia solide garanzie sul rispetto dei diritti previsti dalle Convenzioni Onu sui respingimenti degli immigrati clandestini dalle coste italiane.
Da maggio 2009, a seguito di un accordo tra l’Italia e la Libia, il nostro paese ha iniziato a respingere in Africa le barche dei migranti che dalla Libia cercavano di raggiungere le nostre coste. Il leader libico Gheddafi riceve sei motovedette della Guardia di Finanza italiana, dotate di un equipaggio misto, italiano e libico, che hanno il compito di bloccare i migranti in mare, respingerli verso le coste libiche. Messa in atto il 15 maggio del 2009, la politica dei respingimenti ha iniziato a dare i suoi frutti, impedendo l’arrivo di migliaia di richiedenti asilo in Italia, come ha più volte entusiasticamente dichiarato il ministro Maroni. Ma non è solo l’Italia a firmare accordi con la Libia: l’Unione Europea sta negoziando un patto di cooperazione con il paese, che prevede un sostegno al controllo dei confini con Chad, Sudan e Niger. Anche qui si parla di soldi, la Libia ha chiesto cinque miliardi di euro per bloccare l’immigrazione. I diritti dell’uomo sembrano per ora ben lontani dalle negoziazioni, tanto è che l’Europa non insiste neanche un pò per fare firmare alla Libia la Convenzione Onu sui rifugiati.
I respingimenti collettivi, vietati dalle convenzioni internazionali, sono attualmente sotto esame da parte della Corte di Siracusa e della Corte europea dei diritti dell’uomo. Ma c’è anche un’altra questione che fa allarmare, e riguarda le condizioni in cui vivono le persone respinte. La mancanza di diritti è più volte denunciata anche a livello europeo dalle organizzazioni umanitarie, come Amnesty International. “Amnesty International sta facendo pressione sull’unione europea affinchè monitori che qualsiasi tipo di accordo firmato tra i paesi dell’Ue e la libia tuteli i diritti dell’uomo. I respingimenti devono essere fermati, perchè la situazione in Libia non consente di rinviare delle persone indietro. In particolare stiamo tenendo sott’occhio le conseguenze del patto firmato tra Italia e Libia e il loro impatto sui diritti dell’uomo. L’Italia e l’Europa non possono esimersi dal dare asilo, nonostante vogliano controllare le migrazioni”.
Della sorte degli eritrei rimpatriati nei respingimenti si è parlato nei media mainstream solo quest’estate, nonostante le denunce dei giornalisti Gabriele del Grande e Roman Herzog che già in precedenza avevano raccontato di un loro viaggio tra le carceri libiche. A luglio la storia di trecento di loro è balzata alle cronache, a seguito di una rivolta attuata da eritrei deportati nel campo di detenzione di Misratah. Una rivolta violenta, a cui aveva avuto seguito il trasferimento dei trecento in un altro campo libico. Oggi a queste persone, che avevano ricevuto un permesso di soggiorno del periodo di tre mesi, sta per scadere il permesso di e la loro situazione potrebbe di nuovo aggravarsi. In questi giorni l’associazione Habeshia, insieme ad Amnesty International, ha presentato alla Camera una relazione sulla situazione in Libia, chiedendo che l’Italia faccia il primo passo, così come aveva promesso quest’estate. “Stiamo chiedendo all’Italia e all’Europa che ci sia un canale protetto di ingresso legale per i richiedenti asilo, l’unica possibilità di vita per queste persone” spiega Mussie Zerai, presidente di Habeshia.
Senza diritti e sfruttati, i profughi si trovano in trappola, respinti in mare quando tentano di raggiungere le nostre coste, aggrediti con armi da fuoco se tentano la rotta verso Israele, attraverso la pericolosissima frontiera del Sinai. C’è chi ha fatto marcia indietro verso il Sudan, chi devia versa Israele, chi tenta di passare dalla Libia in Egitto, chi ritorna nei paesi d’origine. Il giornalista Roman Herzog è andato proprio sulle tracce di chi scappa dalla Libia e ad aprile scorso è stato in Etiopia, una delle destinazioni dei migranti appunto. Lì ha visitato numerosi campi profughi del paese,. “Sempre in meno partono” racconta Herzog “perché ormai tutti sanno quello che accade in Libia o ai confini tra Israele e Egitto, e molti cercano rifugio proprio in Etiopia, che gode di una particolare politica verso i rifugiati”. Le testimonianze raccolte da Herzog fanno parte di un audio-documentario, dal titolo “Non te la prendere se non ce l’hai fatta”, un lavoro che uscirà nella primavera del 2011, e che porterà in Italia le voci e le informazioni che non ci sono mai arrivate dall’altro confine del Sahara.
Ospiti della puntata: Fulvio Vassallo Paleologo, Diana Eltahawy, Mussie Zerai, Roman Herzog
In redazione: Andrea Cocco e Khaldoun
Passpartù è un programma a cura di Elise Melot e Marzia Coronati
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