venerdì 26 febbraio 2010
Bambini: due Municipi di Roma contro le ''quote Gelmini''
Parla Paola Di Meo, che insegna da 34 anni alle elementari: "Un problema inventato".
Serena Fiorletta
Si allarga la protesta degli insegnanti contro l'ultimo provvedimento della Gelmini, che prevede dal prossimo anno scolastico un limite al numero di alunni stranieri per classe.
Lo aveva annunciato il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini specificando che la percentuale massima di alunni con cittadinanza non italiana per ogni classe non potrà superare il 30 per cento.
"Di chi stiamo parlando quando diciamo stranieri? Di chi ha la pelle colorata come la bambina peruviana adottata da italiani o il bambino eritreo che vive in Italia da tre generazioni? Di chi non parla italiano o di chi pur parlandolo meglio dei suoi genitori non avrà la cittadinanza italiana fino a 18 anni? O del bambino rom i cui genitori e avi sono nati e cresciuti in Italia?", si domanda Paola Di Meo della scuola elementare romana, Iqbal Masih.
L’iscrizione di bambini di altra cittadinanza
Abbiamo preferito chiedere ad un'insegnante di scuola elementare, che ogni giorno combatte con i problemi che affliggono le nostre scuole, cosa pensa del provvedimento e quali sono i reali problemi con gli alunni stranieri nelle scuole.
“Per quanto ne so, ci sono molte scuole che per dislocazione territoriale si sono trovate a confrontarsi con l'iscrizione di bambini di altra cittadinanza. E che nonostante le molte parole e i pochi soldi spesi, sono riuscite ad avviare un percorso d'integrazione che a lungo andare ha dato i suoi frutti”, spiega Di Meo.
“Non dobbiamo dimenticare che la maggior parte di questi bambini – continua l’insegnante - sono nati in Italia o vi sono arrivati ancora piccolissimi e sono a tutti gli effetti, escluso quello formale, italiani. Paradossalmente il tetto del 30% di alunni stranieri, se applicato, costringerà le scuole che finora hanno evitato la questione ad accoglierli. E le troverà impreparate alla dovuta accoglienza”.
Siamo sicuri che è un problema reale?
Il problema posto dal ministero dell'Istruzione fa sì che ci si chieda se davvero quello dei bambini stranieri sia un reale problema o meno. “Insegno da quasi trentaquattro anni e non mi è mai capitato che, davanti al sorriso anche colorato di una bambina o di un bambino, un genitore, un adulto o un bambino, anche il più prevenuto, non abbia capitolato” prosegue la Di Meo, purché ci si ricordi che “la prima integrazione è sociale e a scuola è più facile perché i bambini hanno meno pregiudizi degli adulti, "sentono" l'altro meglio di noi. In questo, il ruolo più importante di sicuro lo giocano gli adulti”.
Immaginiamo ovviamente che un alunno che parla una lingua diversa dall'italiano e che proviene da una cultura differente porti con sé delle specificità che possono tramutarsi in difficoltà, ma quali concretamente, visto che fino ad ora il ministro Gelmini non lo ha spiegato?
Le difficoltà per gli insegnanti non sono insuperabili
Ci spiega quindi la maestra Di Meo “che l'inserimento di alunni che non parlano un parola di italiano è piuttosto raro, le difficoltà sono le stesse che un docente ha di fronte all'alunno/a un po' "lentino" rispetto alla media, bisogna darsi da fare. C'è bisogno di mettere in gioco strategie e modi di lavorare concreti e inclusivi, ma di questo nelle scuole italiane oggi c'è tradizione abbastanza diffusa”.
Spesso sono più bravi in matematica e scienze
Ovviamente ci spiega la nostra insegnante che l'elemento culturale è sicuramente un aspetto da curare, “ogni alunno deve potersi confrontare con la cultura dell'altro. Spesso gli alunni stranieri sono molto più abili di quelli italiani nelle materie matematico-scientifiche. Caso per caso si dovrebbe poter disporre di risorse finanziarie per consentire progetti interculturali e di recupero linguistico laddove ce ne fosse necessità”.
I progetti di integrazione sono pochi
I provvedimenti effettivi messi in campo fino ad ora per ovviare a quanto detto sembrano quindi non essere stati molti, infatti Paola Di Meo lamenta l'assenza ministeriale in proposito, “giusto qualche comune ha messo in campo alcuni progetti come è stato fino a due anni fa per Roma con Intermundia , oggi Fratelli d'Italia. Qualche progetto europeo, richiesto dalle scuole. A parte ciò, come sempre in questo paese, tutto è demandato all'iniziativa del singolo insegnante, collegio o dirigente che sia”.
Alla luce di quanto detto ci chiediamo a cosa porterà il provvedimento in questione in vigore dal prossimo settembre, se “quello che servirebbe davvero invece è un serio e controllato investimento in formazione del personale e in risorse per le scuole” almeno a detta di una lavoratrice della scuola con lunga esperienza alle spalle.
Al mescolamento dovremo abituarci
“Checché ne dicano i nostri politici, la "forte componente straniera" nelle scuole non è un problema, si tratta di bambini integrati di fatto perché vivono sul nostro territorio e con noi da molti anni. L'unico pericolo serio che vedo è una crescita nella discriminazione degli stranieri e dei loro figli. Sono italiana, ho vissuto e lavorato all'estero per lunghi periodi e penso che a questo mescolamento di esseri umani dovremo abituarci. Conclude così con preoccupazione una maestra che tutti i giorni lavora con i bambini e che siano poi essi stranieri o italiani a noi sinceramente non importa.
Così a Roma, come in altre città d'Italia, gli insegnanti fanno sentire la propria voce di disappunto alla suddetto provvedimento.
In due Municipi di Roma cresce il no
Tanto che il I e il VI municipio della capital , il primo con un ordine del giorno contro il tetto del trenta per cento, il secondo con i dirigenti delle scuole elementari e medie che firmeranno un documento in cui dichiarano che accetteranno studenti anche oltre il limite stabilito, si schierano con fermezza per il fronte del no.
Maria Gemma Azuni, consigliere comunale Sel-gruppo misto, che si fa portavoce delle posizioni assunte dagli insegnanti, ha definito le misure prese dal ministro per l'Istruzione "molto vicine alla xenofobia".
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