sabato 6 febbraio 2010
La rivolta di Caritas e immigrati «Permesso a punti ingiusto e inutile»
No alla bozza Maroni-Sacconi: infierisce su chi fugge da fame e guerra I sindacati: ennesimo spot discriminatorio che favorisce la clandestinità
VENEZIA— Il Veneto tollerante, quello che ha aperto le porte a 500 mila stranieri regolari (altri 60 mila sono clandestini), quello che risulta ai primi posti in Italia per numero di immigrati e per tasso d’integrazione, si ribella al «permesso di soggiorno a punti» in elaborazione al Viminale. La bozza del testo che nelle intenzioni dei ministri dell’Interno Roberto Maroni e del Welfare Maurizio Sacconi entro due mesi diventerà un decreto da sottoporre al Consiglio dei ministri prevede per i nuovi permessi di due anni la firma di un «accordo per l’integrazione».
In 24 mesi l’extracomunitario dovrà cioè imparare l’italiano, conoscere la Costituzione, iscriversi al sistema sanitario e mandare i figli a scuola. Se ce la farà, conquisterà i 30 punti necessari alla regolarizzazione, se si avvicinerà al punteggio indicato otterrà una proroga di un annomase resterà a zero verrà espulso. Chi sarà condannato, anche in via non definitiva, a una pena detentiva non inferiore ai tre mesi si vedrà azzerare i punti e allontanare dall’Italia. «E’ una boutade— commenta don Dino Pistolato, della Caritas veneziana— l’ennesima sfumatura del "se mi servi vieni, sennò stai a casa tua e comunque quando sei qui devi lavorare e poi scomparire". Ragionamento figlio del peccato originale che non considera lo straniero come persona nella sua interezza, con le sue necessità e i suoi sogni, ma solo come strumento utile o fastidio. E invece siamo di fronte a gente che scappa dalla guerra e dalla miseria, nella speranza di un futuro migliore per sè e per i propri figli. E’ qui per fare reddito, non ha tempo per mettersi a studiare e poi come, dove, quando? Di notte, il sabato e la domenica? In ogni caso per ambientarsi gli immigrati hanno bisogno di tempo — prosegue don Pistolato — un tempo che cambia a seconda della nazionalità, del livello di cultura, del lavoro. Non si può semplificare, considerandoli tutti uguali. Cosa siamo, alle giostre, dove con un tot di punti si vince un premio? E poi voglio proprio vedere se questi "crediti" sarà più facile perderli o guadagnarli».
Insorge il presidente dell’Associazione immigrati extracomunitari, Thiam Badarà, origini senegalesi ma ormai padovano acquisito. «Il governo di centrodestra le inventa tutte per rendere sempre in salita la strada agli stranieri— denuncia— manon capisce che l’integrazione non può essere calata dall’alto. E’ frutto di condizioni sociali, politiche ed economiche che consentano ai nuovi arrivati di sentirsi accettati e di centrare i loro obiettivi. Il provvedimento in esame mi pare poi fuori dalla realtà: i corsi di italiano gratuiti ci sono già, organizzati dalle associazioni, e comunque prima di imporli bisogna vedere chi arriva. Tanti africani, laureati, lo sanno prima ancora di approdare qui— aggiunge Badarà— al contrario gli extracomunitari scappati dai villaggi più poveri del pianeta sono analfabeti. Con loro, come la mettiamo?». Levata di scudi dei sindacati. «Non è così che si agevola l’integrazione— dice Valerio Franceschini della Uil Veneto— e comunque la Costituzione non la conoscono nemmeno gli italiani. Sono scettico, si allungano ancora i tempi per la regolarizzazione». Rincara Fulvio Dal Zio della Cgil Veneto: «Si persevera nell’errore di considerare solo i doveri degli stranieri emai i diritti, come il voto, e di ripetere l’assunto immigrazione uguale delinquenza. E’ proprio così che si favorisce la clandestinità». «I punti hanno senso se accompagnati da politiche di integrazione — aggiunge Maurizio Cecchetto di Cisl Veneto— peccato però che molte amministrazioni continuino a discriminare. Ci vogliono fatti, non spot elettorali».
Unica voce fuori dal coro quella di Giuseppe Covre, imprenditore leghista che però ha assunto una trentina tra africani, albanesi e rumeni. «E guai a chi me li tocca — avverte — sono ottimi lavoratori e brave persone, perfettamente integrate da anni. Masono arrivati quando il Veneto aveva ancora bisogno di manodopera straniera. Oggi non è più così: c’è la crisi, l’edilizia è ferma e da mesi gli industriali non chiedono più immigrati ma la cassa integrazione. Ecco perchè plaudo a un gran bel provvedimento: obbliga lo straniero a imparare l’italiano e la cultura del Paese che lo ospita, per favorirne non per ostacolarne l’inserimento. Se poi funziona anche da filtro per selezionare l’immigrazione buona, che serve, da quella che creerebbe solo problemi, è tutto di guadagnato».
Michela Nicolussi Moro
06 febbraio 2010
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